La prescrizione prevista per il reato si applica anche alla responsabilità contrattuale indiretta

12 Gennaio 2015

In relazione alle azioni risarcitorie (in primis contrattuali ex art. 409 cod. nav.) promosse dai famigliari (la sorella e la madre) di una passeggera deceduta in occasione del naufragio dei un aliscafo finito contro una scogliera frangiflutti, la Cassazione si pone la questione in merito alla prescrizione dei diritti risarcitori derivanti dall'inadempimento del contratto di trasporto marittimo di persone.
Massime

Cass. civ., sez. VI, 14 novembre 2014, n. 24347 e Cass. civ., sez. VI, 14 novembre 2014, n. 24348

“In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto-reato, la disposizione dell'art. 2497, comma 3, c.c., che prevede una disciplina di collegamento con la normativa penale in tutti quei casi in cui la tutela civile venga ad incrociarsi con la protezione che l'ordinamento penale accorda a determinate fattispecie, va riferita sia al danno da fatto illecito contrattuale che extracontrattuale, purché questo sia considerato dalla legge come reato (nella specie: il termine più lungo previsto per il reato di omicidio colposo è stato ritenuto applicabile anche all'azione risarcitoria contrattuale esperita ex art. 409 cod. nav. contro il vettore marittimo da un congiunto di un passeggero deceduto a bordo di un aliscafo, essendo tale evento addebitabile alla condotta penalmente rilevante del comandante)”.

“In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto-reato, la previsione dell'art. 2947, comma 3, c.c. (secondo cui, se il fatto è previsto dalla legge come reato e per questo è prevista una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile) si riferisce, senza alcuna discriminazione, a tutti i possibili soggetti passivi della pretesa risarcitoria, e si applica, pertanto, non solo all'azione civile esperibile contro la persona penalmente imputabile, ma anche all'azione civile diretta contro coloro che siano tenuti al risarcimento a titolo di responsabilità indiretta (nella specie: il termine più lungo previsto per il reato di omicidio colposo è stato ritenuto applicabile anche all'azione risarcitoria contrattuale esperita ex art. 409 cod. nav. contro il vettore marittimo da un congiunto di un passeggero deceduto a bordo di un aliscafo, essendo tale evento addebitabile alla condotta penalmente rilevante del comandante)”.

“In tema di trasporto marittimo di persone l'art. 274 cod. nav. («Responsabilità dell'armatore») detta una disposizione speciale e, come tale, prevalente rispetto a quella, parallela, di cui all'art. 2049 c.c., senza, peraltro, esaurire del tutto il tema della disciplina della responsabilità dell'armatore, che rimane soggetta alle norme del c.c. (art. 2049 e ss.) per ogni ipotesi non espressamente contemplata dal codice della navigazione, dovendosi includere fra tali ultime ipotesi anche il generico obbligo di prudenza e di perizia nella gestione della navigazione ed in particolare quello di effettuare correttamente le manovre della nave ivi compresa quella di attracco. A quest'ultimo riguardo trova applicazione la presunzione di responsabilità, recata dall'art. 1681 c.c. e dall'art. 409 cod. nav., per cui il vettore resta liberato dalla responsabilità presunta a suo carico, qualora dimostri che l'evento dannoso, verificatosi a causa del trasporto (quando cioè il sinistro è posto in diretta, e non occasionale, derivazione causale rispetto all'attività di trasporto), sia dovuto a fatto non prevedibile suo o dei suoi preposti o dipendenti, ovvero di non averlo potuto evitare nonostante l'uso della dovuta diligenza, mentre il viaggiatore ha l'onere di provare il nesso eziologico esistente tra l'evento dannoso ed il trasporto medesimo. Pertanto, occorre che, nonostante l'avvenuto rilascio del certificato di navigabilità, il giudice di merito accerti nel caso concreto le modalità dell'incidente occorso al passeggero e controlli se detto incidente sia o meno rapportabile a colpa del vettore o dei dipendenti o preposti di lui, con la conseguenza che, nel caso di viaggio effettuato a mezzo di commesso, le indagini sull'adozione, da parte dello stesso, delle cautele necessarie al compimento del trasporto debbono essere estese alla condotta tenuta da quest'ultimo, salvo che l'evento sia ascrivibile esclusivamente a negligenza del passeggero medesimo”.

Sintesi del fatto

Le due sentenze “gemelle” in commento sono intervenute in relazione alle azioni risarcitorie (in primis contrattuali ex art. 409 cod. nav.) promosse dai famigliari (la sorella e la madre) di una passeggera deceduta in occasione del naufragio dell'aliscafo «Giorgione» della Siremar S.p.A., finito la sera del 9 agosto 2007 contro una scogliera frangiflutti mentre faceva il suo ingresso nel porto di Trapani.

Con sentenza emessa nel 2008 ai sensi dell'art. 444 c.p.p. il comandante dell'aliscafo era stato giudicato responsabile del decesso della trasportata e, quindi, nel 2011 le due congiunte di questa avevano proposto separate domande di ammissione al passivo della Siremar sulle indennità dovute dall'assicuratore.

Entrambe avevano sostenuto la responsabilità della Siremar sia quale società datoriale del comandante, sia perché nella sua qualità di armatore e vettore marittimo era tenuta al risarcimento dei danni subiti dai passeggeri.

Il giudice delegato aveva escluso l'ammissione al passivo, rilevando come fosse stato ritenuto penalmente responsabile dell'incidente soltanto il comandante e che, dunque, difettasse la prova in ordine all'esistenza del credito ed alla sua quantificazione.

Con ricorsi in opposizione allo stato passivo le danneggiate avevano insistito per l'ammissione, ma il Tribunale di Roma aveva rigettato tali pretese con riferimento sia alla responsabilità contrattuale in quanto prescritta, sia a quella extracontrattuale perché infondata.

In particolare, il magistrato romano, in relazione alla prescrizione dell'azione contrattuale, aveva evocato il combinato disposto degli artt. 409 («Responsabilità del vettore per danni alle persone») e 418 («Prescrizione») cod. nav., sostenendo l'intervenuto decorso del termine semestrale previsto da quest'ultimo articolo per i diritti derivanti dal contratto di trasporto di persone e la relativa responsabilità contrattuale del vettore per i sinistri che colpiscono la persona del passeggero.

Le due vittime, pertanto, si erano trovate costrette a ricorrere in Cassazione.

La Suprema Corte ha riformato le sentenze impugnate innanzitutto quanto alla declaratoria di intervenuta prescrizione dell'azione contrattuale, ritenendo anche per questa senz'altro applicabile il comma 3 dell'art. 2947 c.c.

La questione

La questione, che la Suprema corte ha dovuto affrontare in punto prescrizione, era essenzialmente la seguente: può l'art. 2947, comma 3, trovare applicazione anche in relazione alla responsabilità contrattuale?

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione, nelle due sentenze in disamina, ha fornito una risposta senz'altro positiva al predetto quesito.

Infatti, con riferimento al combinato disposto degli artt. 409 e 418 cod. nav. e, quindi, alla questione della prescrizione dei diritti risarcitori derivanti dall'inadempimento del contratto di trasporto marittimo di persone, la Cassazione, innanzitutto, ha affermato il seguente principio: “in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito, la previsione dell'art. 2947 c.c. (secondo il quale, se il fatto è previsto dalla legge come reato, e per il reato stesso è prevista una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile) si riferisce, senza alcuna discriminazione, a tutti i possibili soggetti passivi della pretesa risarcitoria, e si applica, pertanto, non solo all'azione civile esperibile contro la persona penalmente imputabile, ma anche all'azione civile diretta contro coloro che siano tenuti al risarcimento a titolo di responsabilità indiretta”.

A questo primo rilievo la Suprema corte ha aggiunto un'ulteriore considerazione: “la disposizione dell'art. 2497 c.c. va riferita sia al danno da fatto illecito contrattuale che extracontrattuale, purché sia considerato dalla legge come reato”, “prevedendo essa una disciplina di collegamento con la normativa penale in tutti quei casi in cui la tutela civile venga a incrociarsi con la protezione che l'ordinamento penale accorda a determinate fattispecie”.

Muovendo da tali principi, la Cassazione, rilevando come il caso oggetto di causa fosse “senza dubbio riferibile al risarcimento del danno derivante dal fatto illecito costituito dall'omicidio colposo, addebitabile al comandante dell'aliscafo”, ha, quindi, concluso per la sicura applicabilità del più lungo termine, previsto per tale reato, all'azione contrattuale promossa dalle danneggiate nei confronti dell'armatore.

Ciò illustrato, occorre sottolineare come in giurisprudenza sia del tutto pacifico il primo principio, ripreso dalle due sentenze “gemelle”, per cui il termine più lungo previsto per la fattispecie di reato si applica tanto contro la persona penalmente imputabile quanto contro coloro che sono tenuti al risarcimento a titolo di responsabilità indiretta e che possono essere rimasti estranei al processo penale (per esempio, il proprietario del veicolo per il reato commesso dal conducente, i genitori per il fatto criminoso del figlio minore, i padroni od i committenti per i crimini dei preposti, una struttura sanitaria per l'operato dei suoi ausiliari, il Ministero della Salute per il mancato controllo, da parte dei suoi funzionari, sulla pericolosità degli emoderivati, l'armatore per le condotte del comandante della nave).

A conferma di ciò cfr.: Cass. civ., Sez. III, 19 dicembre 2013, n. 28464; Cass. civ., Sez. III, 25 luglio 2008, n. 20437; Cass. civ., Sez. III, 9 ottobre 2001, n. 12357; Cass. civ., Sez. III, 6 febbraio 1989, n. 729; Cass. civ., Sez. III, 5 luglio 1989, n. 3207; Cass. civ., 24 aprile 1981, n. 2458; Cass. civ., 19 dicembre 1980, n. 6557; Cass. civ., 20 febbraio 1979, n. 1098; Cass. civ., 28 ottobre 1978, n. 4937; Cass. civ., 14 novembre 1975, n. 3843; Cass., S.U., 14 giugno 1967, n. 1329; Cass. civ., 9 giugno 1961, n. 1335.

In ordine a tale impostazione l'unico elemento di novità delle sentenze in commento è costituito dall'avere applicato il predetto principio anche con riferimento alla responsabilità da inadempimento del vettore marittimo per le condotte criminose poste in essere dal comandante della nave.

Neppure inedita è l'affermazione per cui la disposizione dell'art. 2497, comma 3, c.c. va riferita sia alla responsabilità extracontrattuale che a quella contrattuale: cfr. già, nel medesimo segno, Cass. civ., Sez. I, 2 marzo 2009, n. 5009; S.U. civ., 18 febbraio 1997, n. 1479; Cass. civ., Sez. III, 1 marzo 1994, n. 2012.

Sennonché a questo indirizzo si contrappongono le seguenti pronunce: Cass. civ., Sez. III, 16 dicembre 2005, n. 27713 e Cass. civ., Sez. I, 21 marzo 1996, n. 2432.

Queste ultime sentenze non spiegano perché il comma 3 dovrebbe riguardare le sole azioni risarcitorie extracontrattuali. Di contro, Cass. civ., Sez. III, 1 marzo 1994, n. 2012 ha individuato il fondamento della soluzione, ora ribadita dalle sentenze “gemelle”, direttamente nella lettera della norma: “Tale disposizione va ovviamente riferita sia al danno da fatto illecito contrattuale che al danno da fatto illecito extracontrattuale, purché sia considerato dalla legge come reato, e ciò lo si desume dalla lettera della disposizione predetta allorché la stessa contiene l'affermazione “in ogni caso” il che fa ovviamente riferimento a qualsiasi comportamento che cagioni ad altri un danno ingiusto derivante, si ripete, sia dalla responsabilità contrattuale che da quella precontrattuale od extracontrattuale”.

Osservazioni e suggerimenti pratici dell'Autore

Condivisibile è l'estensione al campo della responsabilità contrattuale indiretta del principio per cui il termine più lungo previsto per il reato si applica anche contro coloro che sono tenuti al risarcimento a titolo di responsabilità indiretta.

Esso è in linea con gli obiettivi perseguiti dal comma 3 dell'art. 2947 c.c.; del resto non avrebbe senso circoscrivere la sua operatività alla sola responsabilità indiretta azionata extracontrattualmente: perché mai il suesposto principio dovrebbe operare in relazione all'art. 2049 c.c. e non già con riferimento all'art. 1228 c.c., dato che sotto entrambi questi regimi il debitore risponde oggettivamente per il dolo o la colpa dei soggetti a lui riconducibili?

Per quanto concerne il principio per cui il comma 3 va riferito anche alla responsabilità da inadempimento, esso risulta corretto alla luce delle seguenti considerazioni:

  • sul piano dell'interpretazione letterale in effetti il comma 3 reca l'incipit “in ogni caso”, espressione idonea ad includere anche gli inadempimenti di obblighi contrattuali od ex lege; inoltre, subito dopo la norma richiama la neutrale nozione di “fatto” (cioè di “fatto storico”) e non già la più ristretta categoria del “fatto illecito”; peraltro, il titolo stesso dell'art. 2947 c.c. (“Prescrizione del diritto al risarcimento del danno”) non circoscrive il suo ambito ai soli fatti illeciti, invece riferendosi a qualsiasi azione civile per il risarcimento di danni;
  • non risulta preclusa dalla ratio legis; nella Relazione del Ministro Guardasigilli al Codice Civile si fece espressamente riferimento alla più ampia categoria delle “azioni civili” a prescindere dal loro titolo: “Naturalmente, se il fatto illecito è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilito un termine prescrizionale più lungo, questo si applica anche all'azione civile” (n. 1206); l'avverbio “naturalmente” indica come il legislatore abbia inteso dare luogo ad un solido ponte tra il regime prescrizionale civilistico e quello penalistico in ragione del particolare disvalore delle condotte tali da configurare reati (non già in ragione della qualificazione civilistica del fatto), facendo sì che la pretesa risarcitoria per i danni da reato non si prescriva in tempi più stretti rispetto a quelli recati dalla norma penale; sicché, in assenza di opposte indicazioni e nel contesto di una manifesta evoluzione, giurisprudenziale e legislativa, che ha spostato la tutela rimediale di tutta una serie di soggetti (consumatori, pazienti, lavoratori, sportivi, ecc.) dall'alveo tradizionale della responsabilità aquiliana a quella della responsabilità da inadempimento (rafforzata anche sul versante della risarcibilità dei danni “contrattuali” non patrimoniali), sarebbe contrario a questa ratio legis precludere l'accesso al predetto collegamento in relazione a fatti-reato al contempo sostanzianti inadempimenti contrattuali; del resto, questi reati “contrattuali” non divergono, quanto a riprovevolezza per la norma penale, da quelli extracontrattuali (un omicidio od una lesione personale rimangono pur sempre tali a prescindere dalla particolare relazione sociale corrente tra offensore e vittima, sussistendo tutte le ragioni per una medesima reazione rimediale da parte dell'ordinamento);
  • ad ogni modo, come rilevato da Cass. S.U. civ., 18 novembre 2008, n. 27337, non può superarsi l'interpretazione letterale del comma 3, che “equipara la prescrizione civile a quella penale, ove più lunga, sulla base della sola “considerazione” del fatto come reato sotto il profilo ontologico”, cosicché non può che aversi la totale irrilevanza della natura civilistica del fatto generatore del danno così come dell'azione risarcitoria;
  • il comma 3 rinvia a termini prescrizionali che ovviamente prescindono del tutto dalla qualificazione civilistica della genesi delle condotte assoggettate all'ordinamento penale;
  • un'ulteriore conferma si ravvisa nell'art. 1449, comma 1, c.c., per cui l'azione di rescissione si prescrive in un anno dalla conclusione del contratto, “ma se il fatto costituisce reato, si applica l'ultimo comma dell'articolo 2947”; tale disposizione denota come il legislatore del abbia effettivamente inteso il comma 3 quale norma rilevante anche per le relazioni contrattuali, per l'appunto per il particolare disvalore della condotta penalmente rilevante.

A livello pratico si consiglia quanto segue:

  • azionare sempre tutti i regimi di responsabilità prospettabili, sia quelli contrattuali che extracontrattuali, ciò alla luce del principio generale, applicabile a qualsiasi ambito, per cui è ammissibile il concorso tra la responsabilità contrattuale e quella extracontrattuale di fronte ad un medesimo fatto che violi contemporaneamente non soltanto diritti derivanti dal contratto, ma anche i diritti spettanti alla persona offesa indipendentemente dal contratto stesso;
  • al fine dell'applicazione del termine più lungo previsto per il reato, specificare quali reati si configurino nel caso concreto;
  • dedurre le circostanze fattuali tali da spostare in avanti, innanzitutto ex art. 2935 c.c., il momento della conoscibilità, da parte del danneggiato, dei suoi pregiudizi principali e/o dell'imputabilità del danno al convenuto.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario