Responsabilità processuale aggravata e procedimenti prefallimentari

Giuseppe Fiengo
12 Settembre 2016

L'art. 96, co. 3, c.p.c. è applicabile anche ai procedimenti per la dichiarazione di fallimento atteso che l'art. 22, l. fall. richiama integralmente l'art. 96 c.p.c..
Massima

L'art. 96, comma 3, c.p.c. è applicabile anche ai procedimenti per la dichiarazione di fallimento atteso che l'art. 22, l. fall. richiama integralmente l'art. 96 c.p.c. e che tale disposizione si ricollega all'art. 91 c.p.c. il quale, pure, è espressamente richiamato dall'art. 22 l. fall..

La condanna ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c. (norma che ha funzione tanto risarcitoria quanto sanzionatoria) presuppone l'accertamento del dolo o della colpa grave della parte integralmente soccombente.

L'entità dell'attività processuale inutilmente svolta e l'importo delle spese processuali sono parametri utilizzabili per la quantificazione equitativa della somma dovuta ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c..

Il caso

Tizio, creditore di Caia per euro 4.297,01, dopo aver pignorato (sulla base di decreto ingiuntivo emesso nel 2015 per il medesimo credito da t.f.r. per il quale aveva già, nel 2013, chiesto ed ottenuto altro decreto ingiuntivo) beni mobili della propria debitrice di valore (secondo la stima dell'ufficiale giudiziario) pari ad euro 7.500,00, deposita ricorso chiedendo la dichiarazione di fallimento della propria debitrice.

Caia, costituitasi, eccepisce il mancato superamento delle soglie di non fallibilità previste all'art. 1 l. fall. e della soglia dell'art. 15, ultimo comma, l. fall. e chiede la condanna della controparte ai sensi dell'art. 96 c.p.c..

La questione

L'art. 96, comma 3, c.p.c. è applicabile anche nei procedimenti per la dichiarazione di fallimento? Quali sono i presupposti per la condanna ai sensi dell'art. 96, comma 3 c.p.c.? Quali sono i parametri per la determinazione equitativa della somma dovuta ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c.?

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Vercelli, nel rigettare il ricorso, rileva che l'iniziativa di Tizio risulta affetta da un palese abuso degli strumenti processuali a tutela del credito, attesa sia la violazione del principio di ordine pubblico del ne bis in idem (avendo il ricorrente fondato la domanda tesa alla dichiarazione del fallimento su un decreto ingiuntivo conseguito per il medesimo credito per il quale già aveva ottenuto altro provvedimento in sede monitoria), sia la precedente instaurazione di un'espropriazione mobiliare per effetto della quale erano stati pignorati beni di valore superiore rispetto al proprio credito.

Condannato il ricorrente, sulla base del principio della soccombenza, al pagamento delle spese processuali, il tribunale piemontese accoglie anche la domanda formulata da Caia ai sensi dell'art. 96 c.p.c. Il collegio, in particolare, ritiene tale norma applicabile anche al procedimento per la dichiarazione di fallimento atteso che l'art. 22 l. fall., nell'attuale formulazione, esclude la facoltà per il debitore di richiedere in un separato giudizio la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese ed il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 96 c.p.c. Esclusa l'applicabilità del primo comma dell'art. 96 c.p.c., stante la mancata allegazione e prova del danno subito, il provvedimento che si annota afferma tuttavia la ricorrenza dei presupposti del terzo comma di tale articolo; norma ritenuta applicabile anche in sede prefallimentare, atteso che l'art. 22, l. fall. richiama integralmente l'art. 96 c.p.c. –senza alcuna distinzione tra i diversi commi- e che, comunque, tale disposizione si ricollega all'art. 91 c.p.c. il quale, pure, è richiamato dall'art. 22 l. fall.

Affermata la natura tanto risarcitoria quanto sanzionatoria dell'art. 96, comma 3, c.p.c. (destinato a scoraggiare l'abuso del processo ed a preservare la funzionalità del sistema giustizia), il provvedimento che si annota ritiene che la condanna ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c. presupponga l'accertamento del dolo o della colpa grave della parte integralmente soccombente. Sotto tale profilo la decisione in esame si colloca nel solco di un indirizzo giurisprudenziale di legittimità e di merito che appare ormai consolidato (tra le tante, si vedano Cass., sez. VI, ord., 22 febbraio 2016, n. 3376 v. F. Agnino, La condanna per lite temeraria e l'esemplificazione della colpa grave da parte dei giudice di legittimità, in Ri.Da.Re. , Cass., sez. III, 12 marzo 2015, n. 4930, Trib. Monza, ord. 5 maggio 2016, Trib. Torino, sent. 3 novembre 2015, Trib. Santa Maria Capua Vetere, ord. 23 dicembre 2013,T. Verona, sent. 07.02.2012, Trib. Piacenza, sent. 7 dicembre 2010). Un contrario e, ad oggi, decisamente minoritario, indirizzo ritiene tuttavia che l'art. 96, comma 3, c.p.c. debba essere letto in modo autonomo rispetto ai primi due commi della stessa disposizione (tra le altre, Trib. Terni, sent., 17 maggio 2010); tale orientamento, sostenuto alla luce della mancata necessità –solo per il caso disciplinato dall'ultimo comma dell'art. 96 c.p.c.- della domanda di parte, finisce con l'ammettere l'applicazione della sanzione per la responsabilità processuale aggravata anche in caso di colpa non grave desumibile, ad esempio, dalla mera violazione dell'art. 88 c.p.c. il quale impone alle parti ed ai loro difensori di comportarsi con lealtà e probità.

Tanto premesso, il tribunale piemontese ravvisa la colpa grave della parte soccombente nel fatto che la stessa, senza attendere gli esiti dell'esecuzione individuale intrapresa con effetti potenzialmente satisfattivi, ha promosso un'ulteriore azione esecutiva (questa volta concorsuale) la quale, considerata appunto la previa, utile instaurazione di esecuzione individuale, non può che valutarsi come strumento sproporzionato e non pienamente corrispondente allo scopo. Ritenuto di dovere, con riferimento al caso concreto, valorizzare la componente sanzionatoria dell'art. 96, comma 3, c.p.c. ed osservato che il pregiudizio alla funzionalità del sistema giustizia è particolarmente intenso nel caso di abusiva instaurazione di procedimento prefallimentare (attesa la particolare urgenza che caratterizza tale procedimento e gli interessi pubblicistici ad esso sottesi), il tribunale quantifica equitativamente la somma dovuta ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c. in misura corrispondente alle spese di lite, considerato lo svolgimento di una sola udienza. Sotto tale profilo la decisione in esame aderisce all'orientamento che parametra la condanna per responsabilità processuale aggravata alle spese di lite liquidate (o ad un loro multiplo); orientamento che è stato accolto, tra le altre, da Cass., sez. VI, ord., 22 febbraio 2016, n. 3376, Cass., sez. VI, ord. 20 novembre 2012, n. 21570, Trib. Milano, ord., 20 gennaio 2016, Trib. Reggio Emilia, sent., 25 settembre 2012. In una diversa prospettiva la somma equitativamente determinata è stata quantificata ora come percentuale del capitale riconosciuto alla parte vittoriosa o richiesto dalla parte soccombente (ex plurimis, Trib. Milano, sent., 27 giugno 2015), ora avuto riguardo all'art. 2-bis, l. n. 89/01(c. d. legge Pinto) che quantifica l'indennizzo per eccessiva durata del processo in una somma compresa tra gli euro 500,00 e gli euro 1.500,00 per ciascun anno di durata del processo eccedente il termine ragionevole dello stesso (tra le altre, Trib. Napoli, sent., 21 luglio 2014, Trib. Varese, ord., 2 ottobre 2012).

Osservazioni

La decisione che si commenta affronta e risolve condivisibilmente numerose, delicate questioni sorte con riferimento all'art. 96, comma 3, c.p.c.; norma caratterizzata da una formulazione letterale generica e poco felice, oggetto di contrastanti valutazioni in dottrina e giurisprudenza. Alle critiche sollevate da quanti, considerata anche la significativa discrezionalità assegnata al giudice, paventano la lesione dei diritti tutelati all'art. 24 Cost. per effetto di un'indiscriminata applicazione della condanna per responsabilità processuale aggravata si contrappone l'apprezzamento di coloro che vi ravvisano uno strumento destinato a deflazionare le iniziative processuali abusive che concorrono alla congestione della giustizia civile in Italia mediante la previsione di una vera e propria sanzione. Non a caso, quanto a tale ultimo profilo, l'art. 96, comma 3, c.p.c. è sempre più frequentemente considerato indice normativo dell'introduzione nell'ordinamento interno di rimedi risarcitori con funzione sostanzialmente sanzionatoria (da ultimo, Corte cost., sent. 23 giugno 2016, n. 152, v. M. Di Marzio, Responsabilità aggravata: per la consulta il terzo comma dell'art. 96 c.p.c. ha funzione sanzionatoria, e Cass. civ., sez. I, ord., 16 maggio 2016, n. 9978).

Condivisibile appare la ritenuta applicabilità della norma in sede prefallimentare. Tale conclusione, argomentata dal tribunale piemontese alla luce dell'art. 22, comma 2, l. fall., è coerente con l'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale la condanna ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c. può essere pronunciata in tutti i procedimenti per i quali v'è statuizione sulle spese; in termini, tra le altre, Trib. Varese, ord., 2 ottobre 2012, Trib. Roma, sent., 27 aprile 2012. Nello stesso senso depone del resto anche l'orientamento giurisprudenziale maggioritario (tra le altre, Cass. civ., sez. VI, ord., 22 febbraio 2016) per il quale l'art. 96, comma 3, c.p.c. è norma generale tesa a sanzionare condotte processuali palesemente infondate ed abusive le quali pregiudicano la tempestiva definizione dei procedimenti meritevoli di essere instaurati e, in definitiva, compromettono la ragionevole durata del processo tutelata all'art. 111 Cost.; ragionevole durata da valutare con riferimento non solo al singolo procedimento, ma anche al complessivo sistema giurisdizionale.

Ancora, non può che condividersi la ritenuta applicabilità della norma in esame solo in presenza di dolo o colpa grave della parte soccombente. Solo in tale modo, infatti, per un verso risultano superabili le censure di illegittimità prospettate, con riferimento all'art. 24 Cost., da una parte della dottrina e, per altro verso, è limitato il potere discrezionale del giudice che, altrimenti (considerata anche la mancata necessità –a differenza di quanto accade per i commi 1 e 2 - dell'esistenza di un danno), rischierebbe di sfociare in arbitrio.

Tanto premesso, è allora importante verificare quando ricorrono il dolo o la colpa grave.

In astratto, tali requisiti sussistono nel caso in cui la parte agisca o resista con la coscienza dell'infondatezza della domanda o dell'eccezione o senza aver impiegato l'ordinaria diligenza per verificare l'infondatezza della propria posizione. In concreto, l'art. 96, comma 3, c.p.c. potrà trovare applicazione a fronte di una posizione processuale contrastante con il diritto vivente e formulata senza un tentativo di superamento dello stesso o in caso di domanda proposta senza la dimostrazione della ricorrenza dei presupposti normativi di ammissibilità della stessa o in contrasto con chiari indici normativi. Ancora, la responsabilità processuale aggravata sarà ravvisabile nel caso di domande o difese formulate sulla base di allegazioni generiche e non collegate allo specifico rapporto giuridico oggetto della lite o nell'ipotesi di comportamento processuale contraddittorio.

Da ultimo, apprezzabile appare il criterio adottato dal tribunale piemontese per la quantificazione della somma equitativamente determinata. Il riferimento alle spese di lite consente infatti, per un verso, di liquidare la condanna in misura riconducibile al valore della controversia e, per altro verso, di realizzare in modo pieno la funzione sanzionatoria dell'art. 96, comma 3, c.p.c. (addivenendo ad una condanna per importi di regola superiori rispetto a quelli derivanti dal parametro –pur, come visto, applicato da una parte della giurisprudenza- della legge Pinto). Peraltro, sempre nell'ambito dell'indirizzo accolto dalla decisione in commento, può essere utile, ai fini della quantificazione della condanna, valorizzare da parte del litigante che chieda l'applicazione dell'art. 96, comma 3, c.p.c., ulteriori elementi. Si pensi, ad esempio, alla durata del processo ed al numero di udienze celebrate (essendo evidente che un elevato numero di udienze è indice di un maggior pregiudizio arrecato al sistema giustizia dall'abusiva condotta processuale della parte) o, ancora, all'intensità del dolo o al grado della colpa.

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