L'imprudente discesa dal marciapiede del pedone, caduto in una buca, esclude la responsabilità del comune

Paolo Mariotti
Raffaella Caminiti
13 Febbraio 2015

L'inesistenza di alcun ingombro idoneo a giustificare l'imprudente abbandono dello spazio sopraelevato destinato al transito pedonale, unitamente alla conoscenza dei luoghi e alle condizioni di normale visibilità, inducono a ritenere che l'evento dannoso sia da ricondursi esclusivamente alla condotta dello stesso danneggiato, attuata in violazione di norme specifiche e generali di prudenza, per essere sceso dal marciapiede malgrado quest'ultimo consentisse il transito di due pedoni affiancati
Massima

App. Milano, sez. II civ., sent. 4marzo 2014, n. 1030

“L'inesistenza di alcun ingombro idoneo a giustificare l'imprudente abbandono dello spazio sopraelevato destinato al transito pedonale, unitamente alla conoscenza dei luoghi e alle condizioni di normale visibilità, inducono a ritenere che l'evento dannoso sia da ricondursi esclusivamente alla condotta dello stesso danneggiato, attuata in violazione di norme specifiche e generali di prudenza, per essere sceso dal marciapiede malgrado quest'ultimo consentisse il transito di due pedoni affiancati”.

Sintesi del fatto

L'attrice conveniva in giudizio il Comune, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti cadendo a causa di una buca sul manto stradale, dopo essere scesa dal marciapiede per consentire il transito ad altro pedone.

Si costituiva in giudizio il Comune negando ogni responsabilità e imputando il sinistro a colpa esclusiva dell'attrice.

Il Tribunale rigettava la domanda attorea, ritenendo che la fattispecie fosse inquadrabile nella previsione dell'art. 2051 c.c. e che il comportamento della danneggiata, interruttivo del nesso di causalità, fosse idoneo ad integrare ipotesi di fortuito.

Avverso tale sentenza la danneggiata proponeva appello, denunciando l'errore del giudice di prime cure relativamente alla ricostruzione dell'evento e all'applicazione dell'art. 1227 c.c.

Si costituiva il Comune, chiedendo il rigetto del gravame per infondatezza dei motivi dedotti.

In motivazione

Nel respingere il gravame, la Corte d'appello richiama i principi giurisprudenziali disciplinanti la responsabilità da cose in custodia, ritenendo che il giudice di prime cure “abbia correttamente ricondotto il caso concreto all'ambito di applicazione dell'art. 2051 c.c., norma che, secondo la giurisprudenza di legittimità ormai consolidata, è applicabile nei confronti della P .A. anche per le categorie di beni demaniali, come le strade pubbliche, rispetto alle quali compete all'Ente proprietario un potere di custodia e sorveglianza ad esclusione di ogni altro soggetto (…)”.

In sentenza, rammentata la ripartizione dell'onere probatorio tra danneggiato e custode, è precisato che “il fortuito va inteso nel senso più ampio, comprensivo del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato, purché detto fatto costituisca la causa esclusiva del danno (…). Corollario di tale principio è la regola posta dall'art. 1227, comma 1, c.c., la quale prevede la riduzione del risarcimento in presenza della colpa del danneggiato e perviene quindi coerentemente ad escludere che possa considerarsi danno risarcibile quello che ciascuno procura a se stesso (…)”.

Poiché la colpa sussiste anche nel caso in cui si verifichi una violazione della norma comportamentale di diligenza sotto il profilo della colpa generica - prosegue la Corte d'appello - “così come nel caso di concorso della condotta colposa del danneggiato nella produzione del danno, anche nel caso di condotta commissiva o omissiva colposa del medesimo danneggiato, sufficiente da sola a determinare l'evento, deve escludersi il rapporto di causalità delle cause precedenti (…)”.

Applicando correttamente i suddetti principi giurisprudenziali alla fattispecie concreta, il giudice di prime cure è giunto alla conclusione che l'evento lesivo fosse imputabile alla condotta della stessa appellante, attuata in violazione di norme specifiche (art. 190 Codice della Strada) e di norme generali di prudenza, per essere scesa dal marciapiede malgrado esso consentisse il transito di due pedoni affiancati, anziché procedere dietro la figlioletta “in fila indiana”, finendo così nella buca latistante il marciapiede, che era comunque visibile.

La questione

Può il fortuito, rilevante ex art. 2051 c.c., essere integrato dalla condotta colposa del danneggiato, avente efficacia tale da interrompere del tutto il nesso di causalità tra la cosa in custodia e l'evento lesivo?

Le soluzioni giuridiche

È ormai ius receptum che l'Ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile ex art. 2051 c.c. dei sinistri riconducibili a situazioni di pericolo, immanentemente connesse alla struttura e alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione (App. Venezia, sez. IV, 21 febbraio 2014, n. 420, in Redazione Giuffrè 2014).

Tale responsabilità – che ha carattere oggettivo, essendo sufficiente per la sua configurazione la dimostrazione da parte dell'attore del verificarsi dell'evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia (v. Nocco L., Conferme della cassazione sulla responsabilità oggettiva della p.a. per danni da cose in custodia, nota a Cass. civ., sez. III, 15 ottobre 2010, n. 21328, sez. III, in Dir. economia assicur. (dal 2012 Dir. e Fiscalità assicur.), fasc.3, 2011, pag. 1127) – è, tuttavia, esclusa dal caso fortuito, che può consistere sia in un'alterazione dello stato dei luoghi imprevista, imprevedibile e non tempestivamente eliminabile o segnalato agli utenti neppure con l'uso dell'ordinaria diligenza, sia nella condotta dello stesso danneggiato, collegata all'omissione delle cautele normalmente esigibili in casi analoghi, che abbia determinato l'interruzione del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno (cfr. App. Bari, sez. III, 5 febbraio 2013, n. 24, in Giurisprudenzabarese.it 2013).

La condotta colposa del danneggiato può dunque, secondo un crescente ordine di gravità, atteggiarsi a concorso causale colposo, valutabile ai sensi dell'art. 1227, comma 1 c.c. oppure, come nella fattispecie concreta, escludere il nesso causale tra cosa e danno e, con esso, la responsabilità del custode (Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 2014, n. 999, in Giust. Civ. Mass. 2014; v., inoltre, Morano Cinque E., La responsabilità per danni da cose in custodia ed il concorso di colpa del danneggiato: un dibattito non sopito, nota a Trib. Brindisi, 7 dicembre 2010, n. 74, Trib. Brindisi, 20 marzo 2012, n. 60, in Giur. merito, fasc.11, 2012, pag. 2294B).

Lo stato dei luoghi deve presentare peculiarità tali da renderne potenzialmente fonte di danno la normale utilizzazione, quali buche, ostacoli imprevisti, ecc.; la concreta possibilità per l'utente di percepire o prevedere con l'ordinaria diligenza la situazione di pericolo occulto vale ad escludere la configurabilità dell'insidia e della conseguente responsabilità dell'Ente per difetto di manutenzione della strada pubblica, “dato che quanto più la situazione di pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, sino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso” (Trib. Torre Annunziata, sez. II, 11 gennaio 2014, n. 192, in Redazione Giuffrè 2014; cfr, inoltre, Trib. Trani, 4 maggio 2006, in Redazione Giuffrè 2006: “Il danno riportato da pedone durante la percorrenza di una strada pubblica è risarcibile solo in caso di pericolo imprevedibile ed occulto. Tale non può ritenersi il danno conseguente a “buca” rilevata nel manto stradale in quanto evidente, quindi prevedibile ed evitabile in caso di assenza di elementi esterni comportanti un coattivo e repentino cambio di direzione”).

Osservazioni e suggerimenti pratici dell'Autore

In caso di giudizio promosso nei confronti dell'Ente proprietario per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa di una caduta per anomalie presenti sul manto stradale, occorre considerare che l'art. 2051 c.c. non dispensa il danneggiato dall'onere di provare che l'evento lesivo si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa in custodia.

Spetta, invece, all'Ente proprietario della strada offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di inevitabilità e imprevedibilità nei riguardi dell'attività dovuta del custode (Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2014, n. 4277, in D&G 2014, 25 febbraio; Cass. civ., sez. VI, 2 dicembre 2013, n. 27035, in D&G online 2013, 2 dicembre).

Pertanto, una volta dimostrato, in corso di causa, che il pedone è caduto a causa di un'anomalia della sede stradale è onere dell'Ente proprietario, per sottrarsi alla responsabilità ex art. 2051 c.c., fornire la prova del caso fortuito, che può essere integrato anche dalla condotta del danneggiato stesso, allorché abbia avuto efficacia tale da interrompere il nesso di causalità tra la cosa e l'evento lesivo.

L'eventuale condotta colposa del danneggiato determina una proporzionale riduzione del risarcimento dovuto dall'amministrazione comunale responsabile ai sensi dell'art. 2051 c.c. (cfr. Trib. Milano, sez. X, 4 gennaio 2011, in Riv. giur. circol. trasp. 2011, 2).

La condotta imprudente del danneggiato può avere un'efficienza causale autonoma nel dinamismo causale dell'evento lesivo, interrompendo il nesso eziologico tra la cosa in custodia e il danno, integrando un'ipotesi di caso fortuito idonea a liberare l'Ente dalla responsabilità di cui all'art. 2051 c.c.

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