Il fatto del terzo non interrompe gli obblighi del custode ove da tempo è a conoscenza della pericolosità della cosa

Marco Moiraghi
14 Aprile 2015

In tema di risarcimento del danno cagionato all'utente da un tombino dissestato posto su marciapiede di pertinenza condominiale, il condominio in quanto proprietario risponde ex art. 2051 c.c. anche se il dissesto è stato pacificamente cagionato da terzi. La pregressa conoscenza della situazione di pericolo e l'inerzia nella sua eliminazione, ricostituiscono in capo al condominio gli obblighi di custodia interrotti per fatto del terzo ed impediscono l'applicazione dell'esimente del caso fortuito idonea ad escludere la responsabilità oggettiva ex art. 2051 c.c.. Rimane configurabile in capo al danneggiato il concorso di colpa ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c. idoneo a ridurre l'entità del risarcimento in misura proporzionale all'incidenza causale del danneggiato, liquidato ex art. 139, D. lgs. n. 209/2005 in quanto preferibile rispetto ai criteri tabellari in uso presso il Tribunale di Milano.
Massima

In tema di risarcimento del danno cagionato all'utente da un tombino dissestato posto su marciapiede di pertinenza condominiale, il condominio in quanto proprietario risponde ex art. 2051 c.c. anche se il dissesto è stato pacificamente cagionato da terzi. La pregressa conoscenza della situazione di pericolo e l'inerzia nella sua eliminazione, ricostituiscono in capo al condominio gli obblighi di custodia interrotti per fatto del terzo ed impediscono l'applicazione dell'esimente del caso fortuito idonea ad escludere la responsabilità oggettiva ex art. 2051 c.c.. Rimane configurabile in capo al danneggiato il concorso di colpa ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c. idoneo a ridurre l'entità del risarcimento in misura proporzionale all'incidenza causale del danneggiato, liquidato ex art. 139, D. lgs. n. 209/2005 in quanto preferibile rispetto ai criteri tabellari in uso presso il Tribunale di Milano.

Il caso

Tizio, percorrendo a piedi un marciapiede di pertinenza di un condominio inciampa in un dislivello tra il piano di calpestio del marciapiede ed un tombino, procurandosi lesioni di gravità tali da incidere anche sulla sua attività lavorativa di muratore. Promossa azione risarcitoria, il Condominio convenuto nega ogni responsabilità addebitando viceversa il danneggiamento della platea al passaggio di una moto spazzatrice condotta da operaio della società cui il Comune aveva appaltato la pulizia della strada e nei confronti della quale il convenuto estende di conseguenza il contraddittorio anche a fini di manelva. La società terza chiamata, costituitasi in giudizio, ammette la propria responsabilità. Nel corso della istruttoria, tuttavia, emerge la prova del fatto che il Condominio aveva pregressa conoscenza del dissesto al punto di denunciarlo al Comune, però aveva nel contempo omesso ogni attività idonea a porvi rimedio. Previa assunzione della prova orale ed espletata la CTU medico legale sulla persona dell'attore, il Tribunale condanna il solo Condominio al risarcimento del danno come accertato esistente in capo all'attore con applicazione dei criteri di cui al art. 139 Cod. Ass., decurtando lo stesso in ragione della metà ex art. 1227, 1 comma, c.c. con eguale riduzione delle spese di lite, parimenti riconosciute. Assolta la terza chiamata da ogni addebito, il Tribunale compensa le spese tra quest'ultima e il Condominio convenuto.

La questione

Le questioni in esame sono le seguenti: è responsabile ex art. 2051 c.c. il proprietario-custode di una cosa divenuta pericolosa per gli utenti a causa del comportamento di terzi, laddove abbia avuto pregressa conoscenza delle condizioni di pericolo e abbia trascurato di eliminarla, pur avendo avuto il tempo necessario per provvedere alla sua rimozione e/o segnalazione ?

Più precisamente, l'esimente del caso fortuito - equiparabile al fatto del terzo e idonea ad interrompete la relazione di fatto intercorrente tra la cosa in custodia e colui che esercita l'effettivo potere su di essa - può essere applicata anche in quei casi in cui il custode, pur avendone già pregressa conoscenza, ha omesso di intervenire per eliminare la conformazione pericolosa della cosa assunta a seguito del danneggiamento ad opera di un terzo? Quali sono i presupposti per ritenere il danneggiato corresponsabile della causazione del danno? Quali parametri liquidativi vanno utilizzati nell'ipotesi di lesioni con postumi cosiddetti “micro permanenti” non ascrivibili a danno da circolazione stradale (e per effetto dell'art. 3 della L. n. 189/2012, cd. “legge Balduzzi”, non rientranti neppure tra le ipotesi di responsabilità professionale dell'esercente la professione sanitaria)?

Le soluzioni giuridiche

La fattispecie di cui all'art. 2051 c.c., individua un'ipotesi di responsabilità oggettiva e non una presunzione di colpa. Per l'applicazione di siffatta responsabilità è sufficiente la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo. È quindi di per sé irrilevante la pericolosità attuale o potenziale della cosa stessa ben potendosi pertanto figurare pericolose anche cose inerti (In tal senso: Cass. civ., sez. III, sent., n. 2660 del 5 febbraio 2013). Parimenti non rileva al riguardo neppure la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, poiché l'azione di responsabilità per custodia ex art. 2051 c.c., presuppone sul piano eziologico e probatorio accertamenti diversi, e coinvolge distinti temi di indagine rispetto all'azione di responsabilità per danni a norma dell'art. 2043 c.c., dipendente dal comportamento del custode. Il comportamento del custode, infatti, è elemento estraneo alla struttura della fattispecie normativa di cui all'art. 2051 c.c., nella quale il fondamento della responsabilità è la custodia. La custodia va esclusa infatti soltanto nel caso in cui l'evento sia imputabile ad un caso fortuito riconducibile al profilo causale e cioè quando si sia in presenza di un fattore esterno che, interferendo nella situazione in atto, abbia di per sé prodotto l'evento, assumendo il carattere del c.d. fortuito autonomo, ovvero quando si versi nei casi in cui la cosa sia stata resa fattore eziologico dell'evento dannoso da un elemento o fatto estraneo del tutto eccezionale (c.d. fortuito incidentale) e per ciò stesso imprevedibile (In tal senso: Cass., sez. III, 20 maggio 2009, n. 11695; Cass., sez. III, 6 febbraio 2007, n. 2563; Cass., 22 giugno 2007, n. 1460; Cass., 6 luglio 2004, n. 1232). Sulla base di siffatti presupposti consegue che di norma il soggetto danneggiato può ottenere il risarcimento per un danno “limitandosi” a provare il danno, il nesso tra danno e cosa che lo ha generato ed il rapporto di custodia. Il condominio custode, invece, va esente da responsabilità solamente provando validamente la ricorrenza di un caso fortuito da individuarsi in un evento assolutamente imprevisto o imprevedibile. E tra i fattori aventi efficacia scriminante rientra certamente anche il fatto del terzo, o dello stesso danneggiato, che sia di per sé idoneo a produrre l'evento lesivo. La peculiarità della fattispecie in esame è data dal fatto che la cosa condominiale ha assunto caratteristiche di pericolosità altrimenti assenti, ad opera di un terzo che ha esplicitamente ammesso le proprie responsabilità in tal senso. Cosicchè astrattamente il Condominio, sulla base della previgente giurisprudenza avrebbe avuto titolo per aspirare alla reiezione della domanda risarcitoria formulata nei suoi confronti dal danneggiato sussistendo nella fattispecie l'esimente del fatto del terzo. Sotto il profilo fattuale tuttavia, è emerso in istruttoria che il Condominio fosse a conoscenza da tempo della situazione di pericolosità della cosa pertinenziale e abbia tuttavia omesso ogni qualsivoglia attività idonea ad eliminarla o segnalarla. Afferma dunque il Tribunale che «se la responsabilità oggettiva di cui all'art. 2051 c.c. (che trova il suo fondamento nella mera relazione intercorrente tra la cosa e colui che esercita l'effettivo potere su di essa) viene esclusa in presenza del fatto del terzo, diversa è la circostanza in cui l'uso anomalo della cosa da parte del terzo sia esteriorizzata, o, in ogni caso, per il congruo lasso di tempo trascorso, si sia stabilizzata la trasformazione della cosa da normale in cosa pericolosa». Secondo il Giudice infatti, «in questa ipotesi alla precedente relazione di custodia se ne è sostituita un'altra del custode con la cosa nel nuovo stato». Tale sostituzione, prosegue il Tribunale, «comporta che il custode che aveva astrattamente la possibilità di avvedersi dell'evoluzione e di evitare la produzione di eventi dannosi, non potrà trincerarsi dietro il caso fortuito del fatto del terzo avvenuto in precedenza, poiché egli non è più custode della cosa quale era, ma quale è». E' solo in questo caso che «il danno subito dal danneggiato da un parte rientra nella serie causale prevedibile e dall'altra è evitabile dal custode della cosa modificata in quanto svoltosi in area non sottratta alla sua nuova sfera di custodia». Principio questo che, rammenta il Tribunale, è già stato affermato anche dalla Suprema Corte (Cass., sent., 11 novembre 2003, n. 16593 e Cass. n. 25029/2008 che pur in fattispecie differente aveva ritenuto di escludere la responsabilità del custode solo allorchè questi in presenza di situazioni di pericolo provocate dagli utenti o da una repentina e imprevedibile alterazione della cosa, «non abbia potuto rimuovere o segnalare la situazione di pericolo per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere»). Cosicchè infine la società terza chiamata in manleva è stata assolta da ogni richiesta formulata dal Condominio chiamante sul presupposto che «l'assunzione della custodia della cosa da parte del Condominio nella sua nuova conformazione pericolosa esclude un nesso causale diretto tra l'illecito della terza chiamata ed il danno subìto dall'attore».

La seconda questione affrontata dal Tribunale riguarda la possibile configurazione nel caso di specie di un concorso di colpa dell'utente danneggiato ex art. 1227, 1° comma, c.c., tale da determinare la diminuzione della responsabilità del danneggiante in proporzione all'incidenza causale del comportamento del danneggiato. La risposta in questo caso è stata affermativa e poggia su considerazioni afferenti lo stato dei luoghi («anomalia assolutamente visibile») e comportamentali («l'impiego di una ordinaria attenzione avrebbe consentito all'attore di preservare la propria incolumità»). E ciò in conformità al generale «principio di auto-responsabilità» affermato dalla Corte Costituzionale in materia di insidie stradali e applicabile, in quanto principio generale, anche alle fattispecie relative alla responsabilità per custodia. Principio che afferma e stabilisce che «gli utenti dei beni sia pubblici che privati hanno un onere di particolare attenzione nell'esercizio dell'uso ordinario di tali beni, al fine appunto di salvaguardare la propria incolumità» (v. C. Cost., sent., n. 156/1999). Onere che non si esaurisce in quello di utilizzare i singoli beni normalmente e conformemente alla loro singola destinazione ma comporta contestualmente il dovere di prestare particolare attenzione nell'uso degli stessi sia in rapporto alle loro caratteristiche intrinseche che al rischio specifico che comporta il loro utilizzo. E sul punto vale la pena di rammentare quanto anche più recentemente confermato dalla Corte di legittimità e cioè «il principio secondo cui, ricorrendo la fattispecie della responsabilità da cosa in custodia, il comportamento colposo del danneggiato può - in base ad un ordine crescente di gravità - o atteggiarsi a concorso causale colposo (valutabile ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c.), ovvero escludere il nesso causale tra cosa e danno e, con esso, la responsabilità del custode (integrando gli estremi del caso fortuito rilevante a norma dell'art. 2051 c.c.), deve a maggiore ragione valere ove si inquadri la fattispecie del danno da insidia stradale nella previsione di cui all'art. 2043 c.c..” (Così Cass. Sez. III, sent., 20 gennaio 2014, n. 999). In ultimo, il Tribunale meneghino si sofferma sulla tematica della liquidazione del danno da lesionimicropermamenti” in ambito differente rispetto a quello della circolazione stradale, optando per i parametri fissati dall'art. 139 del D.lgs. 209/2005 (e delle tabelle ministeriali emanate in sua esecuzione) ritenuti preferibili a quelli tabellari in uso presso lo stesso Tribunale. Pur consapevole di quanto affermato dalla Suprema Corte, (Cass., sez. III, sent., 7 giugno 2011, n. 12408, secondo la quale i parametri affermati dal Tribunale di Milano «costituiranno d'ora innanzi, per la giurisprudenza di questa Corte, il valore da ritenersi equo, e cioè quello in grado di garantire la parità di trattamento e da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad aumentarne o ridurne l'entità»), il Giudice Milanese afferma di non ravvisare elementi per ritenere che le tabelle elaborate dall'Osservatorio del Tribunale di Milano siano più razionali di quelle formulate dal Legislatore. Ed infatti, secondo la sentenza qui commentata, le tabelle legislative, a differenza di quanto affermato dalla Cassazione, non assolvono alcuna funzione calmieratrice dei premi di assicurazione della RCA ma preservano semmai l'esigenza di «garantire la prevedibilità della misura dei risarcimenti cui commisurare l'entità dei premi, sottraendo la questione alla discrezionalità dell'autorità giudiziaria». Conclusioni queste che traggono conforto nel fatto che la Suprema Corte in epoca successiva all'affermazione dell'applicabilità generale delle tabelle del Tribunale di Milano ha riconosciuto la legittimità di liquidazioni formulate sulla base di criteri assai restrittivi quali sono quelli tabellari elaborati dal Tribunale di Firenze (Cass., n. 16866/2011) risultando chiaro in tal modo che la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, non è ancora giunta ad un risultato definitivo.

Osservazioni

È bene che il difensore del custode, prima di estendere il contraddittorio anche a fini di manleva nei confronti del terzo accertato e/o ritenuto responsabile materiale del mutamento della cosa in termini di sua pericolosità, verifichi se il proprio assistito sia o meno a conoscenza dell'insidia, accerti la durata di tale sua eventuale pregressa conoscenza e indaghi i motivi che l'hanno indotto a non eliminarla ovvero tanto meno a segnalarla. E ciò al fine di evitare una chiamata in causa che alla fine potrebbe risultare inutilmente onerosa in termini di denaro e tempi e soprattutto ai fini della decisione finale.

Il difensore del danneggiato sarà tenuto a considerare che, in ambito di risarcimento del danno cagionato da insidia, la condotta colposa dell'utente contraddistinta da negligenza o da affidamento soggettivo anomalo può escludere la responsabilità del custode laddove si tratti di comportamento idoneo ad interrompere ovvero anche solo ad attenuare il nesso eziologico tra danno e causa dello stesso. In particolare, nei casi in cui il danno non sia l'effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento (scoppio della caldaia, scarica elettrica, frana della strada o simili), ma richieda che l'agire umano, ed in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, essendo essa di per sé statica e inerte, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un'obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno.

La sentenza qui commentata obbliga la difesa del custode ad una migliore preventiva valutazione in ordine alla ricorrenza o meno dell'esimente caso fortuito sia esso da individuarsi in un evento assolutamente imprevisto o imprevedibile piuttosto che nel fatto del terzo. Quest'ultimo in particolare, ancorché responsabile per aver reso pericolosa la cosa, può alla fine andare assolto da ogni addebito di responsabilità a causa della inerzia della condotta di quel custode reo di non aver tempestivamente agito per rimuovere o segnalare la situazione di pericolo. Parimenti, il difensore del danneggiato è chiamato alla migliore, più attenta e critica analisi preventiva della condotta del proprio assistito, che potrebbe avere caratteristiche tali da interrompere il nesso eziologico tra la cosa in custodia ed il danno ed escludere ovvero attenuare di conseguenza la responsabilità del convenuto. La sentenza in commento lascia ancora aperta infine la questione relativa ai criteri utilizzabili per il risarcimento di lesioni cosiddette “micropermanenti” in fattispecie di danno differenti dalla circolazione stradale ponendo ancora in discussione la prevalenza delle Tabelle milanesi rispetto ai criteri di Legge. Vero è che dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 235/2014 la questione dovrebbe potersi intendere superata.