Danno da morte: la Cassazione ci ripensa
14 Maggio 2014
Massima
Cass. civ., sez. III, sent., 23 gennaio 2014 n. 1361 Il risarcimento del danno non patrimoniale da perdita della vita - bene supremo dell'individuo, oggetto di un diritto assoluto ed inviolabile - è garantito dall'ordinamento in via primaria anche sul piano della tutela civile, presentando carattere autonomo, in ragione della diversità del bene tutelato, dal danno alla salute, nella sua duplice configurazione di danno "biologico terminale" e di danno "catastrofale". Esso, pertanto, rileva "ex se", a prescindere dalla consapevolezza che il danneggiato ne abbia avuto, dovendo ricevere ristoro anche in caso di morte.
Sintesi del fatto
Tizia rimaneva gravemente coinvolta in un sinistro stradale e, circa tre ore e mezzo dopo, decedeva a seguito delle gravi lesioni riportate. Gli eredi adivano il Tribunale, chiedendo, tra l'altro, il risarcimento del danno da morte della vittima. Il Tribunale, pur accogliendo in parte le domande attoree, non prendeva in esame questa voce di danno, limitandosi a valutare i soli danni di natura morale, biologica ed esistenziale, collegati alla gravità delle lesioni e alla durata della sopravvivenza. Anche la Corte d'Appello ometteva di pronunziarsi su questo punto. Avverso questa sentenza proponevano ricorso principale gli eredi della vittima. La questione
La questione in esame è la seguente: è risarcibile, nel nostro ordinamento, il danno da perdita della vita in sé considerato, distinto, perciò, vuoi dai pregiudizi all'integrità psico-fisica riportati dal soggetto nell'apprezzabile lasso di tempo intercorrente tra l'evento lesivo e la sua morte (danno biologico terminale) vuoi dalla sofferenza provata dalla vittima nel consapevolmente avvertire l'ineluttabile approssimarsi della propria fine?
Le soluzioni giuridiche
La giurisprudenza di legittimità, nel solco tracciato dalla Corte Costituzionale (Corte Cost. 27 ottobre 1994, n. 372), ha sempre negato la risarcibilità del “danno biologico da morte” sull'assunto che la lesione dell'integrità fisica con esito letale intervenuta immediatamente (o a breve distanza dall'evento lesivo) non e' configurabile quale danno biologico, giacche' la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute ma incide sul diverso bene giuridico della vita; la perdita di detto bene, per il definitivo venir meno del soggetto, non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento, trasferibile agli eredi, non rilevando in contrario la mancanza di tutela privatistica del diritto alla vita (invero protetto con il diverso strumento della sanzione penale), attesa la funzione non sanzionatoria ma di reintegrazione e riparazione di effettivi pregiudizi svolta dal risarcimento del danno, e la conseguente impossibilità che, con riguardo alla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del suo titolare e da questi fruibile solo in natura, esso operi quando tale persona abbia cessato di esistere (v. Cass., 25 febbraio 1997, n. 1704, e, conformemente, Cass., 30 giugno 1998, n. 6404; Cass., 25 febbraio 2000, n. 2134; Cass., 2 aprile 2001, n. 4783; Cass., 30 luglio 2002, n. 11255; Cass., 23 febbraio 2005, n. 3766; Cass., 2 luglio 2010, n. 15706). La sentenza in rassegna si discosta da tale prevalente orientamento giurisprudenziale ritenuto “non del tutto rispondente all'effettivo sentire sociale nell'attuale momento storico”. In particolare, nella sentenza si afferma che “il ristoro del danno da perdita della vita costituisce in realtà ontologica e imprescindibile eccezione al principio della risarcibilità dei soli danni-conseguenza”. La morte, infatti, determina la perdita non già solo di qualcosa bensì di tutto: non si tratta, quindi, di verificare quali conseguenze siano determinate dal danno-evento, al fine di stabilire quali siano risarcibili e quali no; nel più sta il meno . Osservazioni e suggerimenti pratici
In ordine alla quantificazione del danno da perdita del bene vita va osservato che esso – come, del resto, il danno biologico terminale e il danno morale terminale della vittima – non è contemplato dalle tabelle di Milano Allorquando in giurisprudenza di merito si è fatto riferimento alla lesione del bene vita in sé considerato, ai fini liquidatori si è solitamente utilizzato il criterio tabellare, riferito a soggetto con invalidità al 100% (v. Trib. Venezia 15 giugno 2009). Altro idoneo parametro di liquidazione è stato ritenuto l'indennizzo previsto dalla legge n. 497 del 1999 per i parametri delle vittime del disastro del Cermis (v. Trib. Roma 27 novembre 2008). Come già con riferimento alla liquidazione del danno non patrimoniale e la sistema delle tabelle, va ribadito che la valutazione equitativo spetta al Giudice di merito ed è rimessa alla sua prudente discrezionalità. Certamente incombe sull'erede che agisce per il risarcimento del danno da morte del de cuius l'onere di tempestivamente allegare, documentare e (in presenza di contestazioni) provare tutte quelle circostanze necessarie ad un'adeguata personalizzazione del danno (ad esempio, età, condizioni di salute, speranze di vita futura, attività svolta, condizioni personali e familiari della vittima). Si segnala, infine, l'avvertenza di non dare ingresso a duplicazioni risarcitorie.
Conclusioni
La sentenza in rassegna è sicuramente apprezzabile per lo sforzo operato dai Giudici di legittimità di pervenire a risultati ermeneutici che siano rispondenti al comune sentire sociale dell'attuale momento storico. |