Prova del danno non patrimoniale
04 Maggio 2014
Massima
Cass. civ., sez. VI civ., 24 settembre 2013, n. 21865 Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza, che deve essere allegato e provato.
Sintesi del fatto
Caia conveniva in giudizio la Banca Alfa per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa dell'asserita mala gestio del personale della predetta Banca, consistente nell'arbitrario rilascio di carnet di assegni successivamente protestati e nella sparizione del contenuto di una cassetta di sicurezza.
In motivazione “Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata non sembra discostarsi dall'orientamento consolidato di questa Corte secondo cui "il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza, che deve essere allegato e provato" (Cass. S.U. n. 26972 del 2008; v. inoltre, nella materia de qua, sent. Cass. civ. n. 7211/2009 e Cass. civ. n. 2226/2012).
La questione
La questione in esame è la seguente: il danno non patrimoniale, anche quando lede diritti inviolabili della persona, deve essere rigorosamente provato?
Le soluzioni giuridiche
La Corte ritiene che il danno non patrimoniale, ancorché riguardi i diritto inviolabili della persona, debba essere allegato e provato in quanto danno conseguenza della lesione patita. L'interpretazione del danno non patrimoniale effettuata dalla giurisprudenza è variata nell'arco degli anni, infatti se all'inizio si aveva un'interpretazione restrittiva del danno non patrimoniale, o meglio biologico, con le sentenze gemelle Cass., Sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827 e Cass. civ., n. 8828/2003 si è data una interpretazione ampia e costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. Da ciò è derivata una considerazione non unitaria del danno non patrimoniale, tradizionalmente suddiviso nelle sottovoci del danno biologico, morale ed esistenziale. La conseguenza di questa tripartizione ha determinato una proliferazione via via sempre maggiore di danni non patrimoniali, di natura quasi bagatellare, che erano assorbiti nella sfera dell'art. 2059 c.c.. Successivamente, con le c.d. “Sentenze di San Martino” dell'11 novembre 2008, i Giudici hanno giustamente apposto un limite al risarcimento di tutti quei multipli danni non patrimoniali, soprattutto di lieve entità o di effimera consistenza, decretando che l'ingiustizia subita dovesse essere costituzionalmente qualificata, ovvero riguardante i diritti costituzionalmente inviolabili della persona e che in caso contrario non sarebbe stata concessa la tutela risarcitoria. Inoltre, la gravità dell'offesa doveva superare una determinata soglia minima, ovvero cagionare un pregiudizio serio. È stato quindi abolito il risarcimento per tutti quei danni minimi nonché di dubbia effettiva lesione. Si assiste pertanto ad una univocità della categoria del danno non patrimoniale, non quindi più suscettibile di varie sottocategorie e divisioni. Inoltre, la lesione di un diritto costituzionale non attribuisce al titolare il diritto al risarcimento del danno senza necessità di prova specifica, poiché la prova dell'esistenza della lesione non significa che tale prova sia sufficiente ai fini del risarcimento. Le sentenze di San Martino del novembre 2008 hanno, dunque, optato per la qualificazione del danno conseguenza, con necessità, quindi, della relativa prova, smentendo la precedente natura di danno evento, affermata dalla Corte Cost. nella sentenza n. 184/1986, direttamente collegato alla lesione del diritto che dava automaticamente spazio al risarcimento del danno essendo stato leso un diritto di rilevanza costituzionale che non poteva rimanere sfornito di tutela. A seguito di tale mutamento di impostazione, la lesione del diritto inviolabile costituisce illecito civile, ma ai fini risarcitori occorre la prova del pregiudizio subito e, in mancanza, nessun risarcimento potrà essere accordato alla vittima. La generale enunciazione di cui all'art. 2697 c.c., in materia di onere della prova del danno vige anche per i danni riconducibili alla lesione di valori costituzionalmente garantiti, quali i diritti fondamentali della persona. Possono verificarsi a seguito dell'evento lesivo mutamenti peggiorativi del fare quotidiano ma occorre, però, sempre, allegare le modificazioni peggiorative nella qualità della vita. Non vale, pertanto, l'assunto secondo cui il danno sarebbe in re ipsa. Successivamente alla pronuncia delle Sezioni Unite, l'orientamento è stato pressoché uniforme, ma ultimamente (nel corso dell'ultimo biennio, soprattutto da parte della Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione) sono apparse sentenze discordanti, in cui ricompare la tripartizione del danno non patrimoniale, da ultimo Cass. civ., sez. IIII, 23 gennaio 2014, n. 1361.
Osservazioni e suggerimenti pratici
Nel caso concreto la prova del danno non patrimoniale subito deve essere senz'altro rigorosa, per troppo tempo sono stati risarciti danni inconsistenti. L'orientamento della Corte dovrebbe essere ermeneutico anche riguardo all'onere della prova, non solo alla qualificazione in sé. Il problema è che, ovviamente, se varia la concezione di danno patrimoniale (da uno a trino), muteranno anche gli elementi da allegare e provare. In questo caso la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione dovrebbe essere massima e dovrebbe portare nel senso di garantire il risarcimento solo a chi realmente ha subito la lesione di un diritto inviolabile della persona, attraverso elementi di prova che in alcuni casi potrebbero essere già stabiliti a priori, perché se per il danno biologico sono applicabili sia le Tabelle del Tribunale di Milano, sia quelle riportare agli artt. 138 e 139 del d.lgs. 7 settembre 2005, n.209 (solo per le microlesioni), per l'eventuale risarcimento dell'ulteriore danno c.d. esistenziale, dovrebbero fissarsi dei criteri probatori, come ad esempio la prova del legame parentale o del danno relazionale, determinati da indizi chiave stabiliti. Purtroppo, allo stato il confine tra provato e non provato è alquanto labile e certamente l'andamento altalenante delle decisioni della Suprema Corte certamente non aiuta a mantenere uno standard uniforme nelle varie pronunce. Certamente, per la prova del danno di fondamentale importanza sarà la fase istruttoria del giudizio: il legale della parte dovrà allegare con minuziosa ed analitica precisione il vulnus patito dal proprio assistito in tema di risvolti esistenziali e di peggioramento del vissuto. In tutte le ipotesi di applicazione dell'art. 2059 c.c., il danno riconducibile all'evento lesivo dell'interesse protetto non è mai in re ipsa, al contrario, si tratta di danno-conseguenza che deve essere in concreto accertato, sia pure mediante presunzioni. L'ampliamento delle forme di tutela a situazioni ritenute suscettibili di rilievo sociale impone di prestare sempre maggiore attenzione alla prova di tale danno. Anche per motivi di ordine sistematico, oltreché in ossequio al principio di c.d. “vicinanza della prova” la prova del danno parentale va posta a carico del danneggiato. Saranno ammissibili prove testimoniali, documentali o anche presuntive che dimostrino i concreti cambiamenti che l'illecito ha apportato, in senso peggiorativo, nella qualità della vita del danneggiato o nella sua sfera morale. Potranno ritenersi presuntivamente le alterazioni, quale diretta conseguenza dell'illecito, rientranti nella sfera morale del danneggiato, solo in presenza di puntuali allegazioni. Conclusioni
Si auspica al più presto una sentenza da parte delle Sezioni Unite che non solo qualifichi “definitivamente” il danno non patrimoniale, ma che possa anche indicare alcuni criteri chiave per la prova del danno, in modo tale da poter escludere a priori le lesioni che non presentino nemmeno i requisiti minimi. Nel frattempo la “prova rigorosa” deve essere indotta da ogni documentazione utile e oggettiva affinché si possa determinare innanzitutto l'effettiva esistenza del danno paventato e successivamente la sua quantificazione. |