Danno da vacanza rovinata: il caso del ritardato rientro

Andrea Ferrario
16 Marzo 2016

Se per la durata programmata della vacanza sono state fornite, regolarmente e soddisfacentemente, tutte le prestazioni promesse nel pacchetto turistico, non può ravvisarsi la ricorrenza del c.d. danno da “vacanza rovinata” ove il viaggio di rientro subisca un contenuto ritardo.
Massima

Se per la durata programmata della vacanza sono state fornite, regolarmente e soddisfacentemente, tutte le prestazioni promesse nel pacchetto turistico, non può ravvisarsi la ricorrenza del c.d. danno da “vacanza rovinata” ove il viaggio di rientro subisca un contenuto ritardo (nella specie di un giorno) rispetto al termine originariamente pattuito con il tour operator, non potendo una siffatta evenienza incidere negativamente sulla vacanza già interamente fruita e ciò soprattutto allorché nel giorno di prolungata permanenza vengano forniti adeguati servizi di supporto.

Il caso

Due amiche, trascorso un periodo di soggiorno in Egitto e ormai pronte al rientro, debbono tuttavia archiviare l'esperienza, fino a quel momento soddisfacente, all'insegna di un fastidioso contrattempo: il viaggio di ritorno, previsto nel pacchetto per il 6 gennaio, viene infatti inopinatamente differito al giorno successivo. Nonostante il buon esito della vacanza e benché nel corso della permanenza forzata all'estero vengano anche assicurati dagli organizzatori adeguati servizi di supporto, le due agguerrite turiste, fatto ritorno in Italia, convengono in giudizio il tour operator chiedendo il risarcimento dei danni. Questi fatti valere in una duplice prospettiva: in primo luogo rivendicando l'indennizzo previsto dal Reg. CEE 261/2004 per il “negato imbarco”, secondariamente, invocando appunto un preteso danno da “vacanza rovinata”. Il Tribunale investito della controversia respinge entrambe le richieste. La vicenda viene quindi portata in appello. La Corte riforma, ma solo parzialmente, il primo decisum, accordando in favore delle attrici la compensazione pecuniaria prevista dalla menzionata disposizione comunitaria e corrispondente a totali € 1.200,00. Confermano invece i giudici del gravame il capo della prima decisione con il quale era stata esclusa nella specie la ricorrenza del danno “da vacanza rovinata” ulteriormente rivendicato dalle appellanti. Ad avviso del giudice milanese, posto che dalle stesse allegazioni in fatto delle turiste si desume inequivocabilmente che per «tutta la durata programmata della vacanza erano state loro fornite … regolarmente e soddisfacentemente, tutte le prestazioni promesse», un contenuto ritardo della partenza non avrebbe potuto «incidere negativamente sulla vacanza già interamente fruita». Ciò a maggior ragione, argomentano i secondi giudici, se si considera che «nel giorno di prolungata permanenza in Egitto furono forniti servizi di supporto in ordine ai quali le appellanti non hanno sollevato alcuna critica».

La questione

Il c.d. danno da “vacanza rovinata” ricorre in ogni caso in cui si realizzi un mero disservizio, vale a dire una, anche solo relativamente modesta, divergenza quantitativa o qualitativa dal programma previsto dal pacchetto di viaggio (ad esempio, appunto, un breve differimento del rientro) o è invece necessario accertare che lo specifico inadempimento incida negativamente e in modo significativo sul complessivo corso della vacanza o sulla sua percezione? Che rilevanza può comunque avere nella valutazione della singola fattispecie, l'adozione di misure di conforto o supporto al viaggiatore adottate dall'organizzatore in presenza di eventi imprevedibili che possono comportare una circoscritta violazione degli accordi pattuiti prima della partenza?

Le soluzioni giuridiche

La Corte lombarda, benché con succinta motivazione, riflette in modo pregnante i più condivisi approdi del dibattito giurisprudenziale e dottrinale in tema di danno da “vacanza rovinata”, in parte anche recepiti nella vigente disciplina positiva di riferimento. A tale riguardo ricordiamo soprattutto l'art. 47 Cod. Turismo (d.lgs 23 maggio 2011, n.79) secondo la cui lettera il danno in argomento è «correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all'irripetibilità dell'occasione perduta» a cagione di un inadempimento del contratto turistico e può consistere in un autentico disagio psico-fisico, derivante dal mancato godimento in tutto o in parte della vacanza programmata. La risarcibilità di un tale pregiudizio, evidenzia però la stessa norma speciale dianzi citata, è condizionata dal fatto che l'inadempimento presupposto sia “di non scarsa importanza”, riecheggiando peraltro l'analogo disposto di cui all'art. 1455 c.c..

Come nella decisione in commento, le più frequenti difficoltà nel riconoscimento di questa particolare figura di danno non patrimoniale da inadempimento o inesatta esecuzione del contratto (danno che è bene distinguere da quelle diverse ed ulteriori conseguenze di pregiudizio meramente incidenti sul patrimonio del turista, quali - ad esempio - spese di vitto e alloggio non preventivate, costi per mezzi di trasporto alternativi, acquisti del corredo di viaggio a seguito di perdita del bagaglio, ecc.) si incentrano dunque essenzialmente nella non sempre agevole valutazione circa l'effettiva incidenza che l'evento disfunzionale ha riflesso sul sinallagma e quindi presuntivamente riverberato sullo stato interiore del contraente. Si tratta cioè di verificare, mediante un prudente apprezzamento di fatto della singola fattispecie, se e in che misura l'inesatta esecuzione delle prestazioni sia stata realmente idonea ad escludere l'utilità del contratto alla stregua dell'economia complessiva dello stesso (v. Cass. civ., sez. VI, ord., 13 gennaio 2012, n. 409). Ove tale precondizione non si verifichi e ci si trovi dunque al cospetto di un semplice disservizio o contrattempo, vale a dire di un fatto minore, marginale, di “scarsa importanza” (ex art. 47 Cod. Turismo o ex art. 1455 c.c.), la fattispecie non riesce a valicare la soglia della risarcibilità e si converte dunque in una delle numerose, piccole avversità quotidiane che, per quanto moleste, sono immeritevoli di tutela e insuscettibili di ristoro. Rientrando dunque in quella colorita galassia dei c.d. “danni bagatellari” che le quattro celebri sentenze gemelle di legittimità del 2008 (Cass. civ., Sez.Un., 11 gennaio 2008, n. 26972, 26973, 26974, 26975), hanno definitivamente estromesso dall'area della risarcibilità. In questo solco si è evidentemente mosso il giudice dell'impugnazione milanese, in conformità peraltro con altri simili precedenti di merito ispirati ai medesimi principi (v. Trib. Roma, sez. IX, 23 maggio 2011). Un breve spostamento della data di rientro (impregiudicate le eventuali conseguenze di danno patrimoniale, nella specie peraltro non allegate dalle attrici) non è stato così nel nostro caso ritenuto di per se solo un fatto idoneo a “rovinare” la piacevole vacanza ormai trascorsa ovvero a “incidere negativamente” su di essa. Il rinvio del volo di ritorno, non può aver cioè cagionato, in base ai fatti allegati e alla stregua di un criterio di ragionevolezza, alcun reale disagio; o almeno non un disagio tale da trasformare la vacanza, da quell'occasione di rigenerazione psico-fisica alla cui realizzazione il contratto era preordinato, in una fonte di stress, stanchezza, e frustrazione. Non pare peraltro irrilevante, nell'economia della decisione, anche il fatto che l'organizzazione si sia attivata per attenuare le conseguenze del disservizio. Tale “doverosa riduzione del danno cagionato dall'inesatto adempimento” del contratto ha infatti ulteriormente allontanato la possibilità che quella breve permanenza non programmata, si convertisse in un brutto ricordo, gettando un'ombra sulla complessiva esperienza e dunque frustrando in definitiva la finalità di svago e di relax sottesa allo stesso contratto di viaggio.

Osservazioni

La figura del c.d. danno da “vacanza rovinata”, richiama talune delle più dibattute tematiche relative alla risarcibilità del danno non patrimoniale. Accolta anche nell'area dell'inadempimento negoziale tale sfuggente categoria, con i connessi vantaggi probatori (v. diffusamente, proprio in tema di prova del danno da “vacanza rovinata”, Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2012), è necessario per altro verso arginare i rischi di overcompensation insiti nel sistema, soprattutto in relazione ad ipotesi di più evanescente individuazione come appunto quella qui in esame. Da qui, oltre alla previsione di un restrittivo termine prescrizionale (cfr. art. 45, ult. comma, Cod. turismo), l'enfasi posta dallo stesso legislatore, oltre che da dottrina e giurisprudenza, sulla necessità che il riconoscimento di tale, come di altri consimili danni, sconti un rigoroso vaglio preventivo incidente sulla gravità e serietà del pregiudizio, anche in vista del concorrente dovere di solidarietà sociale, di cui all'art. 2 della Costituzione. Come più volte ribadito dalla Corte regolatrice, i principi di centralità della persona e di integralità del risarcimento non possono mai giustificare la tutela risarcitoria di meri disappunti e piccoli disagi. Quello della vacanza “rovinata” è senz'altro un interessante banco di prova di questi principi. E in quest'ottica sembra opportuno anche un atteggiamento di particolare equilibrio degli stessi turisti/consumatori. Un banale ritardo, un modesto disservizio, quelle piccole delusioni che possono talora incrinare la percezione della propria sospirata vacanza, non sono e non possono commutarsi in altrettanti danni da “vacanza rovinata”. E in questo quadro soccorrono anche i principi di correttezza e buona fede che, sempre di più, assolvono una funzione di chiusura del sistema; implicando ad esempio, anche per questa via, che non possa essere attribuita all'organizzatore il rischio di una facilmente prevedibile instabilità atmosferica, ovvero che non si possano convertire in danno, piccoli cambiamenti di itinerario o di orario, o simili eventi rientranti entro la soglia di normale tollerabilità.