Risarcito il danno al figlio da privazione del rapporto genitoriale e ammessa l’azione di ripetizione del genitore condebitore in solido
16 Dicembre 2014
Massima
Trib. Milano, sez. IX civ., 23 luglio 2014 “La violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole, a causa del disinteresse mostrato nei confronti dei figli per lunghi anni, integra gli estremi dell'illecito civile, cagionando la lesione di diritti costituzionalmente protetti, e dà luogo ad un'autonoma azione dei medesimi figli volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 c.c. In particolare, è un comportamento rilevatore di responsabilità genitoriale l'avere deprivato i figli della figura genitoriale paterna, che costituisce un fondamentale punto di riferimento soprattutto nella fase della crescita, e idoneo ad integrare un fatto generatore di responsabilità aquiliana. La voce di pregiudizio in esame sfugge a precise quantificazioni in moneta e, pertanto, si impone la liquidazione in via equitativa ex art. 1226 c.c. In merito alla quantificazione in concreto, in caso di danno endofamiliare da privazione del rapporto genitoriale, può essere applicata, come riferimento liquidatorio, la voce ad hoc prevista dalle tabelle giurisprudenziali adottate dall'Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano (“perdita del genitore”)”. Sintesi del fatto
Tizia, premesso di aver convissuto con Caio, che dall'unione è nata Sempronia (minore dell'età di anni 13 alla data dell'introduzione della causa) e che Caio, pur avendo riconosciuto la figlia, ha abbandonato il nucleo familiare quando quest'ultima aveva circa un anno (omettendo quindi di provvedere al suo mantenimento), ha agito in giudizio, in proprio ed in qualità di esercente la potestà sulla minore, onde ottenere la condanna di Caio al mantenimento della figlia, nonché al risarcimento del danno e alla restituzione di quota parte delle somme anticipate nel tempo per il mantenimento della figlia medesima.
In motivazione
Le questioni
Le principali questioni esaminate nella sentenza in commento concernono:
Le soluzioni giuridiche
La sentenza in commento si pone nel consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità a mente del quale l'obbligo dei genitori di mantenere ed educare i figli ha fonte legale (artt. 147 e 148 c.c.), discende dal mero fatto della generazione e decorre dal momento della nascita. In caso di inadempimento di tale obbligazione il genitore adempiente, quale condebitore in solido nei confronti del figlio, può agire in regresso nei confronti dell'altro ex art. 1299 c.c. onde ottenere il rimborso pro quota delle spese sostenute dalla nascita. Di contro il figlio, in quanto titolare del diritto di rilievo costituzionale di condividere fin dalla nascita con il proprio genitore la relazione filiale sia nella sfera intima sia nella sfera sociale (quali profili che integrano il nucleo costitutivo originario dell'identità personale e relazionale dell'individuo ex artt. 2 e 30 Cost., nonché 24 della Carta), può azionare la responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare e richiedere quindi ex art. 2059 c.c. il ristoro del danno non patrimoniale subito per la privazione genitoriale. Nel quantificare sia la quota delle spese sostenute dal genitore adempiente sia il danno non patrimoniale subito dal figlio il giudice del merito ben può avvalersi della c.d. liquidazione equitativa, pur dovendo in tal caso, onde evitare che la sua decisione trasmodi in arbitrio, indicare i criteri seguiti per determinare l'entità del risarcimento e, segnatamente, dar conto di aver posto a base della liquidazione i dati di fatto acquisiti al giudizio. Quindi, mentre per quanto attiene all'azione di regresso può utilizzarsi come parametro per la liquidazione equitativa l'importo riconosciuto per il mantenimento del figlio in ipotesi non ancora economicamente autosufficiente al momento del giudizio (previa opportuna attualizzazione della somma riconosciuta alla data della nascita del figlio – od alla data dell'inadempimento se posteriore – e successiva rivalutazione anno per anno di tale importo), per quanto concerne il danno non patrimoniale da privazione genitoriale può farsi ricorso alla voce “perdita del genitore” delle Tabelle del Tribunale di Milano opportunamente ridotta in considerazione della non necessaria definitività della perdita, atteso che tali tabelle, in quanto ampiamente diffuse sul territorio nazionale, garantiscono la necessaria uniformità di trattamento e costituiscono dunque valido parametro della valutazione equitativa del danno (tanto che l'applicazione di altre tabelle o l'erronea applicazione delle tabelle di Milano può anche dar luogo ad un vizio di violazione di legge della pronunzia censurabile in sede di legittimità). Deve comunque in ogni caso escludersi che, ai fini dell'individuazione del quantum risarcibile, possa assumere rilievo il momento in cui viene esperita l'azione giudiziale, giacché la mancanza del genitore crea una situazione di privazione affettiva di natura stabile ed insuscettibile di mutamenti quanto meno fino al raggiungimento della maggiore età.
Qualificate nei suesposti termini le azioni esperibili a fronte dell'inadempimento del genitore agli obblighi di educazione e mantenimento, deve segnalarsi che il profilo di maggiore criticità in ordine a tali azioni è senza dubbio costituito dall'individuazione del termine iniziale della relativa prescrizione. Sul punto, pur essendo in giurisprudenza costante l'affermazione – fatta propria anche dalla sentenza in commento – secondo cui l'obbligazione di educazione e mantenimento sorge fin dalla nascita e per il sol fatto della procreazione, debbono segnalarsi diversi orientamenti nella giurisprudenza di legittimità e di merito. In particolare, a fronte dell'orientamento tradizionale e consolidato della giurisprudenza di legittimità a mente del quale tali azioni sarebbero esperibili solo dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di accertamento della filiazione naturale ovvero dall'avvenuto riconoscimento (in quanto, pur decorrendo comunque ex tunc dalla nascita gli effetti del riconoscimento, solo da tale momento si costituirebbe lo status di figlio naturale e sarebbe quindi ipotizzabile ex art. 2935 c.c. il decorso della prescrizione), si registrano anche pronunce di legittimità che, in relazione ad isolate e specifiche fattispecie in cui era impossibile il riconoscimento, hanno ritenuto accertabile incidenter tantum la filiazione proprio sul presupposto della nascita dell'obbligo del genitore naturale di concorrere nel mantenimento del figlio per effetto della sola procreazione. Una recente pronunzia di merito ha tuttavia sottolineato come l'orientamento c.d. tradizionale della giurisprudenza di legittimità determinerebbe dei pericolosi vuoti di tutela, come nel caso del figlio, pur non economicamente autosufficiente, che non ritenga conforme ai propri interessi una pronuncia sullo status, nel caso del figlio che non dia il consenso al riconoscimento tardivo così precludendo al genitore adempiente di agire in regresso, nel caso dei figli non riconoscibili, nel caso del mancato assenso od autorizzazione del giudice al riconoscimento tardivo o, ancora, nel caso del figlio morto prima dell'esperimento dell'azione. Orbene stando a tale orientamento della giurisprudenza di merito si imporrebbe quindi un'interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 147, 148 e 315 c.c. in forza della quale il giudice adito per l'azione di regresso o per il mantenimento ben potrebbe sempre accertare in via meramente incidentalmente la filiazione, così riconducendosi effettivamente il diritto del figlio all'educazione ed al mantenimento al solo fatto biologico della procreazione e non, invece, allo status formale di figlio. Tale ricostruzione sistematica vorrebbe quindi far decorrere la prescrizione decennale dell'azione di regresso da ogni singola spesa effettuata dal genitore adempiente (maggiorata degli interessi decorrenti vuoi dalla domanda vuoi dal precedente atto di costituzione in mora), coerentemente, del resto, con quanto di norma accade nell'ambito dell'azione ex art. 1299 c.c. Analogamente, ben potendo anche l'azione risarcitoria essere coltivata a prescindere dal riconoscimento o da una sentenza sullo status passata in giudicato, secondo tale orientamento il relativo termine quinquennale di prescrizione decorrerebbe, sia per quanto concerne l'obbligo di mantenimento sia per quanto concerne l'obbligo di educazione, dal raggiungimento dell'autonomia economica, cui nella maggior parte dei casi si accompagna il conseguimento di una completa autonomia anche psicologica. Pare a chi scrive che, pur potendosi condividere l'intento di ampliamento delle tutele posto a fondamento del recente orientamento della giurisprudenza di merito, tale orientamento, generalizzando il rilievo incidentale della filiazione, non assicuri la certezza necessariamente richiesta vuoi dalle questioni relative allo status vuoi dalla normativa sulla prescrizione. Basti infatti considerare:
Tale complessa ricostruzione induce quindi ad auspicare un intervento legislativo o nomofilattico che consenta all'interprete di assicurare tanto la tutela tanto la certezza del diritto, dove la certezza è in siffatta materia una - se non la prima - delle tutele che l'ordinamento è demandato ad apprestare. Nelle more a chi scrive pare che il c.d. orientamento tradizionale risulti preferibile in quanto assicura maggiore certezza e conoscibilità del dies a quo della prescrizione in relazione ad entrambe le azioni in esame e consente inoltre di mantenere una nozione unitaria di status valevole ad ogni effetto di legge. Non si ritiene per altro verso che tale orientamento restituisca un'insanabile incompatibilità tra i principi generali della materia, come invero sostenuto da chi ritiene che tale orientamento imponga all'interprete di ritenere al contempo che si debba ancorare alla procreazione del figlio il momento della nascita dell'obbligo di mantenimento e che tuttavia si possa azionare tale obbligo solo a seguito del riconoscimento o del passaggio in giudicato della sentenza di accertamento della filiazione naturale. Ben può infatti argomentarsi che, nei casi in cui sia possibile il riconoscimento, questo costituisca il fatto fonte dell'obbligazione ex lege di educazione e mantenimento del figlio, atteso che altro è l'individuazione del momento di decorrenza degli effetti dell'obbligazione di fonte legale altro è l'individuazione del fatto che, secondo l'ordinamento, sia fonte di tale obbligazione e trasformi quindi un fatto puramente naturale, come la procreazione, in una fonte di rapporti giuridici. Di contro, nei soli casi di impossibilità di procedere al riconoscimento, la tutela del minore potrà effettivamente essere assicurata ricorrendo all'applicazione – eventualmente anche in via estensiva – dell'art. 279 c.c., con conseguente residualità del ricorso da parte del giudice dell'accertamento incidentale dello status. Merita infine un riferimento anche l'esigenza di tutela – prossima, se non in atto - del minore di fatto cresciuto ed educato sin dalla nascita da una coppia omosessuale (quale figlio riconosciuto di uno dei due componenti della coppia, ma a normativa vigente né riconoscibile né adottabile dall'altro) e successivamente privato del supporto economico ed affettivo del partner che non lo aveva riconosciuto. In relazione a tale fattispecie, allo stato in alcun modo disciplinata dalla normativa positiva, potrebbe eventualmente delinearsi o un'ipotesi di responsabilità da contatto sociale o una vera e propria azione contrattuale nel caso in cui si ritenga, nell'ottica di un'interpretazione costituzionalmente orientata della normativa di settore, di escludere l'illiceità della causa di un contratto intervenuto tra i componenti della coppia omosessuale in forza del quale entrambi i componenti della coppia si obblighino formalmente a mantenere il minore riconosciuto solo da uno di loro (accordo ritenuto peraltro già lecito dalla giurisprudenza di legittimità nel caso di figlio procreato da una coppia eterosessuale e non riconosciuto da uno dei genitori). Entrambe le ipotesi peraltro, ove ritenute percorribili, comporterebbero anche l'ampliamento dei termini prescrizionali dell'azione di responsabilità a favore del minore cresciuto da una coppia omosessuale rispetto al minore “procreato” da una coppia eterosessuale. |