Ricovero in casa di cura e responsabilità di plurimi debitori
17 Marzo 2015
Massima
Pur quando manchi un rapporto di subordinazione o di collaborazione tra clinica e sanitario, deve ritenersi consustanziale al dovere di diligente espletamento della prestazione l'obbligo del medico di accertarsi preventivamente che la Casa di cura dove si appresta a operare sia pienamente idonea, sotto ogni profilo, ad offrire tutto ciò che serve per il sicuro e ottimale espletamento della propria attività; così come, reciprocamente la Casa di cura è obbligata a vigilare che chi si avvale della sua organizzazione sia abilitato all'esercizio della professione medica in generale e, in particolare, al compimento della specifica prestazione di volta in volta richiesta nel caso concreto. Sintesi del fatto
La vicenda posta all'attenzione della Suprema Corte riguarda un caso di malpractice medica ove nel corso del parto - risultati vani i numerosi tentativi di espulsione naturale del feto, non essendo più praticabile il taglio cesareo, il ginecologo, provvide a estrarre il bambino facendo uso del forcipe – ed in conseguenza di tale intervento il neonato manifestò sintomi di sofferenza perinatale, con successiva diagnosi di emorragia endocranica da parto distocico. I giudici di legittimità confermano la sentenza di merito che aveva evidenziato come, sulla base degli argomentati rilievi degli ausiliari, l'errato impiego del forcipe dovesse ritenersi fattore causale essenziale nella eziologia della patologie che affliggevano il bambino.
In motivazione «Pur quando manchi un rapporto di subordinazione o di collaborazione tra clinica e sanitario, sussiste comunque un collegamento tra i due contratti stipulati, l'uno tra il medico ed il paziente, e l'altro, tra il paziente e la Casa di cura, contratti aventi ad oggetto, il primo, prestazioni di natura professionale medica, comportanti l'obbligo di abile e diligente espletamento dell'attività professionale (e, a volte, anche di raggiungimento di un determinato risultato) e, il secondo, prestazione di servizi accessori di natura alberghiera, di natura infermieristica ovvero aventi ad oggetto la concessione in godimento di macchinari sanitari, di attrezzi e di strutture edilizie specificamente destinate allo svolgimento di attività terapeutiche e/o chirurgiche, di modo che deve ritenersi consustanziale al dovere di diligente espletamento della prestazione l'obbligo del medico di accertarsi preventivamente che la Casa di cura dove si appresta a operare sia pienamente idonea, sotto ogni profilo, ad offrire tutto ciò che serve per il sicuro e ottimale espletamento della propria attività; così come, reciprocamente la Casa di cura è obbligata a vigilare che chi si avvale della sua organizzazione sia abilitato all'esercizio della professione medica in generale e, in particolare, al compimento della specifica prestazione di volta in volta richiesta nel caso concreto». La questione
La questione in esame è la seguente: in caso di responsabilità sanitaria, quali sono le condizioni per ritenere la responsabilità della struttura sanitaria e del personale medico?
La soluzione giuridica
Secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte, da cui non vi è motivo di discostarsi, la responsabilità del medico trova titolo nell'inadempimento delle obbligazioni ai sensi dell'art. 1218 c.c. e ss, (v. Cass. n. 577/2008; Cass. n. 8826/2007; Cass. n. 8826/2007), essendo irrilevante la mancanza di una stipulazione diretta col paziente, in particolare nei casi di medico dipendente dalla struttura sanitaria in cui sia attuato l'intervento. Ed infatti, gli ultimi approdi della giurisprudenza di legittimità, seguita pressoché costantemente ed uniformemente da quella di merito, hanno condotto all'affermazione di una responsabilità contrattuale derivante dalla fattispecie del cosiddetto contatto sociale da cui scaturisce ex lege, una serie di prestazioni e di obblighi specifici: lealtà reciproca, diligenza e perizia professionali, informazioni prima e durante il trattamento sanitario e perfino dopo la fine delle terapie. Una serie di obbligazioni dunque tra soggetti determinati e di contenuto specifico, dirette a soddisfare un interesse predefinito, e non, o meglio, non solo l'interesse generico a non subire lesioni nella sfera dei propri diritti. Sotto l'aspetto degli obblighi e delle prestazioni, cioè, non sono rinvenibili differenze di rilievo a seconda che il rapporto nasca da un vero e proprio accordo negoziale diretto tra medico e paziente ovvero dal contratto intercorso tra quest'ultimo e la struttura sanitaria in cui il medico, a qualsiasi titolo, presta la sua attività (cfr., in tal senso ed ex permultis, Cass. n. 589/1999; Cass. n. 9556/2002; Cass. n. 9085/2006). Pertanto, la responsabilità del medico per i danni causati al paziente postula la violazione dei doveri inerenti al suo svolgimento, tra i quali quello della diligenza, che va a sua volta valutato con riguardo alla natura dell'attività e che, in rapporto alla professione di medico chirurgo, implica una scrupolosa attenzione ed un'adeguata preparazione professionale (Cass. n. 8845/1995). Trattandosi di obbligazione professionale, in base al combinato disposto di cui all'art. 1176, comma 2, c.c., e art. 2236 c.c., va osservata la diligenza ordinaria del buon professionista (Cass. n. 12995/2006), vale a dire la diligenza qualificata quale modello di condotta che si estrinseca nell'adeguato sforzo tecnico, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili, in relazione alla natura dell'attività esercitata, volto all'adempimento della prestazione dovuta ed al soddisfacimento dell'interesse creditorio, nonché ad evitare possibili eventi dannosi (Cass. n. 8826/2007). Il criterio della normalità va allora valutato con riferimento alla diligenza media richiesta, avuto riguardo alla specifica natura e alle peculiarità dell'attività esercitata, e la condotta del medico specialista va esaminata avendosi riguardo alla peculiare specializzazione e alla necessità di adeguarla alla natura e al livello di pericolosità della prestazione, implicante scrupolosa attenzione e adeguata preparazione professionale (Cass. n. 583/2005), essendogli richiesta la diligenza particolarmente qualificata dalla perizia e dall'impiego di strumenti tecnici adeguati allo standard professionale della sua categoria. Una diversa misura di perizia è infatti dovuta in relazione alla qualifica professionale del debitore, in relazione ai diversi gradi di specializzazione propri dello specifico settore professionale. Ai diversi gradi di specializzazione corrispondono in realtà diversi gradi di perizia, dovendo distinguersi tra una diligenza professionale generica e una diligenza professionale variamente qualificata (Cass. n. 8826/2007). Chi assume un'obbligazione nella qualità di specialista, o una obbligazione che presuppone una tale qualità, è tenuto alla perizia che è normale della sua categoria. Lo sforzo tecnico implica anche l'uso degli strumenti materiali normalmente adeguati, ossia l'uso degli strumenti comunemente impiegati nel tipo di attività professionale in cui rientra la prestazione dovuta. Per altro verso, la Suprema Corte, poi, ha costantemente configurato la responsabilità dell'ente ospedaliero come di natura contrattuale, sul rilievo che l'accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale ovvero di un intervento chirurgico, comporta la conclusione di un contratto (Cass. n. 6141/1978; Cass. n. 1716/1979; Cass. n. 2144/1988; Cass. n. 6707/1988; Cass. n. 5939/1993; Cass. n. 4152/1995; Cass. n. 7336/1998; Cass. n. 12233/1998; Cass. n. 589/1999; Cass. n. 13066/2004; Cass. n. 19133/2004; Cass. n. 2042/2005; Cass. n. 7997/2005; Cass. n. 22894/2005; Cass. n. 12362/2006). Si tratta, in particolare:
La responsabilità contrattuale di tale struttura nei confronti del paziente può dunque derivare, a norma dell'art. 1218 c.c., sia dall'inadempimento di quelle obbligazioni che sono direttamente a carico dell'ente debitore, sia, a norma dell'art. 1228 c.c., dall'inadempimento della prestazione medico - professionale svolta direttamente dal sanitario, che assume la veste di ausiliario necessario del debitore. È poi irrilevante stabilire, nella fattispecie che ci occupa, se detta responsabilità sia conseguenza dell'applicazione dell'art. 1228 c.c., per cui il debitore della prestazione che si sia avvalso dell'opera di ausiliari risponde anche dei fatti dolosi o colposi di questi, ovvero del principio di immedesimazione organica, per cui l'operato del personale dipendente di qualsiasi ente pubblico o privato ed inserito nell'organizzazione del servizio determina la responsabilità diretta dell'ente medesimo, essendo attribuibile all'ente stesso l'attività del suo personale (Cass. n. 9269/1997; Cass. n. 10719/2000). Infatti, ciò che rileva, in questa sede, è che l'ente ospedaliero risponde direttamente della negligenza ed imperizia dei propri dipendenti nell'ambito delle prestazioni sanitarie effettuate al paziente: in altri termini, l'ente ospedaliero è contrattualmente responsabile se il suo medico è almeno in colpa, applicandosi il corrispondente regime dell'onere probatorio. L'affermata natura contrattuale della responsabilità della casa di cura, del resto, non ha mancato, proprio in epoca assai recente, di trovare il conforto delle Sezioni Unite Civili della Suprema Corte di Cassazione, le quali con la ormai notissima sentenza dell'11 gennaio 2008, n. 577 hanno prestato sostanziale adesione a tale opzione ermeneutica, affermando che, «per quanto concerne la responsabilità della struttura sanitaria nei confronti del paziente è irrilevante che si tratti di una casa di cura privata o di un ospedale pubblico in quanto sostanzialmente equivalenti sono a livello normativo gli obblighi dei due tipi di strutture verso il fruitore dei servizi, ed anche nella giurisprudenza si riscontra una equiparazione completa della struttura privata a quella pubblica quanto al regime della responsabilità civile anche in considerazione del fatto che si tratta di violazioni che incidono sul bene della salute, tutelato quale diritto fondamentale dalla Costituzione, senza possibilità di limitazioni di responsabilità o differenze risarcitorie a seconda della diversa natura, pubblica o privata, della struttura sanitaria» (cfr., nello stesso senso Cass. n. 4048/2005). Osservazioni
In definitiva, possono ritenersi approdi unanimemente condivisi dalla Corte di Nomofilachia sia l'inquadramento della responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, - sul rilievo che l'accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto (Cass. n. 1698/2006; Cass. n. 9085/2006; Cass. n. 10297/2004; Cass. n. 3492/2002; Cass., n. 11001/2003; Cass. n. 11316/2003); sia la qualificazione giuridica in termini pressoché analoghi dell'obbligazione assunta, nei confronti del paziente, dal medico che abbia eseguito l'intervento a prescindere dalla circostanza che quest'ultimo sia dipendente dalla struttura sanitaria in cui venga eseguito l'intervento ovvero sia il medico di fiducia del paziente in quest'ultima ricoverato. A questi fini è, infatti, sufficiente che la struttura sanitaria comunque si avvalga dell'opera del medico, non valendo ad escludere la sua responsabilità la circostanza che ad eseguire l'intervento sia un medico di fiducia del paziente, sempre che la scelta cada (anche tacitamente) su un professionista inserito nella struttura sanitaria ovvero che si avvalga di tale struttura, giacché la scelta del paziente risulta in tali ipotesi operata pur sempre nell'ambito di quella più generale ed a monte effettuata dalla struttura sanitaria, come del pari irrilevante è che la scelta venga fatta dalla struttura sanitaria con (anche tacito) consenso del paziente (Cass. n. 8826/2007; Cass. n. 13953/2007; Cass. n. 13066/2004; Cass. n. 589/1999; Cass. n. 19564/2004; Cass. n. 11488/2004; Cass. n. 9085/2006). Non rileva, quindi, che il sanitario che esegue l'intervento possa essere anche sanitario di fiducia del paziente, ove la scelta ricada su un soggetto comunque collegato all'organizzazione aziendale della casa di cura. La prestazione dell'ausiliario, cioè del medico, è necessaria per l'esecuzione della prestazione della casa di cura, che si obbliga alla messa a disposizione del personale medico e paramedico e delle attrezzature necessarie per l'intervento e, dunque, si avvale del medico, sia pure di fiducia, del paziente (Cass. n. 24791/2008). Sulla scorta di tali premesse, la S.C. ha ritenuto accertato che il medico operatore, nel caso sottoposto al suo esame, era «collaboratore della clinica» e, quindi, pur scelto dalla paziente, era comunque "ausiliario" del debitore stante la sussistenza di un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e l'organizzazione aziendale. |