La consulenza tecnica preventiva e la nuova condizione di procedibilità: disciplina, tempi, soggetti
18 Luglio 2017
Ai sensi dell'art. 8 della l. 24/2017 l'azione civile di risarcimento danni da responsabilità sanitaria deve essere preceduta, a pena di improcedibilità, dal ricorso per consulenza tecnica preventiva di cui all'art. 696-bis c.p.c. o, in alternativa, dal procedimento di mediazione ai sensi del d.lgs. n. 28/2010 (art. 5, comma 1-bis), è invece esclusa la necessità di procedere alla negoziazione assistita di cui all'art. 3 l. 132/2014. Quanto all'ambito applicativo della nuova condizione di procedibilità va chiarito che se da un lato vi sono soggette tutte le domande risarcitorie, e dunque, non solo quelle svolte nei confronti della struttura e dell'esercente la professione sanitaria ai sensi dell'art. 7 ma anche quelle svolte con azione diretta nei confronti della compagnia di assicurazione ai sensi dell'art. 12, dall'altro andrebbero escluse le azioni di rivalsa esercitate ai sensi dell'art. 9 della legge. Dubbi sorgono per quanto attiene alla applicabilità della condizione di procedibilità alle controversie di mero accertamento della responsabilità atteso il tenore letterale della norma (“controversia di risarcimento del danno”). Per tali controversie, peraltro del tutto residuali, parrebbe doversi continuare ad applicare il previgente e più ampio disposto dell'art. 5 comma 1-bis d.lgs. n. 28/2010. Quanto alla natura dell'accertamento l'art. 8 in esame da un lato rende manifesta la natura prevalentemente conciliativa dell'ATP, dall'altro ne riconosce chiaramente anche una funzione di anticipazione della prova quantomeno in relazione al momento acquisitivo della valutazione medico legale. La rilevanza a fini probatori dalla consulenza redatta in sede di ATP risulta, infatti, sia dalla previsione che il successivo giudizio di merito venga introdotto innanzi al medesimo giudice che ha trattato il procedimento per ATP, il quale ovviamente già conoscerà l'attività sino a quel momento svolta, sia dalla individuazione del rito sommario per il giudizio di merito. La sommarietà si spiega, anche se come si dirà la tesi non convince, nell'ottica della piena utilizzabilità della documentazione e delle valutazioni acquisite in sede di ATP. Quanto alle parti del procedimento, esse devono coincidere con quelle che potrebbero essere parti nel giudizio di merito da instaurarsi nell'ipotesi di fallimento della conciliazione, atteso che il comma 3 dell'art. 8 afferma che la partecipazione «è obbligatoria per tutte le parti comprese le imprese di assicurazione». Dal tenore della disposizione in esame sembrerebbe doversi desumere che la partecipazione delle parti sia obbligatoria per tutta la durata del procedimento. Non si ravvisano, invece, elementi che depongano nel senso della obbligatoria partecipazione “personale” delle parti né della impossibilità di conferire procure ad hoc come da alcuni sostenuto (M.VACCARI, L'ATP obbligatorio nelle controversie di risarcimento dei danni derivanti da responsabilità sanitaria, in Ridare.it).
L'art. 8 nella sua definitiva formulazione prevede, inoltre, non solo, come detto, la necessaria ed obbligatoria partecipazione al procedimento di tutte le parti, comprese le imprese di assicurazione, ma anche l'obbligo a carico delle assicurazioni di formulare una offerta risarcitoria ovvero di comunicare i motivi per i quali essa non viene formulata. Entrambi tali obblighi trovano espressa sanzione nel disposto del comma 4 dell'art. 8. L'impresa di assicurazione che non abbia formulato la proposta transattiva o non abbia esplicitato le ragioni per le quali non lo abbia fatto in caso di accoglimento della domanda risarcitoria sarà, infatti, soggetta alla segnalazione da parte del Giudice all'Ivass “per gli adempimenti di competenza”. La mancata partecipazione delle parti al procedimento è, invece, sanzionata direttamente dal Giudice del procedimento di merito il quale, con il provvedimento che definisce il giudizio, condanna la parte non presente in sede di ATP conciliativo al pagamento in favore della parte comparsa delle spese di lite e di consulenza, oltre che al pagamento di una pena pecuniaria da liquidarsi in via equitativa e ciò “indipendentemente dall'esito del giudizio” e, dunque, anche in ipotesi di totale rigetto della domanda attorea. Va, peraltro, sottolineato, da un lato, che la norma non sembra attribuire alcuna discrezionalità al giudice il quale è tenuto ad emettere la condanna della parte non comparsa e, dall'altro, che non solo non è previsto alcun parametro per la determinazione della pena pecuniaria a differenza di quanto, invece, previsto in altre analoghe ipotesi sanzionatorie ma è anche ipotizzabile che la condanna venga disposta a favore di più parti ove ne siano comparse alcune e non altre. La norma, infatti, non prevede la condanna a favore del solo ricorrente ma della “parte comparsa”. Tale essendo il disposto normativo alcune considerazioni preliminari appaiono necessarie al fine di rendere quanto più proficuo possibile lo svolgimento della consulenza a fini conciliativi anche nell'ottica della successiva utilizzabilità della stessa nel procedimento di merito in ipotesi di mancato raggiungimento di un accordo. In primo luogo deve rilevarsi che mentre l'art. 8 è norma di immediata applicazione, le disposizioni di cui all'azione diretta nei confronti dell'assicurazione si applicano a decorrere dall'entrata in vigore del decreto ministeriale che dovrà essere emanato (entro 120 giorni) a norma dell'art. 10, comma 6 (ove devono essere dettati requisiti minimi sulle polizze assicurative) e che pertanto è prevedibile un periodo di non brevissima durata nel quale verranno proposti ricorsi per ATP ai sensi dell'art. 8 nei soli confronti delle strutture e/o dei singoli sanitari senza possibile coinvolgimento diretto delle compagnie di assicurazione. Va, inoltre considerato che il litisconsorzio previsto all'art. 12 per l'ipotesi della neo introdotta azione diretta nei confronti dell'assicurazione e per estensione anche di ricorso per ATP ha carattere processuale ed unilaterale nel senso che mentre la partecipazione al giudizio del responsabile del danno è necessaria quando il danneggiato proponga azione diretta nei confronti dell'assicuratore, ove questi eserciti l'azione nei confronti del danneggiante senza citare l'assicuratore, questi non assume la veste di litisconsorte necessario e potrà quindi essere pretermesso. Deve dunque valutarsi l'opportunità/necessità che le compagnie partecipino in ogni caso al procedimento ex art. 696-bis c.p.c. e, dunque, sia alla fase del tentativo di conciliazione sia alla fase lato sensu di raccolta della prova o meglio di valutazione tecnica da parte del consulente al fine di rendere utilizzabile la consulenza nel successivo giudizio di merito che le vedrà molto probabilmente coinvolte. È ben possibile, peraltro, che, nonostante la norma che introduce l'azione diretta non sia di immediata applicazione, il ricorrente convenga in sede di ATP anche l'assicurazione della struttura e/o del professionista. Cosa fare in tal caso? Io riterrei senz'altro ammissibile la partecipazione, anche alla luce della funzione conciliativa dell'ATP e del rilievo che, essendo di norma l'assicuratore il soggetto “pagante”, difficilmente potrà raggiungersi un accordo in sede di ATP in sua assenza. Ritengo, tuttavia, che ove “irritualmente” citata, dalla mancata partecipazione dell'assicurazione alla procedura non possano essere tratte le conseguenze sanzionatorie predisposte dall'art. 8 in esame. Cosa fare, invece, se con il ricorso per ATP il danneggiato abbia convenuto solo la struttura e/o il sanitario? L'art. 696-bis c.p.c., cui occorre fa riferimento per tutto quanto non specificamente disposto dall'art. 8 l. 24/2017, tace sulla possibilità che un terzo venga chiamato o intervenga nel procedimento di consulenza tecnica preventiva ai fini conciliativi. Tuttavia, la giurisprudenza e la dottrina sono prevalentemente orientate nel senso che non sussistano preclusioni alla partecipazione di terzi al procedimento de quo, partendo dall'assunto che il procedimento di consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis c.p.c. ha natura di giurisdizione contenziosa e non volontaria e, pertanto, debbono trovare applicazione le norme di diritto comune che disciplinano la partecipazione dei terzi al processo (art. 105 c.p.c. e ss.) . Del resto, tanto la possibilità di chiamare in causa un terzo (su istanza di parte o del giudice), quanto la possibilità di quest'ultimo di intervenire all'interno di un procedimento tra altri istaurato, non soltanto appaiono maggiormente rispondenti a determinata esigenze pratiche, ma permettono, anche, di ottenere un risultato opponibile al terzo, nei confronti del quale l'eventuale perizia resa inter alios altrimenti sarebbe inefficace. Dal necessario coordinamento tra i principi generali e le norme speciali in esame deriva, tuttavia, il dubbio sul concreto esercizio del potere discrezionale riconosciuto al giudice in ordine ai provvedimenti di cui agli artt. 106 e 107 c.p.c. in sede di ATP promosso ai sensi dell'art. 8 l. 24/2017. Sia nel caso di istanza del convenuto di chiamata in causa dell'assicurazione ex art. 106 c.p.c. che nel caso di chiamata iussu iudicis ex art. 107 c.p.c. il giudice nell'esercizio del suo potere discrezionale dovrà porsi il problema di bilanciare diverse esigenze contrapposte. Da un lato si pone, infatti, su un piano più generale l'esigenza di ragionevole durata del processo la cui valutazione è stata ritenuta dalla Suprema Corte “intrinseca” ad ogni scelta discrezionale, dopo la novella dell'art. 111 Cost. e, più specificamente, in relazione alla procedura in oggetto, l'esigenza di celerità del procedimento per ATP - esigenza ritenuta dal legislatore talmente rilevante da imporre un inusuale termine perentorio per la conclusione del procedimento stesso (vd infra) e tale da rendere se non impossibile quantomeno assai difficoltoso consentire i differimenti necessari per la chiamata in causa di terzi. Dall'altro si pone l'interesse generale di economia processuale che depone nel senso di far si che il procedimento per ATP si svolga in maniera proficua sia in termini di probabilità di un accordo conciliativo sia di successiva utilizzabilità della consulenza nel successivo giudizio di merito sia, infine, di soddisfacimento della condizione di procedibilità in relazione a tutti i soggetti potenzialmente coinvolti nel giudizio di merito. Appare preferibile, in linea di massima, autorizzare la chiamata in causa da parte dei resistenti (sia essa la struttura o i singoli sanitari o entrambi) delle rispettive assicurazioni mentre si ritiene di dover escludere la chiamata in causa dei singoli sanitari, non citati dal ricorrente, da parte della struttura in ragione delle notevoli limitazioni introdotte dalla legge di riforma alla esperibilità della domanda di rivalsa. Si è, peraltro, sottolineato che dal combinato disposto degli artt. 9 e 13 della legge emerge chiaramente che nella prospettiva del danneggiato la presenza del professionista non è affatto necessaria né in sede di ATP conciliativo né in sede di giudizio di merito risarcitorio (così A.BARLETTA, Il tentativo di conciliazione nell'art. 8 della legge Gelli-Bianco, in Ridare.it) Dubbia mi pare, invece, la possibilità della chiamata iussu iudicis delle assicurazioni in vista della futura azione diretta nei suoi confronti. In ogni caso anche laddove venisse disposta dovrebbe ritenersi, come per l'ipotesi in cui sia il ricorrente a convenirla, che dalla sua mancata partecipazione o mancata formulazione di una offerta non si possa trarre alcuna conseguenza sanzionatoria. Senz'altro da ammettere riterrei, invece, l'intervento volontario del singolo sanitario il quale, magari a seguito dell'avviso dell'instaurazione di un giudizio o dell'avvio di trattative stragiudiziali con il danneggiato che ai sensi dell'art. 13 della l. 24/2017 la struttura, pubblica o privata, deve inoltrare all'esercente la professione sanitaria, a pena di inammissibilità delle azioni di rivalsa o di responsabilità amministrativa, abbia interesse a partecipare alla procedura conciliativa (sul punto, A.BARLETTA, Il tentativo di conciliazione nell'art. 8 della legge Gelli-Bianco, in Ridare.it) Il procedimento
Dal punto di vista procedurale l'ATP risulta scarsamente disciplinato, dovendosi, pertanto, fare applicazione della disciplina prevista in generale dall'art. 696-bis c.p.c. In ordine alle condizioni dell'azione e presupposti processuali (l'integrità del contraddittorio, la legittimazione attiva e passiva, l'interesse ad agire ai sensi dell'art. 100 c.p.c.) si ritiene, peraltro, che valgano per l'istituto in esame i principi generali. Per quanto riguarda la forma della domanda l'art. 8 prevede espressamente che essa vada proposta con ricorso dinanzi al giudice competente. In sede di comparizione dovranno essere risolte anche le eventuali questioni di rito, non ultime quelle vertenti sulla opportunità di disporre eventuali chiamate in causa. Quanto alle modalità procedurali per effettuare la chiamata del terzo, all'udienza di comparizione ex art. 695 c.p.c. la parte resistente dovrà chiedere al giudice la fissazione di un termine per notificare l'atto al terzo chiamato onde consentire a quest'ultimo di far valere le sue eventuali difese alla successiva udienza. Alla luce della necessità di accelerare i tempi, tuttavia, si potrebbe ipotizzare di assegnare sin dal decreto di fissazione dell'udienza un termine al resistente per costituirsi e chiedere la chiamata del terzo benché dall'inosservanza di tale termine non possa farsi discendere alcuna decadenza o preclusione. Si tratterebbe più di un invito a collaborare alla rapidità della trattazione. Quanto all'intervento volontario del terzo, quest'ultimo potrà costituirsi nel procedimento sino all'udienza di comparizione ex art. 695 c.p.c. e fintanto che il giudice non abbia provveduto a conferire l'incarico al consulente. All'udienza di comparizione il giudice «nomina il consulente tecnico e fissa la data dell'inizio delle operazioni» (art. 696 comma 3 c.p.c.), o meglio, nomina il CTU formulando i quesiti tecnici sui quali il consulente dovrà rispondere e fissa l'udienza per il conferimento dell'incarico. In relazione alla nomina dei consulenti tecnici va tenuto conto che l'art. 15 della l. 24/2017 impone ora al giudice di affidare «l'espletamento della consulenza tecnica e della perizia a un medico specializzato in medicina legale e a uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento». È, inoltre, previsto che i consulenti nominati in sede di ATP «siano in possesso di adeguate e comprovate competenze nell'ambito della conciliazione acquisite anche mediante specifici percorsi formativi». In tale udienza provvederà ad assegnare il termine ai fini del deposito dell'elaborato, e a stabilire il compenso del perito, che sarà posto di norma a carico del ricorrente, salva comunque una diversa valutazione caso per caso. Il comma 3 dell'art. 8 fissa, infine, un termine di durata massima della procedura di sei mesi a decorrere dal deposito del ricorso, termine espressamente qualificato come perentorio, e come tale ai sensi dell'art. 152 c.p.c., non prorogabile. Il carattere di perentorietà attribuito ad un termine per lo svolgimento di un'attività lato sensu processuale appare a mio parere fortemente problematica. Se, infatti, è evidente la ratio acceleratoria della disposizione, occorre considerare che il termine di sei mesi, seppur non ridottissimo, potrebbe comunque risultare non adeguato nelle ipotesi maggiormente complesse sia da un punto di vista medico legale che da un punto di vista procedurale, come si è detto, per il numero di soggetti coinvolti. Dall'altro assai dubbie risultano essere le conseguenze che l'inosservanza del succitato termine perentorio può comportare. Taluni hanno, infatti, affermato che in caso di violazione del termine perentorio “la conseguenza non potrà che essere quella della inutilizzabilità nel successivo giudizio degli accertamenti che dovessero essere espletati dopo la scadenza del predetto termine e a fortiori della relazione che fosse stata depositata dopo quel momento (M.VACCARI, L'ATP obbligatorio nelle controversie di risarcimento dei danni derivanti da responsabilità sanitaria, in Ridare.it). In tale ottica dunque il giudice del giudizio di merito sarà tenuto a rinnovare quelle attività, con conseguente ritardo e aggravio di costi. Altri (M.RUVOLO E S.CIARDO, Approvata la nuova Legge sulla responsabilità sanitaria, cosa cambia?, in questionegiustizia.it), invece, partendo dal dato testuale della norma affermano che l'unica conseguenza connessa al mancato rispetto del termine perentorio di sei mesi è che l'attore potrà ritenere munita di procedibilità la sua domanda e instaurare o continuare il giudizio mentre l'attività svolta seppur tardivamente nell'ambito dell'accertamento tecnico tra le medesime parti potrà comunque essere utilizzata nel successivo giudizio di merito. A mio parere tale ultima soluzione appare preferibile in ossequio ad un principio generale di economia processuale benché imponga una forzatura del concetto di perentorietà del termine Il comma 3 dell'art. 8 prevede che ove la conciliazione non riesca o il procedimento non si concluda entro il termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso, la domanda diviene procedibile e gli effetti della domanda sono salvi se, entro novanta giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio, è depositato, presso il giudice che ha trattato il procedimento di cui al comma 1, il ricorso di cui all'art. 702-bis c.p.c. Il testo normativo prevede, dunque, che in caso di esito negativo della conciliazione il danneggiato proceda nel merito con il procedimento sommario ex art. 702-bis c.p.c.. che dovrebbe garantire una maggiore celerità. Vi è tuttavia il dubbio se le controversie in oggetto debbano essere sempre e comunque trattate nell'ambito di procedimenti sommari di cognizione. Sul punto mi limiterò a sottolineare che, se in un numero ridottissimo di casi, la causa di merito può essere decisa sulla sola base della CTU e dunque l'abbinata “consulenza preventiva- rito sommario” appare astrattamente idonea a realizzare il fine acceleratorio e deflattivo che le norme si prefiggono, nella maggior parte delle controversie in materia sanitaria in primo luogo vengono poste anche questioni che esulano dal tema affrontato dal consulente in via preventiva (si pensi al consenso informato, ai danni non patrimoniali diversi da quello biologico, ai danni parentali, danni patrimoniali) e che richiedono talvolta una istruttoria anche molto complessa, e dall'altro che l'ATP non assume in alcun modo carattere di definitività, non maturando in sede di procedimento ex art. 696-bis c.p.c. alcuna preclusione istruttoria. I convenuti in sede di ricorso ex art. 702-bis c.p.c. ben potrebbero, dunque, produrre nuovi documenti ed articolare prove volte a contrastare le conclusioni raggiunte in sede di ATP. Come è stato peraltro sottolineato «la previsione in esame risulta anche irragionevole dal momento che parifica, ai fini della scelta del procedimento semplificato, l'ipotesi in cui vi sia stato il tempestivo deposito della relazione del CTU, e a fronte della quale si giustifica la scelta di un giudizio sommario, a quella in cui esso non sia avvenuto e occorra quindi un compiuto accertamento del quantum del danno» (M.VACCARI, L'ATP obbligatorio nelle controversie di risarcimento dei danni derivanti da responsabilità sanitaria, in Ridare.it). Si ritiene, comunque che vada fatta salva la possibilità per il giudice, qualora ritenga che le difese svolte dalle parti richiedano un'istruzione non sommaria, di convertire il rito in quello ordinario. Va, infatti, evidenziato che l'art. 8 richiama espressamente l'applicabilità degli art. 702-bis e ss. c.p.c. e quindi deve intendersi richiamato anche l'art. 702-ter comma 3 c.p.c. che prevede il mutamento del rito. Occorre, infine, sottolineare che la norma fa esplicitamente riferimento all'introduzione della domanda con il ricorso ex art. 702-bis c.p.c. solo in relazione all'ipotesi di assolvimento della condizione di procedibilità mediante ricorso alla consulenza preventiva a fini conciliativi e che, dunque, il danneggiato che ha scelto la mediazione ben potrebbe, invece, agire con il rito ordinario di cognizione senza peraltro essere tenuto a rispettare il termine di 90 giorni per la presentazione del ricorso. L'ultimo comma dell'art. 8, infatti, era calibrato sull'ATP e non è stato riformulato all'esito della introduzione, nell'ultima versione parlamentare dell'impianto normativo, dell'alternativa della mediazione . Per quanto attiene al rilievo della improcedibilità, questa deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il rilievo d'ufficio è, dunque, obbligatorio e non facoltativo anche in difetto di eccezione di parte. La norma prevede, inoltre, che quando il giudice rileva che il procedimento di cui all'art. 696-bis c.p.c. non sia stato espletato ovvero che sia iniziato ma non si sia concluso, e che quindi allo stato la domanda sia improcedibile, assegna alle parti il termine di 15 giorni per presentare dinanzi a sé l'istanza di consulenza tecnica in via preventiva ovvero di completamento del procedimento. In caso di inosservanza del termine assegnato per l'instaurazione o il completamento della procedura per ATP il Giudice provvederà, invece, con sentenza a dichiarare l'improcedibilità della domanda. Si potrebbe porre qualche problema nel caso in cui il processo venga introdotto con citazione senza previo ATP. In questo caso la lettera della legge parrebbe imporre al giudice di assegnare il termine di 15 giorni per proporre innanzi a sé l'ATP, dovendosi escludere che possa assegnare un termine per espletare la mediazione (contra vd A.BARLETTA, Il tentativo di conciliazione nell'art. 8 della legge Gelli-Bianco, in Ridare.it, il quale afferma che laddove il danneggiato abbia introdotto il giudizio con il rito ordinario il Giudice dovrebbe disporre la mediazione mentre ove abbia agito ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c. andrebbe applicato l'art. 8). Ci si chiede, inoltre, se il giudizio possa poi continuare nelle forme del rito ordinario o vada convertito in un sommario di cognizione. Sembra preferibile ritenere che spetti comunque al giudice la valutazione in ordine alla l'opportunità di mutare il rito ex art. 183-bis c.p.c., non essendo previsto alcun obbligo normativo in tal senso. La norma impone, infine, all'attore di introdurre il giudizio di merito entro il termine, da ritenersi perentorio, di 90 giorni dal deposito della relazione o, qualora ciò non sia avvenuto, dalla scadenza del termine perentorio fissato per la conclusione del procedimento di ATP. Il rispetto di detto termine è richiesto sia per rendere procedibile la domanda sia per «assicurarne gli effetti». Non è ben chiaro cosa si intenda con tale espressione. Verosimilmente il legislatore intendeva riferirsi agli effetti della domanda sul termine di prescrizione e su quello di decadenza. La norma inoltre parlando di “assicurare” gli effetti della domanda lascia intendere che l'effetto interruttivo della prescrizione si verifichi sin dal deposito del ricorso per ATP (rectius notifica) salvo poi consolidarsi con la introduzione del giudizio nel termine di 90 giorni e che, dunque, laddove non venga rispettato tale termine tale effetto cadrebbe nel nulla. |