La responsabilità processuale aggravata nel giudizio di appello

Antonio Salvati
17 Maggio 2014

La domanda di risarcimento da responsabilità aggravata, di cui all'art. 96, comma 1, c.p. c., si atteggia diversamente a seconda dei gradi del giudizio, atteso che, mentre in primo grado essa è volta a sanzionare il merito di un'iniziativa giudiziaria avventata, nel secondo grado, regolato dal principio devolutivo, essa deve specificamente riferirsi alla pretestuosità dell'impugnazione, valutata con riguardo non tanto alle domande proposte, quanto, piuttosto, alla palese e strumentale infondatezza dei motivi dell'appello e, più in generale, alla condotta processuale tenuta dalla parte soccombente nella fase di gravame.
Massima

Cass. civ., sez. II, 26 marzo 2013, n. 7620

La domanda di risarcimento da responsabilità aggravata, di cui all'art. 96, comma 1, c.p. c., si atteggia diversamente a seconda dei gradi del giudizio, atteso che, mentre in primo grado essa è volta a sanzionare il merito di un'iniziativa giudiziaria avventata, nel secondo grado, regolato dal principio devolutivo, essa deve specificamente riferirsi alla pretestuosità dell'impugnazione, valutata con riguardo non tanto alle domande proposte, quanto, piuttosto, alla palese e strumentale infondatezza dei motivi dell'appello e, più in generale, alla condotta processuale tenuta dalla parte soccombente nella fase di gravame.

La domanda di risarcimento da responsabilità processuale aggravata, di cui all'art. 96, comma 1, c.p.c., pur recando in sé una necessaria indeterminatezza quanto agli effetti lesivi immediatamente discendenti dall'improvvida iniziativa giudiziale, impone, comunque, una, sia pur generica, allegazione della "direzione" dei supposti danni.

Sintesi del fatto

Nel 1992 sorge controversia tra l'Alfa s.r.l., quale promissaria acquirente, e la Beta s.p.a., quale promittente venditrice, in ordine all'esecuzione di un contratto preliminare di compravendita di immobili, già oggetto di sequestro penale.

Dopo aver visto rigettata la propria domanda ex art. 2932 c.c. in primo grado l'Alfa s.r.l. ottiene pieno accoglimento della stessa in sede di gravame. La Corte di Appello emette infatti sentenza costitutiva in suo favore trasferendole la proprietà del bene, previo versamento del residuo prezzo, rilevando che la causa impeditiva dell'accoglimento della domanda posta a base della statuizione del giudice di prime cure - l'esistenza cioè del già menzionato sequestro penale dei beni - era da tempo venuta meno e che, per altro verso, la promissaria acquirente doveva dirsi parte adempiente, avendo depositato un assegno a copertura del residuo prezzo presso il notaio indicato per il rogito del contratto di vendita invitando altresì in più di un'occasione la controparte alla stipula.

Tale decisione viene confermata dalla Corte di Cassazione nel 2001, mediante rigetto del ricorso proposto dalla Beta s.p.a. Tale pronuncia non determina però la conclusione della vicenda giudiziaria tra le parti.

Nelle more del giudizio di appello di cui sopra, infatti, la Beta s.p.a. aveva autonomamente iniziato, presso il medesimo Tribunale, altra causa, convenendo l' Alfa s.r.l. al fine di far dichiarare risolto per inadempimento il medesimo contratto preliminare oggetto del separato – e già menzionato - giudizio.

L'Alfa s.r.l., nel costituirsi in questo nuovo giudizio, reitera sostanzialmente le argomentazioni rese nel precedente procedimento affermando di aver dato la propria piena disponibilità per la stipula del contratto definitivo anche prima dell'esecuzione del sequestro penale e di aver invitato la Beta s.p.a., anche in pendenza del giudizio di legittimità conclusosi con la citata sentenza della Cassazione del 2001, alla stipula dell'atto.

Oltre a concludere per il rigetto della domanda della Beta s.p.a., quindi, la promissaria acquirente richiede, in via riconvenzionale, la condanna della medesima al risarcimento del danno per responsabilità processuale aggravata attesa l'indebita duplicazione dei giudizi in suo danno.

La sentenza di primo grado accoglie in pieno le tesi dell'Alfa s.r.l., rigettando l'avversa domanda e condannando la Beta s.p.a. al risarcimentoex art. 96 c.p.c.

Avverso tale sentenza viene proposto appello, che si conclude ancora una volta negativamente nel merito per la società promittente venditrice.

La Corte di Appello però, a differenza del giudice di primo grado, respinge la domanda di risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c., proposta dall'Alfa s.r.l. in relazione anche al giudizio di secondo grado.

In particolare, la Corte territoriale assume in proposito non provata alcuna incidenza dannosa - ulteriore rispetto al ristoro rappresentato dalla vittoria delle spese di lite documentate – dell'improvvida iniziativa giudiziaria della controparte.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la Beta s.p.a., mentre l'Alfa s.r.l. oltre a costituirsi chiedendo la declaratoria di infondatezza dell'altrui pretesa propone ricorso incidentale avverso la mancata condanna della controparte al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. anche in appello.

La Corte di Cassazione, con la pronuncia in esame, rigetta entrambi i ricorsi.

La questione

La sentenza in questione affronta due tematiche di notevole rilevanza pratica quali: a) il diverso atteggiarsi della natura, dei presupposti e delle condizioni di accertamento del diritto al risarcimento del danno ex art. 96 comma 1 c.p.c. nei differenti giudizi di primo grado e di appello; b) i parametri di configurabilità di un danno concretamente risarcibile correlato all'altrui negligente iniziativa processuale.

Tale pronuncia appare quindi quanto mai interessante perché, di fatto, contribuisce a delineare con estrema precisione l'ambito di applicazione processuale dell'istituto della responsabilità processuale aggravata.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione, nel suo argomentare, evidenzia immediatamente come l'atteggiarsi della responsabilità processuale aggravata presenti connotazioni diverse in primo ed in secondo grado.

Mentre in primo grado infatti, affermano i giudici di legittimità, l'art.96 c.p.c. è volto a sanzionare un'iniziativa giudiziaria da ritenersi avventata avendo precipuo riferimento al merito della questione, nel secondo grado – in quanto presidiato dal principio devolutivo - detta pretestuosità non va intesa tanto con riferimento alla fondatezza delle domande proposte, quanto piuttosto alla palese e strumentale infondatezza dei motivi dell'appello e, più in generale, alla condotta processuale tenuta nella fase di gravame.

Ciò si spiega perché nel momento in cui si accetta il contraddittorio nel merito sulle avverse pretese in sede di primo grado, queste entrano a far parte a pieno titolo della materia del contendere.

La parte soccombente in primo grado ha quindi pieno diritto di resistervi in sede di gravame, per cui – secondo la Corte – non potrà più darsi luogo in sede di appello, ai fini dell'eventuale applicazione dell'art.96 c.p.c., ad una nuova valutazione circa la pretestuosità delle stesse in senso lato.

In altre parole, quindi, in sede di gravame il giudizio su di un'eventuale responsabilità processuale aggravata non potrà più riguardare il “se” la pretesa sia fondata nel merito (atteso che non possono dirsi in alcun modo pretestuose domande proposte in appello con il solo scopo di far rilevare l'infondatezza della sentenza di primo grado, stante la tipicità dell'iniziativa processuale adottata), bensì il “come” tale pretesa venga di fatto azionata.

Non conterà più pertanto la condivisibilità delle tesi giuridiche della parte soccombente, bensì la natura ed il tenore degli specifici motivi di appello proposti da quest'ultima: il tutto, all'esito di apposita valutazione svolta nella – diversa - ottica non della fondatezza nel merito della pretesa bensì della correttezza e della buona fede processuale nella predisposizione dei motivi di gravame.

Solo nel caso in cui questi ultimi mostrino, per la loro palese infondatezza, una strumentalità da intendersi come espressione di un chiaro intento dilatorio circa la definitiva risoluzione della disputa pendente, potrà quindi darsi luogo in sede di giudizio di appello al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c.

Altra parte della pronuncia oggetto di commento è connessa alla diversa problematica dell'individuazione del danno concretamente risarcibile.

Al riguardo la Corte, richiamando la propria costante giurisprudenza sul punto, afferma che se pure deve ammettersi che la deduzione della responsabilità processuale ex art. 96 comma 1 c.p.c. non possa che essere necessariamente indeterminata quanto alla descrizione degli effetti lesivi direttamente discendenti dall'altrui ingiustificata iniziativa giudiziale, rimane pur sempre necessario dare luogo ad una, sia pur generica, allegazione della "direzione" dei supposti danni.

Nel caso di specie, a giudizio della Corte, tale allegazione non v'era di fatto in alcun modo stata.

La società Alfa s.r.l., infatti, ad opinione dei giudici di legittimità aveva indebitamente ritenuto provata in re ipsa l'esistenza della responsabilità processuale ex art. 96 c.p.c. e del relativo danno per il solo fatto che la Corte di Appello aveva integralmente confermato la sentenza di primo grado a lei favorevole, rigettando però – a differenza del Tribunale – la domanda risarcitoria ex art. 96 c.p.c. con riferimento al secondo grado di giudizio.

Appare quanto mai interessante, al riguardo, evidenziare come secondo diversi autori la nuova formulazione dell'art.96, comma 3, c.p.c., introdotta dalla L. n. 69/2009 con riferimento ai giudizi introdotti dopo il 4. Luglio 2009 (e quindi non applicabile alla fattispecie in esame) configurerebbe una diversa ipotesi di responsabilità processuale aggravata esonerata dalla compiuta dimostrazione dell'esistenza di un danno concretamente risarcibile.

Tale disposizione sarebbe quindi indirizzata, ad opinione di tali commentatori, a “rivitalizzare” in chiave deflattiva l'istituto della responsabilità processuale aggravata attenuando gli oneri probatori delineati dalla Corte di Cassazione anche nella sentenza in commento.

Osservazioni e suggerimenti pratici

La sentenza in esame si inserisce nel costante orientamento giurisprudenziale della Corte circa l'ambito di applicazione processuale della declaratoria di responsabilità civile ex art. 96 comma 1 c.p.c.

Di particolare rilievo, sul piano pratico: a) il richiamo alla diversità delle condizioni di operatività dell'istituto della responsabilità processuale aggravata in questione con riferimento ai giudizi di primo grado e di appello; b) la necessità di una concreta allegazione quanto meno della natura e della tipologia dei danni patiti a seguito dell'altrui improvvida iniziativa processuale.

Sul piano pratico, il primo rilievo si traduce nella necessità di far valere in sede di richiesta risarcitoria proposta con riferimento al giudizio di appello non l'infondatezza delle altrui tesi giuridiche già rilevate dal giudice di primo grado, bensì la natura dilatoria dell'appello come dimostrata dalla pretestuosità dei relativi motivi; il secondo, nell'evitare di ritenere integrato in re ipsa il danno ex art. 96 c.p.c. di cui si chiede il risarcimento.

Detto danno, infatti, anche se necessariamente indeterminato dovrà però essere oggetto quanto meno di apposita allegazione, idonea ad indicare la relativa area di incidenza.

Conclusioni

In tema di responsabilità processuale aggravata, chi intende chiedere il risarcimento del danno ex art. 96 comma 1. c.p.c. in sede di appello e con riferimento all'avvenuta proposizione di quest'ultimo dovrà fare riferimento esclusivamente alla natura ed al tenore dei motivi di gravame ex adverso indicati, e non anche alla dedotta infondatezza dell'altrui pretesa nel merito.

Allo stesso modo, dovrà indicare quanto meno la tipologia di danno subito di cui chiede il risarcimento, specificandone “l'area di incidenza”.

Appare al riguardo interessante evidenziare come un ulteriore requisito per la condanna al risarcimento dei danni a titolo di responsabilità aggravata per lite temeraria in sede di appello sia stata da ultimo individuata dalla Corte di Cassazione nella totale soccombenza della parte in relazione all'esito del singolo grado di giudizio, aggiungendosi essa, ai sensi dell'art. 96 comma 1 c.p.c., alla condanna alle spese, la quale è, invece, diversamente correlata all'esito finale della lite (Cass.,civ., sez.I, 27 agosto 2013, n.19583).

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