I criteri di liquidazione del danno da abuso del processo ex art. 96 c.p.c.
19 Gennaio 2017
Introduzione
Con il commento alla sentenza del Tribunale di Tivoli n. 2428 del 10 dicembre 2015, dal titolo «Gli incerti presupposti della condanna aggravata per lite temeraria ex art. 96, comma 3, c.p.c.»,in Ri.Da.Re., si è evidenziato che tale norma preveda la possibilità di una condanna aggravata esclusivamente affidata alla discrezionalità del giudice perché non soggetta alla richiesta della parte interessata ed unicamente condizionata all'accertamento di una condotta di grave negligenza o malafede processuale dell'altra parte.
Quindi, una sanzione d'ufficio, svincolata da qualsiasi attività della parte e dalla prova della sussistenza di un danno effettivamente subito quale conseguenza della colposa condotta della controparte, che fa sorgere l'opportunità di interrogarsi sull'ampiezza della discrezionalità riservata al giudicante nella sua applicazione onde evitare disparità di trattamento dipendenti dal grado di tolleranza del singolo organo giudiziario.
La questione che è stata maggiormente evidenziata è, quindi, quella relativa ai presupposti per giungere alla comminazione di una tale condanna e si è sottolineata la necessità di non prescindere mai dalla verifica del profilo soggettivo ossia dell'accertamento della rimproverabilità del comportamento della parte perdente in termini di dolo o colpa grave esclusivamente mossa da chiari intenti dilatori e strumentali.
Il commento si è concluso con l'auspicio di ancorare l'accertamento del profilo soggettivo ai rigorosi canoni dettati dalla Cassazione (ex plurimis Cass. civ., sez. I, 2 aprile 2015 n. 6675; Cass. civ., 12 marzo 2015 n. 4930; Cass. civ., n. 27534/2015; Cass. civ., 18 novembre 2014 n. 24546), così da evitare che la discrezionalità sfoci nel mero arbitrio e, siccome il Tribunale di Tivoli aveva liquidato, a tale titolo, la esorbitante somma di €. 100.000,00 pari al quadruplo delle spese legali nonostante altre pronunce, in assenza di presupposti, avevano fatto prudenzialmente riferimento ai criteri della Legge Pinto (da 500€ a 1.500€ per ogni anno di giudizio), si è auspicato altresì che la liquidazione della sanzione venisse ancorata a dei parametri di riferimento certi. La questione affrontata dal Gruppo 7 e le sue conclusioni
L'Osservatorio di Milano, nell'approfondimento affidato al “Gruppo 7”, ha colto l'auspicio di fissare criteri liquidativi che possano orientare l'interprete e, soprattutto, rendere maggiormente “prevedibile” l'importo della sanzione, con ciò contribuendo a conferire la tanto auspicata certezza nell'ambito dei danni non patrimoniali non conseguenti alla lesione del diritto alla salute, per i quali non vi sono parametri di riferimento tabellari.
Ciò che l'Osservatorio di Milano, ormai da 20 anni, si preoccupa di regolare è proprio l'incertezza nella liquidazione dei risarcimenti nell'ambito della responsabilità civile che non giova né alle parti né al sistema giustizia perché, ad esempio, non poter prevedere a priori l'importo di un qualsivoglia danno compromette la possibilità di giungere a soluzioni transattive ed inevitabilmente conduce le parti interessate a rivolgersi ad un tribunale nella speranza che vengano accolte le proprie tesi liquidative.
Il Gruppo 7, quindi, attraverso un campione di sentenze ritenute rappresentative della fattispecie del danno da abuso del processo ex art. 96 c.p.c., ha rilevato la presenza di due orientamenti:
La proposta adottata dal Gruppo di studio è stata quella di prendere come parametro di riferimento per la liquidazione del danno da abuso del processo, l'importo del compenso professionale fissando un valore standard pari alle spese defensionali ma riducibile ad un mezzo ed aumentabile fino al doppio, in considerazione delle peculiarità del caso concreto e cioè: il valore della causa, l'intensità dell'elemento soggettivo dell'abuso, il numero delle parti, la durata del processo e l'impegno difensivo della parte danneggiata dall'abuso. Osservazioni
La soluzione adottata dal Gruppo di lavoro appare assolutamente apprezzabile non solo perché idonea a conferire certezza in un ambito, quale appunto quello della determinazione del quantum risarcitorio in caso di abuso del processo, in cui nessuna regola è fissata ma anche perché, tra le varie, appare essere la soluzione più equa e percorribile anche in considerazione del già avvenuto avvallo della Suprema Corte di Cassazione (Cass. civ., 30 novembre 2012 n. 21572; Cass. civ., 9 febbraio 2016 n. 2584; Cass. civ., n. 3376/2013).
Di non poco conto è infatti la presenza di precedenti di Cassazione che hanno adottato tale criterio poiché se si fosse adottato il criterio della Legge Pinto o della frazione dell'importo controverso, la proposta avrebbe dovuto, prima o poi, confrontarsi con l'orientamento che, anche se non pienamente consolidato, è comunque presente e quindi si sarebbe dovuta affrontare e, soprattutto risolvere, la questione prettamente pratica di convincere giudici di merito della bontà di tale criterio rispetto a quello già adottato dalla Cassazione.
Non si sarebbe poi risolta la questione dell'incertezza liquidatoria se si fosse scelto il parametro della frazione dell'importo risarcitorio sia perché la determinazione finale della quota sarebbe stata comunque rimessa alla discrezionalità del giudice e quindi oggetto di infinite discussioni sia perché, di norma, l'importo risarcitorio è determinabile solo all'esito del processo e, siccome non di rado si assiste a domande che, seppur fondate, vengono drasticamente ridimensionate nel quantum, non sarebbe stato raggiunto l'obbiettivo di rendere “prevedibile” a priori, per quanto possibile possa essere, l'importo da risarcire in caso di abuso del processo.
Il riferimento alla Legge Pinto avrebbe invece ancorato il valore risarcitorio del danno per lite temeraria alla lungaggine del processo e, quindi, ad elementi svincolati dalla condotta soggettiva delle parti ed unicamente ancorati alle “disfunzioni” del sistema giustizia sicché, in spregio all'equità ed alla certezza, la liquidazione del danno da lite temeraria sarebbe stata maggiore laddove il giudice fosse stato più lento o minore in caso di processo celere, svilendo del tutto il presupposto per giungere ad un siffatta condanna, sempre e comunque rappresentato dalla sussistenza dell'elemento soggettivo.
La proposta del Gruppo 7 di ancorare la liquidazione all'importo del compenso professionale appare quindi condivisibile così come lo è quella di fissare un parametro standard, modificabile in difetto fino alla metà o in eccesso fino ad un massimo del doppio, in considerazione delle peculiarità del caso concreto.
Anche gli indici per “personalizzare” l'importo risarcitorio all'interno della forbice proposta, appaiono condivisibili perché idonei a mettere in risalto e, quindi considerare, aspetti che in effetti, incidono sull'intensità dell'elemento soggettivo e quindi sull'intenzione di una parte di approfittare delle regole processuali in modo strumentale e temerario.
Si può ritenere che corrisponda ad un senso di “giustizia” ed “equità” quello di caricare un maggior danno su colui che agisca ad esclusivo fine di aumentare la durata del processo e/o attui consapevolmente condotte non propriamente pertinenti con l'oggetto del contendere ma sollevate con fini del tutto strumentali al raggiungimento di altri propri interessi o addirittura svincolate da qualsivoglia interesse.
La soluzione proposta dal Gruppo di lavoro istituito dall'Osservatorio di Milano appare quindi la più percorribile e la più prudente perché comunque si colloca nel solco già tracciato dalla Suprema Corte di Cassazione, indica una forbice e quindi un parametro di riferimento ed infine perché, nella determinazione dell'importo finale, considera tutti elementi che attengono alla condotta soggettiva della parte e quindi del tutto pertinenti con i presupposti necessari per la comminazione della relativa sanzione.
|