Responsabilità del farmacista ed interruzione del nesso causale in caso di suicidio a mezzo del farmaco acquistato
19 Novembre 2015
Massima
Va esclusa la responsabilità del farmacista per aver fornito, anche senza previa esibizione di ricetta medica, uno o più flaconi di un farmaco vasocostrittore, essendo il comportamento successivamente tenuto dal cliente – ovvero l'essersi recato pochi minuti dopo in altra farmacia per ottenere ulteriori dosi del medesimo medicinale e l'essersi poi appartato in una zona di campagna per assumerli contestualmente – del tutto eccezionale ed imprevedibile e, pertanto, tale da interrompere il nesso causale tra eventuale condotta colposa tenuta dai farmacisti ed evento morte. Il caso
Gli attori chiedevano il risarcimento di tutti i danni conseguenti alla morte del loro parente che era deceduto, dopo una settimana di coma per l'avvelenamento da assunzione, avvenuta in luogo isolato di campagna ove egli si era recato, di tre flaconi di un farmaco vasocostrittore. Affermavano la responsabilità dei titolari delle due farmacie nelle quali la vittima aveva acquistato, rispettivamente, una e due confezioni, per essere state le medesime fornite senza previa esibizione di ricetta medica obbligatoria. Si costituivano i convenuti chiedendo il rigetto di ogni domanda proposta nei loro confronti e, in subordine, la riduzione della richiesta risarcitoria per essere il decesso imputabile in via preponderante o quanto meno concorrente allo stesso soggetto deceduto. La questione
In termini generali, la questione giuridica riguarda l'interruzione del nesso di causalità nel caso in cui il comportamento posto in essere dallo stesso danneggiato presenti elementi di atipicità ed eccezionalità rispetto alla eventuale condotta colposa tenuta dagli asseriti danneggianti che, secondo le allegazioni attoree, consisteva nell'avere i farmacisti consegnato i flaconi in assenza della obbligatoria ricetta medica. Orbene, quand'anche addirittura entrambi i farmacisti – ma il fatto storico non è stato provato in giudizio dagli attori, secondo le basilari regole di ripartizione dell'onere della prova (v. Cass. civ., sez. III, sent., 6 aprile 2006, n. 8096) – avessero fornito al cliente il farmaco in violazione delle prescrizioni, andrebbero esenti da responsabilità alla luce dell'imprevedibilità del comportamento dell'acquirente, tale da interrompere il nesso causale tra la violazione colposa e l'evento morte. In altre parole, la domanda che il giudice di merito ha dovuto porsi è stata la seguente: può ritenersi sussistente (e provato) il nesso di causalità (quale elemento costitutivo dell'illecito civile ex art. 2043 c.c., e ferma la prova degli altri previsti dalla norma) tra consegna di farmaco da parte del farmacista e suicidio realizzato mediante utilizzo del medesimo da parte dell'acquirente? Le soluzioni giuridiche
La risposta è in termini negativi in applicazione dei principi in tema di causalità nella responsabilità aquiliana ormai consolidati nella giurisprudenza della Suprema Corte. È opportuno richiamare i passaggi contenuti nelle due basilari pronunce a Sezioni Unite Cass n. 576/2008 e Cass. n. 581/2008. Premessa la diversa ratio delle conseguenze del reato e dell'illecito civile, la Cassazione (motivazione della sent. n. 576) afferma «che esistono due momenti diversi del giudizio aquiliano: la costruzione del fatto idoneo a fondare la responsabilità (per la quale la problematica causale, detta causalità materiale o di fatto, presenta rilevanti analogie con quella penale, artt. 40 e 41 c.p., ed il danno rileva solo come evento lesivo) e la determinazione dell'intero danno cagionato, che costituisce l'oggetto dell'obbligazione risarcitoria… tale distinzione è ravvisabile, rispettivamente, nell'art. 1227 c.c., commi 1 e 2: il comma 1, attiene al contributo eziologico del debitore nella produzione dell'evento dannoso, il secondo comma attiene al rapporto evento- danno conseguenza». La Cassazione procede enunciando la seguente regola: «in applicazione dei principi penalistici, di cui agli artt. 40 e 41 c.p., ritengono che un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d. teoria della condicio sine qua non). Il rigore del principio dell'equivalenza delle cause, posto dall'art. 41 c.p., in base al quale, se la produzione di un evento dannoso è riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale, trova il suo temperamento nel principio di causalità efficiente, desumibile dall'art. 41 c.p., comma 2, in base al quale l'evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all'autore della condotta sopravvenuta, solo se questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto. Nel contempo non è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all'interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l'evento causante non appaiano del tutto inverosimili, ma che si presentino come effetto non del tutto imprevedibile, secondo il principio della c.d. causalità adeguata o quella similare della ed. regolarità causale». Pertanto, ciascuno è responsabile soltanto delle conseguenze della sua condotta, attiva o omissiva, che appaiono sufficientemente prevedibili al momento nel quale ha agito, escludendosi in tal modo la responsabilità per tutte le conseguenze assolutamente atipiche o imprevedibili secondo un giudizio operato ex ante con una prognosi postuma che faccia riferimento non a criteri soggettivi, ma a regole statistiche e/o scientifiche. I principi sopra menzionati sono stati correttamente applicati dal giudice del Tribunale di Palermo: quand'anche ciascun farmacista avesse consegnato il farmaco senza chiedere la ricetta medica e pertanto violando un preciso obbligo a suo carico, tuttavia non avrebbe potuto prevedere che il cliente sarebbe andato a comprarne altre dosi (lo stesso può dirsi per qualsiasi medicinale che, somministrato con determinate modalità, divenga pericoloso: ad es. i sonniferi) e le avrebbe assunte contestualmente. La domanda – ai fini del giudizio “controfattattuale” – da porsi è stata: ove i flaconi fossero stati dati al richiedente solo dietro presentazione di prescrizione medica (e, quindi, se i convenuti avessero posto in essere il comportamento che la regola di condotta prevedeva), l'acquirente non sarebbe deceduto? La risposta è negativa, con conseguente esclusione della responsabilità dei due farmacisti, dal momento che anche in tal caso l'aspirante suicida avrebbe inopinatamente assunto tutte e tre le confezioni del farmaco, così provocando l'evento dannoso, non potendo essi ipotizzare l'assunzione di una dose massiccia di farmaco, per di più in un luogo isolato con conseguente difficoltà nei soccorsi. In altri termini non può riconoscersi la responsabilità per omissione quando il comportamento omesso, ove anche fosse stato tenuto, non avrebbe impedito l'evento prospettato: la responsabilità non sorge non perché non vi sia stato un comportamento antigiuridico, ma perché quell'omissione non è causa del danno lamentato. È utile citare Cass. civ., sez. III, sent. n. 8096/2006: nella fattispecie della porta di un garage che presentava un difetto di costruzione, il fatto che gli utenti si fossero accorti del pericolo, ne avessero reso edotto il fornitore che tuttavia non era intervenuto, sino al suo effettivo ribaltamento con danni a carico di una persona, non vale ad interrompere il nesso causale con la condotta colposa del fabbro costruttore, poiché «Il criterio di individuazione del fatto interruttivo del nesso causale, che si risolve in criterio di imputazione del danno, è…quello dell'atipicità ed eccezionalità della serie causale sopravvenuta» e tale non può essere considerata la condotta di chi utilizza una porta per passarvi. Sulla condotta suicida, è opportuno citare Cass. civ., sez. lav., sent. n. 2037/2000 relativa al caso di un uomo che, a seguito di gravissimo infortunio sul lavoro, era stato colto da depressione che lo aveva poi condotto al suicidio; i parenti chiedevano il risarcimento dei danni e la Suprema Corte riteneva che l'atto autolesivo non poteva ritenersi «un evento straordinario o atipico tale da risultare estraneo alla sequela causale ricollegabile all'iniziale condotta illecita», a differenza che nel caso in commento. Altro punto fondamentale è quello relativo alla condotta colposa del danneggiato: nell'ipotesi in esame, quand'anche egli non avesse avuto un vero proposito suicida, sarebbe bastata la lettura del c.d. “bigino” del farmaco per percepirne la pericolosità ove assunto in dosi massicce. Si richiama al proposito Cass. civ., sez. III, sent. n. 11946/2013, che in un caso di responsabilità della P.A. ex art. 2051 c.c. ha stabilito che «il comportamento colposo del soggetto danneggiato nel servirsi della strada (che sussiste anche quando egli abbia usato il bene senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo) esclude la responsabilità della P.A., se tale comportamento è idoneo ad interrompere, come nel caso di specie, il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso». Osservazioni
Va sottolineata l'importanza della ricostruzione dei fatti e della loro sequenza da parte del giudice del merito, soprattutto ai fini della “tenuta” della pronuncia in appello e poi in Cassazione. In generale, si veda Cass. civ., sez. III, sent. n. 15709 del 2011, secondo cui «L'accertamento del rapporto di causalità ipotetica passa attraverso l'enunciato "controfattuale" che pone al posto dell'omissione il comportamento alternativo dovuto, onde verificare se la condotta doverosa avrebbe evitato il danno lamentato dal danneggiato». La pronuncia oggetto di commento conferma in toto il consolidato orientamento della Cassazione in tema di causalità nell'illecito civile. |