Chiarimenti della Corte di Cassazione sulla ragionevole durata del processo “normativamente presunta”

Rosaria Giordano
20 Gennaio 2015

In tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, l'art. 2, comma 2-ter, della legge 24 marzo 2001, n. 89, secondo cui detto termine si considera comunque rispettato se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni, costituisce norma di chiusura che implica una valutazione complessiva del giudizio articolato nei tre gradi, e non opera, pertanto, con riguardo ai processi che si esauriscono in unico grado.
Massima

Cass., sez. VI, sent., 6 novembre 2014, n. 23745

In tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, l'art. 2, comma 2-ter, della legge 24 marzo 2001, n. 89, secondo cui detto termine si considera comunque rispettato se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni, costituisce norma di chiusura che implica una valutazione complessiva del giudizio articolato nei tre gradi, e non opera, pertanto, con riguardo ai processi che si esauriscono in unico grado.

Sintesi del fatto

La Corte d'Appello di Roma rigettava l'opposizione al decreto di rigetto della domanda di equa riparazione proposta da un soggetto il quale lamentava la durata quinquennale in primo grado di un giudizio in tema di indennizzo assicurativo.

A fondamento di tale decisione, la Corte d'Appello aveva posto il disposto dell'art. 2, comma 2-ter, della legge 24 marzo 2001, n. 89, introdotto dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito dall'art. 1, comma primo, della legge 7 agosto 2012, n. 134, per il quale si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni, disposizione che, invero, in accordo con tale interpretazione, si pone come norma di chiusura, e quindi opera anche per i giudizi svoltisi in unico grado.

Il danneggiato proponeva quindi ricorso per cassazione avverso il provvedimento di rigetto dell'opposizione denunciando violazione e falsa applicazione della l. n. 89 del 2001, art. 2, commi 2-bis e 2-ter, art. 6, p. 1, della CEDU, art. 47 della Carta dei diritti fondamentali, artt. 111 e 117 Cost. e art. 6 del Trattato di Lisbona, assumendo che l'art. 2, comma 2-ter, si riferisce alla diversa ipotesi del processo svoltosi in tutti e tre i gradi di giudizio, mentre nel caso in cui il giudizio si è svolto in un unico grado lo standard sarebbe quello desumibile anche da una interpretazione logico-sistematica e convenzionalmente e costituzionalmente orientata di tre anni di giudizio.

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, ritenendo che anche nell'assetto novellato un giudizio che sia durato in unico grado più di tre anni abbia avuto una durata irragionevole.

La questione

Per meglio comprendere la portata della questione esaminata dalla Suprema Corte, occorre ricordare che il decreto-legge 22 giugno 2012 n. 83, convertito nella legge 7 agosto 2012 n. 134 ha previsto importanti novità anche in tema di individuazione del termine di ragionevole durata del processo.

In particolare, il comma 2-bis dell'art. 2 legge 24 marzo 2001 n. 89, introdotto dalla legge n. 134/2012, recependo sostanzialmente, le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo nonché da quella nazionale in materia, stabilisce che il termine ragionevole si intende rispettato se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado e di un anno nel giudizio di legittimità.

Il comma 2-ter stabilisce, invece, che si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni.

Secondo una parte della dottrina tali norme sembrano porre una presunzione di durata ragionevole del processo superabile soltanto in una direzione, in favore cioè della prova di una durata ragionevole superiore nel caso concreto e non anche di una inferiore (Salvato, La disciplina dell'equa riparazione per l'irragionevole durata del processo nella morsa della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e delle specificità del nostro ordinamento, in Corr. Giur., 2012, 997, nt. 29; Tona, Procedimento “sprint” senza udienza per ottenere l'equa riparazione, in Guida Pratica al Decreto Sviluppo de Il Sole 24 Ore-Guida al Diritto, agosto 2012, 73).

Problema più specifico, esaminato dalla S.C. nella decisione in commento è quello che attiene al rapporto tra il comma 2-bis ed il comma 2-ter dell'art. 2 legge c.d. Pinto.

Invero, la previsione secondo cui è da ritenersi comunque ragionevole la durata di un giudizio se contenuta nel termine di sei anni, sembra comportare, in pratica, che non potrà ottenersi il risarcimento del danno per irragionevole durata del processo conclusosi in primo grado con il passaggio in giudicato della sentenza non impugnata anche se in un unico grado tale processo abbia avuto una durata di sei anni.

Tale tesi potrebbe trovare peraltro conforto nella consolidata giurisprudenza per la quale l'individuazione di distinti termini di fase non incide sul dovere del giudice di compiere una valutazione sintetica e complessiva del giudizio presupposto, anche qualora si sia articolato in più gradi (v., tra le altre, Cass. 8 aprile 2010 n. 8376; Cass. 6 settembre 2007 n. 18720).

La soluzione

La Corte di Cassazione accede, per converso, all'opposta interpretazione del novellato sistema normativo.

In primo luogo, in motivazione, la S.C. sottolinea a riguardo che il comma 2-ter dell'art. 2 legge Pinto deve essere interpretato in continuità con il comma che la precede secondo cui si considera rispettato il termine ragionevole (...) se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado, di due in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità.

Nella prospettiva della Corte di legittimità, pertanto, il comma 2-ter, “lungi dall'allungare a sei anni il periodo di definizione di un processo che si sia esaurito in un unico grado di giudizio, detta una norma di chiusura, introducendo (anche qui, in linea con i risultati dell'elaborazione giurisprudenziale: Cass. civ., Sez. I, 13 aprile 2006, n. 8717; Cass. civ., Sez. I, 4 luglio 2011, n. 14534) una valutazione sintetica e complessiva del processo che si sia articolato in tre gradi di giudizio, consentendo così di escludere la configurabilità del superamento del termine di durata ragionevole tutte le volte in cui la durata dell'intero giudizio, nei suoi tre gradi, sia contenuta nel parametro complessivo di sei anni, e di trascurare, al contempo, il superamento registrato in un grado quando questo sia stato compensato da un iter più celere rispetto allo standard nel grado precedente o successivo”.

La Corte di Cassazione non trascura di sottolineare, inoltre, che una diversa interpretazione rischierebbe di porsi in contrasto con i principi costantemente affermati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo ed in seguito recepiti dalla nostra giurisprudenza interna ed in virtù dei quali è irragionevole la durata in primo grado di un processo che sia durato oltre tre anni.

Osservazioni e suggerimenti pratici dell'Autore

La soluzione della Corte di Cassazione non appare esattamente coerente con l'interpretazione letterale del combinato disposto dei commi 2-bis e 2-ter dell'art. 2 legge 24 marzo 2001, n. 89, che sono costruiti nel senso di individuare distintamente la durata presuntivamente ragionevole dei singoli gradi di giudizio nei quali il processo si è articolato, restando fermo, attraverso la norma di chiusura, che un processo che sia durato nel complesso, anche quindi in un solo grado come nel caso di specie, sei anni abbia avuto una durata ragionevole.

Peraltro, la scelta della S.C. – che senz'altro finisce con il non attribuire alcun significato concreto al comma 2-ter dell'art. 2 legge Pinto - è quella di una, pure possibile in base alla lettera delle disposizioni normative, interpretazione convenzionalmente e, quindi, costituzionalmente orientata in linea di continuità con la consolidata giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.






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