Micropermanenti e accertamenti strumentali: a volte ritornano. Nuovi appigli per la "teoria del nulla"?

Maurizio Hazan
20 Febbraio 2017

Come noto, la Consulta ha sdoganato senza esitazioni né incertezze la legittimità dei commi 3-ter e 3-quater dell'art. 32 del c.d. Decreto Liberalizzazioni (d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, conv. con l. 24 marzo 2012, n. 27). E lo ha fatto con due successivi interventi (C. cost.,16 ottobre 2014, n. 235 e C. cost., ord., 26 novembre 2015, n. 242) che parevano aver chiuso finalmente il dibattito, confermando la necessità degli accertamenti strumentali ai fini del risarcimento del danno permanente da lesioni lievi. A fronte dell'autorevolezza della fonte, sorprende e un poco disorienta il recente tentativo di riaprire la questione, azzerando la portata innovativa della riforma del 2012. L'argomento, o meglio sarebbe dire il pretesto, per riaprire le danze risiederebbe in un distratto e fugace passaggio della sentenza Cass. civ., 26 settembre 2016, n. 18773 (steso in forma di obiter). Tale passaggio, a parere di chi scrive, non sembra invece per nulla convincente né idoneo a giustificare un discutibile ritorno al passato.
Ancora sulla modalità di ristoro dei danni da "colpo di frusta"

È nota, e trasversalmente diffusa nel nostro Paese, la tendenza a resistere al cambiamento; ad impaludarsi nella riproposizione di questioni stantie, piuttosto che guardare avanti e prendere atto della necessità di mettersi al passo coi tempi.

A tal malvezzo non pare sfuggire (anzi!) il tema del risarcimento delle lesioni di lieve entità da sinistro stradale, in relazione al quale di tutto sembrava vi fosse bisogno tranne che di rispolverare le antiche, tediose, discussioni sulle modalità di ristoro dei danni da “colpo di frusta”.

Ed, invece, eccoci nuovamente trascinati nella riedizione di un vecchio, stucchevole, dibattito sui criteri di risarcimento delle lesioni di lieve entità e, in particolare, sulla possibilità di azzerare la portata innovativa della riforma del 2012 (art. 32, commi 3-ter e 3-quater, d.l., 24 gennaio 2012, n. 1, conv. con l. 24 marzo 2012, n. 27) che, con l'avallo postumo della Consulta (C.cost., 16 ottobre 2014, n. 235 e C.cost., ord., 26 novembre 2015, n. 242), aveva introdotto un evidente barrage alla liquidabilità dei danni permanenti (da sinistro stradale) non accertabili strumentalmente.

Interessante osservare come il pretesto per tentare di riportare le lancette indietro di qualche anno è stato reperito non in una sentenza di chissà quale pregio, bensì in un modesto, fugace e finanche criptico obiter dictum contenuto in una ancor meno rilevante pronuncia della Suprema Corte. E ciò, all'evidenza, non può stupire.

Le disposizioni di cui ai commi 3-ter e 3-quater dell'art. 32 della l. 27/2012, sia pur con tutti i loro difetti di formulazione e coordinamento, avevano certamente colto l'obiettivo (chiarissimo, quanto a ratio) che il legislatore si era prefissato, ossia quello di limitare la risarcibilità dei traumi minori del rachide cervicale, cioè dei "colpi di frusta", che da sempre costituiscono terreno di coltura di una diffusa fraudolenza. Obiettivi che, se si guardano i dati resi noti da ANIA (L'assicurazione italiana 2015-2016), risulterebbero essere stati effettivamente conseguiti, per di più in termini consistenti.

A fronte di tale drastico intervento il cospicuo settore degli interessi coinvolti dalla contrazione risarcitoria ex lege ha levato gli scudi, da un lato contestando l'inaccettabile compressione del sacro diritto al risarcimento del danno alla salute; dall'altro, sostenendo che l'imposizione di una condizione risarcitoria (la sussistenza di un accertamento strumentale) finirebbe per offendere la dignità della professione medico legale, che ben potrebbe individuare ex lege artis – e stimare – la lesione, anche in assenza di qualsiasi reperto diagnostico/strumentale.

Tali argomenti, entrambi non troppo pregiati sul piano giuridico, sembravano esser stati totalmente disinnescati dalle precise prese di posizione assunte dalla Corte Costituzionale sul punto (C. cost.,16 ottobre 2014, n. 235 e C. cost., ord., 26 novembre 2015, n. 242) .

Così come sembrava del tutto messa fuori gioco la “teoria del nulla”, pur autorevolmente sostenuta all'indomani della l. n. 27/2012, secondo la quale le due norme in oggetto non avrebbero avuto alcuna portata precettiva, trattandosi di mere disposizioni esortative (!), unicamente volte a richiamare gli operatori del diritto e della medicina legale ad una migliore serietà, ed obiettività, nell'accertamento delle lesioni lievi (M. ROSSETTI, Le nuove regole sull'accertamento del danno da lesione di lieve entità: profili giuridici, in Assinews, 233, 17 luglio 2012).

Ecco dunque che non è parso vero, a tutte quelle voci dissonanti, trovare un qualche appiglio attorno al quale provare a rimettere tutto in gioco e a dar via libera alla possibilità di valutare e liquidare i colpi di frusta anche in assenza di accertamenti strumentali in grado di dimostrarne l'effettività.

E l'appiglio, debolissimo, sta proprio nell'obiter dictum (di quattro righe) contenuto nelle due scarne paginette della sentenza della Cassazione n. 18773/2016 (Cass. civ., sez. III, 26 settembre 2016, n. 18773 con nota di M. HAZAN, Lesioni lievi in Cassazione (tra corsi, ricorsi e nuovi spunti critici), in Danno e Resp., 2016, 12, 1225).

Ora, la questione potrebbe non preoccupare, fin tanto che l'autopromozione pubblicitaria di questo ritorno all'antico continui a promanare da voci in qualche modo coinvolte dalla più recente contrazione risarcitoria.

Ma ciò che induce lo scrivente a prender più seria posizione sulla questione è il focus apparso su questa testata a firma di Marco Bona (M.BONA, Micropermanenti: la Cassazione contro prove diaboliche e/o inutili in Ri.da.re.it), giurista autorevole di cui chi scrive ha piena ed assoluta stima, per la qualità degli scritti e l'intelligenza delle idee.

Ebbene, in tale focus si stende il manifesto del ritorno al passato, sino a concludere sulla necessità di accordare prevalenza all'obiter di Cassazione e di disattendere (!) la diversa posizione della Corte Costituzionale. E quindi di escludere la necessità degli accertamenti strumentali quale condizione per dar corso alla valutazione medico legale delle lesioni di lieve entità.

Trattasi di conclusione che, al di là dell'usuale pregio stilistico, segna un paradosso inaccettabile, che non può essere coltivato se non a livello di provocazione concettuale (come del resto, tra le righe, sostenuto dallo stesso Autore, secondo il quale «la Cassazione è “costituzionalmente orientata” mentre non lo è la Consulta»).

Ma, siamo certi, tali argomenti, già oggi elevati a vessillo da numerose società “infortunistiche”, rischiano di avere una portata deflagrante sugli assetti del contenzioso automobilistico.

Il diritto positivo, piaccia o non piaccia, sta nelle leggi, per come scritte e per come interpretabili in conformità ai canoni espressi dall'art. 12 delle Preleggi (interpretazione letterale e secondo ratio legis).

Un piccolo ripasso: accertamenti strumentali e micropermanenti secondo la legge n. 27/2012

Il così detto “Decreto Liberalizzazioni” conteneva una serie di disposizioni del tutto eterogenee e volte ad innovare significativamente la normativa assicurativa, con particolare riferimento al settore della RC auto. L'autentico trait d'union di quell'intervento si sostanziava nell'esigenza primaria di garantire un accesso alle coperture obbligatorie a condizioni di premio sostenibili; il tutto attraverso una serie di provvedimenti diretti non solo a stimolare una più libera concorrenza tra le imprese, ma anche ad abbattere direttamente taluni fattori impropri di costo che da tempo impattavano negativamente sulla tenuta del sistema assicurativo della RC auto. Tra questi, i costi eccessivi di una certa sinistrosità e la deprecabile tendenza a trasformare legittime istanze risarcitorie in propizie occasioni per arricchimenti indebiti. Sullo sfondo, naturalmente, si poneva l'urgenza di trovare una soluzione alla speculazione dei “colli deboli”, fenomeno biasimevole eppur tipico alle nostre latitudini.

È in questo contesto che trovava dapprima genesi l'art. 139 Cod. ass., disposizione che, dedicata al risarcimento delle lesioni di lieve entità, ha introdotto un limite al potere di valutazione equitativa del giudice, individuando un tetto massimo (un quinto) al di là del quale il suo potere di personalizzazione liquidativa non poteva estendersi (rispetto ai valori espressi dalle tabelle di legge). A livello giurisprudenziale, dipoi, vedeva la luce la prima, storica ma rotonda affermazione della necessità di “pesare” i criteri risarcitori, per le lesioni di lieve entità, anche in funzione del contenimento dei premi assicurativi. Ci riferiamo alla sentenza Cass. civ., 7 giugno 2011, n. 12408, (conf. da Cass. civ., 30 giugno 2011, n. 14402), nella cui motivazione la Cassazione prende il coraggio di rimarcare l'evidentissimo fil rouge che lega inscindibilmente le sorti del regime della responsabilità a quelle dell'assicurazione obbligatoria che la garantisce (nonché alle vicende dei relativi costi sociali).

Rimane il fatto che nella sua versione originaria l'art. 139 del Cod. ass., pur votato a realizzare un equo contemperamento tra le esigenze della collettività assicurata e quello dei singoli danneggiati (da lesioni lievi..), non riusciva a porre un freno al proliferare di richieste risarcitorie da distorsione del rachide cervicale (o da altre consimili fattispecie) sovente non obiettivabili in concreto e quindi liquidate sulla base di mere soggettività riferite in sede di pronto soccorso. Il fenomeno, come detto, era – ed è – considerato socialmente riprovevole e tale da incidere patologicamente sugli assetti complessivi del sistema assicurativo obbligatorio.

E proprio dall'esigenza di rimediare a questa concreta criticità trovava genesi il celebre binomio normativo costituito dall'art. 32, commi 3-ter e 3-quater, del menzionato d.l. n. 1/2012 (norme introdotte a corredo/integrazione del citato art. 139 Cod. ass.).

Le disposizioni perseguivano - entrambe - finalità piuttosto esplicite: da un lato, rieducare il mercato al rispetto della “sana e prudente” gestione della fase liquidativa; al rispetto, cioè, di tecniche liquidative rigorose, obiettive e svincolate dalle convenienze economiche di breve periodo e dalla tendenza a privilegiare logiche transattive rispetto ai costi indotti da un più severo approccio istruttorio; dall'altro sanare, o almeno mitigare, i nefasti effetti indotti da una certa “industria” del sinistro, soprattutto in relazione a determinati fenomeni - i traumi minori del collo - sovente privi di autentica portata lesiva e, comunque, troppo spesso posti al centro di strategie inaccettabilmente speculative.

Così il comma 3-ter completa la definizione di danno biologico contenuta nell'art. 139 Cod. ass. con la precisazione che «In ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente».

Il comma 3-quater, invece, dispone che «Il danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all'articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, è risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l'esistenza della lesione».

Al di là dei problemi di coordinamento tra le due disposizioni (probabilmente concepite, in origine, sotto forma di emendamenti autonomi ed autosufficienti all'originaria versione del d.l. n. 1/2012) sembra potersi sostenere che il comma 3-quater esprima una regola generale applicabile all'intero corpo dell'art. 139 Cod. ass. e dunque a qualsiasi lesione di lieve entità, sia essa temporanea o permanente. Più precisamenteGG tale norma, rimanendo esterna al Codice delle assicurazioni private, introduce una vera e propria condizione di risarcibilità del danno biologico lieve, condizione integrata dal riscontro medico legale dell'accertamento dell'esistenza della lesione.

Viene così superata, per le sole lesioni di cui all'art. 139 Cod. ass., la diversa lettura fornita dalla Suprema Corte (Cass. civ., Sez. Un., 8 novembre 2008, n. 26972) la quale, riferendosi a qualsiasi tipologia di danno (e quindi anche alle lesioni di non lieve entità di cui all'art. 138 Cod. ass.), aveva invece ritenuto l'accertamento medico legale surrogabile, ai fini del risarcimento, da altri strumenti di prova idonei a sostenere il libero convincimento del giudice.

Quanto invece al comma 3-ter, tale norma, pur precedendo la regola generale di cui al comma successivo, finisce per disegnare un ambito di applicazione più ristretto, calandosi nel comma 2 dell'art. 139 ed affermando l'impossibilità di risarcire danni permanenti che non siano rigorosamente verificabili sulla scorta di accertamenti medici di tipo clinico strumentale obiettivo (con esclusione perciò delle sintomatologie soggettivamente riferite ma non obiettivamente accertabili). Il che equivale a dire, raccordando entrambe le norme, che in nessun caso un danno lieve alla persona, anche se apprezzato in sede di successiva visita medico legale, potrà dar luogo al risarcimento per postumi permanenti in mancanza di reperti documentali/strumentali in grado di obiettivare la lesione al momento del sinistro. Viceversa, anche in mancanza di evidenze strumentali, il medico legale potrebbe, nell'ambito dei suoi necessari accertamenti pre liquidativi ed applicando l'usuale criteriologia valutativa, ritenere la sussistenza di postumi invalidanti temporanei. Altra questione, naturalmente, è quella della riferibilità causale della lesione al sinistro, non toccata (e non avrebbe potuto essere altrimenti) dalle disposizioni in parola.

Giova ricordare come tale interpretazione del combinato disposto normativo, di per sé aderente ai canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle Preleggi, era stata fatta propria dall'ISVAP nella propria lettera la mercato del 19 aprile 2012.

Dalle interpretazioni dissonanti alla ratifica della Consulta

Il violento impatto dei commi 3-ter e 3-quater su determinate prassi liquidative (e sui variegati centri di interesse che da quelle traevano una qualche linfa) poteva, evidentemente, suscitare resistenze e reazioni contrastanti. Non solo: la chiara direzionalità finalistica delle disposizioni incontrava severe critiche tra i sostenitori di una concezione meno laica ed economica del diritto e della funzione stessa della responsabilità civile; tanto più tra quelli - ed erano molti (tra cui M. BONA, Micropermanenti: la Cassazione contro prove diaboliche e/o inutili, ove dichiara che «con la l. n. 27/2012 il problema dell'illegittimità costituzionale dell'art. 139 Cod. ass. ha raggiunto il suo apice massimo») – che ritenevano che la nuova normativa esasperasse in modo inaccettabile i già ampi limiti connaturati all'originaria disciplina dell'art. 139 Cod. ass. Di qui, dunque, diversi tentativi di disinnescare la riforma, vuoi attraverso una sua interpretazione demolitiva, vuoi mediante l'affermazione della sua illegittimità costituzionale.

Quanto all'operazione di demolizione ermeneutica, alcuni commentatori hanno ritenuto che le norme avessero mera valenza esortativa (cfr. M. ROSSETTI, Le nuove regole sull'accertamento del danno da lesione di lieve entità: profili giuridici) e risultassero, in quanto tali, prive di reale portata precettiva (anche perché altrimenti incostituzionali, non potendosi ammettere una “negazione” di tutela a fronte di «lesioni alla integrità fisica»). Più precisamente, si sarebbe trattato di disposizioni finalizzate a fungere da semplice monito agli operatori del settore, quasi a ricordar loro la necessità di valutare i postumi invalidanti da lesioni lievi con la necessaria obiettività ed il giusto rigore, evitando semplificazioni accertative, specie se favorite dalla poca rilevanza del caso concreto. Secondo tale teoria (che ci siamo permessi di definire "del nulla") il 3-ter ed il 3-quater finirebbero, dunque, per perdersi nell'opalescenza di un mero richiamo a seguire regole già immanenti al sistema.

Non sfuggirà al lettore che una tale impostazione – di per sé non convincente sul piano della qualificazione funzionale di norme di rango primario – finiva per trasformare lo sforzo interpretativo in una sostanziale ed integrale disapplicazione (in fatto) delle disposizioni in oggetto.

Di qui la diversa via seguita da coloro i quali, pur prendendo atto dei contenuti innovativi (e certamente precettivi/limitativi) della riforma, tentarono di arginarne gli effetti invocandone la contrarietà alla Carta Costituzionale; ciò soprattutto con riferimento alla pretesa violazione degli artt. 3, 24 e 32 Cost. ed in relazione al sostanziale annichilimento del diritto al risarcimento di danni lievi che, pur ordinariamente valorizzabili in forza di criteri di accertamento non necessariamente strumentali, non incontrerebbero (immotivatamente) tutela – nel settore della RC auto – laddove non supportati da riscontri diagnostici strumentali.

Ed in effetti la Corte Costituzionale è intervenuta, dando vita a due storici provvedimenti destinati a divenire pietre angolari dell'intera disciplina della RC auto per la forza – e la massima autorevolezza – con cui trova consacrazione un principio che fino a qualche anno prima risultava difficile soltanto enunciare: quello secondo cui il sistema obbligatoriamente assicurato della RC auto, posto a tutela della collettività ed anche degli interessi dei terzi danneggiati, costituisce espressione di un equilibrio solidale in qualche modo presidiato dall'art. 2 Cost. Ed in quest'ottica, il contenimento convenzionale dei risarcimenti può essere giustificato proprio in funzione dell'esigenza di mantenere i premi assicurativi entro un livello tale da consentire a tutti i consociati di utilmente assicurarsi.

Ci riferiamo, in primo luogo, alla citata sentenza C. Cost., 16 ottobre 2014 n. 235 (per un maggior approfondimento, vedi anche F. MARTINI, La legittimità della tabella di liquidazione del danno alla persona – cosa cambia dopo la Consulta, in Ri.da.re.; M. HAZAN, La Consulta e il danno alla persona nella r.c. auto: così è e cosi pare, in Ri.da.re.), in cui è stato chiarito che (par. 3.1): «tali nuove disposizioni [l'art. 32, commi 3-ter e 3-quater][...] - rispettivamente comportano, per tali lievi lesioni: la necessità di un “accertamento clinico strumentale” (di un referto di diagnostica, cioè, per immagini) per la risarcibilità del danno biologico permanente; la possibilità anche di un mero riscontro visivo, da parte del medico legale, per la risarcibilità del danno da invalidità temporanea».

Ma è soprattutto la più recente ordinanza C. Cost., 21 ottobre 2015, n. 242 (per un maggior approfondimento, vedi anche REDAZIONE SCIENTIFICA, Nessuna incostituzionalità per il "nuovo" art. 139 Cod. ass., in Ri.da.re.; L. SALVATO, Nuovo disco verde per il risarcimento del danno biologico per lesioni micropermanenti, in Quot. Giur., 30 novembre 2015) ad aver disegnato con lucidità contorni, contenuti e significato della riforma, rigettando expressis verbis ogni sollevata questione di legittimità costituzionale in quanto manifestamente infondata. La forza argomentativa della pronunzia impone di riportarne testualmente i passi salienti:

«considerato che con la recente sentenza n. 235 del 2014, questa Corte ha già, per un verso, escluso che la "necessità" del riscontro strumentale sia riferibile al danno temporaneo (che, ai sensi del comma 3-quater del citato art. 32 del d.l. n. 1 del 2012, come convertito dalla l. n. 27 del 2012, può quindi, essere anche solo "visivamente", appunto, accertato, sulla base di dati conseguenti al rilievo medico-legale rispondente ad una corretta metodologia sanitaria) ed ha, per altro verso, ritenuto non censurabile la prescrizione della (ulteriore e necessaria) diagnostica strumentale ai fini della ricollegabilità di un danno 'permanente' alle microlesioni di che trattasi;

che, in relazione a tale seconda tipologia di danno, la limitazione imposta al correlativo accertamento (che sarebbe altrimenti sottoposto ad una discrezionalità eccessiva, con rischio di estensione a postumi invalidanti inesistenti o enfatizzati) è stata, infatti, già ritenuta rispondente a criteri di ragionevolezza, in termini di bilanciamento, in un sistema, come quello vigente, di responsabilità civile per la circolazione dei veicoli obbligatoriamente assicurata, in cui le compagnie assicuratrici, concorrendo ex lege al Fondo di garanzia per le vittime della strada, perseguono anche fini solidaristici, e nel quale l'interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve comunque misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi».

Insomma, con tali prese di posizione la Consulta risolve entrambi i profili di contestazione sopra passati in rassegna: in primo luogo fornendo (o meglio confermando) l'interpretazione sistematica, letterale ed utile dei due commi, intesi come norme ben precettive, niente affatto “esortative”, e chiaramente rivolte a differenziare la criteriologia (o la metodica) accertativa delle lesioni permanenti da quelle temporanee. Secondariamente, prendendo atto dell'evidente limitazione risarcitoria indotta dalla nuova disciplina e giustificandola, sul piano della tenuta costituzionale, in funzione del superiore bilanciamento degli interessi (solidaristici e propri del sistema assicurativo della RC auto) che la presidia.

Ciò avrebbe potuto e dovuto, a parere di chi scrive, chiudere il cerchio e liberare spazi e tempi per occuparsi, come detto in apertura, di questioni ben più serie e prospetticamente rilevanti.

Ma le cose sembrano andare diversamente..

La sentenza n. 18773/2016: autorevole precedente o timido pretesto?

Eccoci dunque, e finalmente, alla pronunzia di Cassazione (Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2016 n. 18773) che tanto sta alimentando – tra gli avversatori della riforma del 2012 – rigurgiti di resistenza, dando vita a nuovi dibattiti ed alla riviviscenza dei tentativi di leggere i citati commi 3-ter e 3- quater in modo tale da azzerarne, in fatto, la portata innovativa e da cancellare i vincoli strumentali posti in relazione all'accertamento dei postumi permanenti da lesioni di lieve entità.

A voler ben vedere, questo argomentare “di ritorno” sembra appoggiarsi interamente su di uno sbrigativo passo della sentenza, steso in forma di obiter, in cui l'estensore, in guisa di autentico fuor d'opera, prende un'impressionistica posizione su entrambe le disposizioni (commi 3-ter e 3-quater) che disciplinano il quomodo del risarcimento delle lesioni di lieve entità. Così, le due norme, da leggersi «in correlazione alla necessità [...] che il danno biologico sia ‘suscettibile di accertamento medico-legale', esplicherebbero entrambe [...] (senza differenze sostanziali tra loro) i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina-legale (ossia il visivo-clinico-strumentale, non gerarchicamente ordinati tra loro, né unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo le leges artis), siccome conducenti ad una ‘obiettività' dell'accertamento stesso, che riguardi sia le lesioni, che i relativi postumi (se esistenti)».

Trattasi di passaggio che, ben poco compiuto nel suo ragionamento ed assai frettoloso, finisce per compiere una specie di crasi dei due commi (3-ter e 3-quater), accomunandoli sotto il profilo della ratio e riunendo in un'unica formula (“visivo-clinico-strumentale”) i criteri scientifici di accertamento da entrambi predicati, senza distinguerne l'ambito. Criteri che, ci dice la Corte, non sarebbero gerarchicamente ordinati tra loro e non dovrebbero esser unitariamente intesi, bensì utilizzati secondo le leges artis.

Il che, secondo alcuni lettori della pronunzia, confermerebbe che anche per i postumi permanenti (ad esempio, da “colpo di frusta”, per rimanere nell'ambito delle casistiche che le disposizioni in oggetto volevano “contenere”) il medico legale non sarebbe affatto tenuto a verificare preliminarmente l'esistenza di accertamenti strumentali (in assenza dei quali nessun postumo permanente potrebbe esser dichiarato), rimanendo invece libero di affidarsi ad uno qualsiasi dei criteri alternativi, purché “conducenti ad un obiettività dell'accertamento stesso”.

Sull'onda di quel sincopato argomentare la Cassazione avrebbe, oggi, sancito un ritorno alla situazione di partenza, antecedente alla riforma, e riproposto quella “teoria del nulla” che, escludendo qualsiasi barrage diagnostico strumentale, ridurrebbe le norme in commento a mere raccomandazioni a cui dovrebbe seguire un'applicazione diligente e rigorosa delle leges artis nell'accertamento dei postumi.

Ora se è vero, come è vero, che l'arte dell'argomentare, specie se mossa da interessi economici di estrema rilevanza, cerca del tutto fisiologicamente di reperire, a proprio sostegno, ogni utile appiglio, è ancor più vero che le regole di un approccio giuridicamente corretto devono governare il ragionamento dell'interprete più di qualsiasi spinta finalistica che lo stesso volesse privilegiare.

Alcune considerazioni, dunque si impongono, per poter collocare il tema entro i suoi più corretti perimetri.

Si consideri, dunque, che:

1) La sentenza 18773/2016, che tanto fuoco sembra aver acceso (e che l'amico Marco Bona sostiene debba prevalere sulle pronunzie della Consulta) non esprime certo, ci sia concesso, una pagina memorabile della nostra giurisprudenza. Tre asciutte paginette, stese su di una questione priva di qualsiasi significatività e chiuse di una decisione (di accoglimento del motivo di censura) tanto semplice quanto ovvia, attesa la manifesta erroneità della sentenza di merito oggetto di gravame. La vicenda riguardava una richiesta di risarcimento inerente ad un danno biologico temporaneo – si badi, dunque, non permanente – derivato alla ricorrente a fronte di lesioni contusive «alla spalla sinistra, allo emotorace sinistro ed alla cervicale» patite dalla stessa a seguito di un sinistro stradale. Per quanto accertate «visivamente come ritiene la legge» dal «sanitario di guardia al Pronto Soccorso», tali «affezioni asintomatiche di modesta intensità non suscettibili di apprezzamento obiettivo clinico» non erano state risarcite dal Tribunale (in veste di Giudice di secondo grado) in quanto «non dimostrate con le rigorose modalità prescritte ex lege». Non poteva, perciò, sussistere alcun dubbio circa il fatto che tali postumi, proprio perché temporanei, e quindi non sottoposti come i permanenti al vincolo dell'«accertamento clinico, strumentale, obiettivo» previsto dall'art. 32, comma 3-ter, avrebbero potuto/dovuto esser adeguatamente valorizzati dal Giudice del merito facendo dunque leva sul più lasco filtro valutativo dell'art. 32, comma 3-quater. Di qui la conclusione alla quale perviene, senza incertezze, la Cassazione, cassando la sentenza impugnata.

2) Si tratta dunque di una decisione che sarebbe priva di qualsiasi interesse, se non fosse per il singolare – e rapidissimo – obiter dictum (ripetesi: un semplice obiter!) sopra riportato per esteso. Il che riduce, ancor di più, la portata ed il rango del precedente, specie laddove lo stesso sia posto in confronto alla – ben diversa – posizione espressa dalla Corte Costituzionale sul medesimo tema.

3) Per quanto sia difficile comprendere perché l'estensore abbia sentito il bisogno di colorare incidentalmente (e senza che ve ne fosse alcuna necessità dal momento che il caso è stato poi risolto in piana applicazione del solo comma 3-quater) il suo pensiero a proposito della ratio sottesa all'intera riforma del 2012, non può non rilevarsi come tale pensiero non sia neppure perfettamente espresso. Ed invero, l'obiter in questione tradisce le premesse argomentative che la stessa sentenza 18773 aveva fatto proprie poche righe prima, descrivendo la norma nella propria bivalente portata applicativa e funzionale. Infatti è proprio la pronuncia in commento a richiamare senza sfumature, a sostegno della propria motivazione ed in modo apparentemente adesivo, la posizione della Consulta: «Come precisato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 235 del 2014, la citata norma [ndr: l'art. 32, comma 3-quater], avente ad oggetto le modalità di riscontro medico-legale delle lesioni di lieve entità a seguito di sinistro derivante dalla circolazione stradale, unitamente a quella del precedente comma 3-ter (modificativa del predetto art. 139 Cod. ass.) concernente il danno biologico permanente (e il cui risarcimento non potrà aver luogo ove le lesioni di lieve entità ‘non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo)». Nella prima parte del proprio zigzagante incedere la Cassazione attinge dunque senza riserve a quanto statuito dalla Consulta, senza porre dubbi o riserve circa il fatto che le due disposizioni (i commi 3-ter e 3-quater) abbiano un ambito di applicazione ben separato, come testualmente affermato in motivazione («la prima […] riguardante il danno biologico permanente, la seconda quello temporaneo»). Ora, l'affermazione di una tal chiara distinzione non avrebbe senso (e si rivelerebbe inaccettabilmente contraddittoria) laddove poi venisse in concreto obnubilata da una diversa interpretazione, lasca e confusoria, tale da appiattire le due norme entro un identico ambito semantico ed operativo. Di qui la necessità di considerare l'obiter dictum di cui si controverte – già di per sé privo di consistenza nella topografia delle decisioni sul tema – con la dovuta distanza.

In definitiva: non si tratta di un autorevole precedente ma solo di un timido pretesto per provare a rispolverare vecchi argomenti, che pure la Consulta sembrava aver definitivamente mandato al macero.

In conclusione

La domanda è, ovviamente, retorica e la risposta obbligata.

In primo luogo, e per tutte le ragioni sin qui sostenute, non pare che dalla sentenza Cass. civ., n. 18773/2016 possa davvero inferirsi un qualsivoglia orientamento giurisprudenziale degno di questo nome.

Secondariamente merita chiara confutazione la tesi, pur autorevolmente espressa (M. Bona citare ridare) secondo la quale i citati precedenti della Consulta, in quanto non vincolanti, potrebbero esser agevolmente disattesi da chicchessia e dovrebbero – addirittura – cedere il passo di fronte all'obiter della Suprema Corte. Il ragionamento che la sostiene si regge sul filo di un finissimo equivoco. Facendo riferimento ad una giurisprudenza consolidatasi attorno al tema delle sentenze interpretative di rigetto (si veda Cass. pen., Sez. Un., 31 marzo 2004, n. 23016) l'Autore giunge a sostenere che la posizione espressa dalla Corte Costituzionale, non avendo efficacia erga omnes, lascerebbe comunque liberi i giudici di legittimità e di merito di reinterpretare in piena autonomia le disposizioni già “licenziate” dalla Consulta; il tutto a patto che si dia vita ad una lettura della norma comunque costituzionalmente orientata, ancorché differente da quella indicata nella decisione di rigetto.

Tale principio non richiede, almeno ai nostri fini, di esser messo in discussione, in quanto la sua invocazione pare piuttosto inconferente. Il fatto che di una data norma possa esser offerta una diversa interpretazione rispetto a quella proposta dalla Corte Costituzionale purché ugualmente salvifica non coincide affatto con quanto avvenuto nella vicenda che ci occupa.

Nel nostro caso, infatti, la Consulta non ha in alcun modo reinterpretato la disposizione rispetto a quanto indicato dal Giudice remittente: ben al contrario si è limitata a sancire, per i motivi sopra analizzati, la piena legittimità dei commi 3-ter e 3-quater nella loro lineare formulazione testuale.

Ciò che l'obiter “sembra” – e la formula dubitativa è d'obbligo – proporre non è una diversa interpretazione della disposizione, anch'essa costituzionalmente orientata, ma, assai più drasticamente, la sua sostanziale disapplicazione.

Del resto, l'angolo visuale su cui si fondava il giudizio di legittimità costituzionale dei due commi in oggetto è estremamente stretto: si trattava assai semplicemente di comprendere se la limitazione risarcitoria introdotta dalla norma fosse o meno conforme alla Carta. E sul punto la Consulta ha espresso una posizione non equivocabile, fondata sul riconoscimento delle superiori esigenze di bilanciamento degli interessi coinvolti nel sistema della RC auto. Punto e basta!

Lo snodo oggetto di sindacato costituzionale non è stato aggirato, ma – al contrario – preso in considerazione, senza mediazione né compromessi e nel modo più netto e più chiaro possibile. A fronte di quanto sopra, le conclusioni alle quali perviene Marco Bona (coraggiosamente, va detto) hanno la bellezza di un “tuffo carpiato capovolto”, elegantissimo nel gesto ma invariabilmente destinato a fare un “buco nell'acqua”. È infatti errato dire che la «Corte costituzionale lasci del tutto irrisolto il nodo della incostituzionale irragionevolezza di un filtro selettivo (l'accertamento strumentale”) spesso inutile e/o impossibile da soddisfare (in questa seconda ipotesi tale da assurgere ad autentica probatio diabolica”)». Ben al contrario la Corte ha espressamente trattato il punto, concentrandosi specificamente sullo stesso ed affermando senza esitazioni (proprio!) la ragionevolezza costituzionale di quel filtro selettivo.

Piaccia o non piaccia, questa è la posizione della Consulta, mentre quel che pare affermare la Cassazione nel proprio obiter non integra un'interpretazione alternativa ma, ben diversamente, la negazione del principio solidaristico che la decisione della Corte Costituzionale ha voluto invece sancire.

Ed ancor più fuorviante ci sembra il tentativo di depotenziare la posizione della Consulta in quanto asseritamente contrastante con le «indicazioni scientifiche, medico-legali e fattuali circa gli obiettivi limiti di impiego, di rilevanza e/o di disponibilità degli accertamenti strumentali (in alcuni casi preclusi dalla legge); contrasti che, invece, gravano pesantemente sulla posizione perorata dalla Consulta».

È certo vero che una significativa parte della “medicina legale” ha espresso, sul tema, contrarietà e resistenza alla riforma del 2012: ciò anche sul presupposto della piena e perfetta possibilità di accertare l'esistenza dei postumi permanenti da lesioni lievi anche in assenza di accertamenti strumentali, e perciò ricorrendo ad una libera metodologica diagnostica, purché condotta ex lege artis. L'argomento, tuttavia, pur ben convincente, non coglie nel segno, così come non colgono nel segno le doglianze che la categoria ha sovente espresso circa un temuto svilimento delle professionalità coinvolte.

È appena il caso, infatti, di rimarcare come nessuna offesa sia recata a tali professionalità, alle quali non viene affatto negata la possibilità di valutare il danno senza ricorrere ad accertamenti strumentali: il limite vale, infatti, solo e soltanto nel sistema risarcitorio automobilistico (e sanitario). Chi subisse un colpo di frusta cadendo da cavallo non sarebbe, invero, assoggettato, ad alcun barrage, ed il medico legale che fosse chiamato ad accertare i relativi postumi non incontrerebbe alcuna preclusione “strumentale”.

La differenza di regime, peraltro, è stata anch'essa avallata dalla Consulta, proprio in funzione della necessità di garantire la sostenibilità NON del sistema risarcitorio generale ma di quello, particolare e solidale, della RC auto.

E ci sia consentito, da ultimo, osservare come il tentativo di relegare gli argomenti della Consulta a posizioni di rincalzo rispetto NON alla Cassazione, ma addirittura ad un passaggio extravagante di una sentenza periferica di legittimità, offenda il ruolo della Corte Costituzionale e la rilevanza degli orientamenti interpretativi da tale Corte espressi. Orientamenti che la stessa Corte Suprema, in una notissima sentenza resa - dopo la sentenza C. Cost., 16 ottobre 2014 n. 235 - proprio sulla portata dell'art. 139 Cod. ass. (v. Cass. civ., 9 giugno 2015, n. 11851) si è ben sognata di disattendere, qualificandoli invece come autentica espressione del “massimo livello interpretativo”.

È dunque tempo di chiudere il cerchio.

Semmai si vorranno cambiare le regole del gioco lo si dovrà fare in sede legislativa.

Od interessando nuovamente la Corte Costituzionale, ma questa volta su temi diversi, quali ad esempio la verifica circa la perdurante esistenza di un rapporto di bilanciamento solidaristico laddove le lesioni di cui si tratti non siano traumi minori del collo ma altre maggiori patologie, anch'esse non strumentalmente accertabili. Il pensiero corre, ovviamente, al danno psichico, per quanto davvero infrequente tra le casistiche di sinistro stradale non connotate da gravità.

Fuori da questo argomento specifico e di nicchia, l'auspicio è che il tema delle micropermanenti lasci spazio a questioni più serie, lasciando alle spalle le usuali resistenze al cambiamento e le tipiche insofferenze alla regola.

Valgano dunque, una volta per tutte, le parole della Consulta.

Guida all'approfondimento

M. BONA, La nuova R.C.A. dopo la Legge 27/2012, Sant'Arcangelo di Romagna, 2012;

M. FRANZONI, Tabelle nazionali per sentenza, o no?, in Corr. giur., 2011, 1085;

M. HAZAN, L'equa riparazione del danno (tra r.c. auto e diritto comune), in Danno e Resp., 2011, 946;

M. HAZAN, “Liberalizzazioni obbligatorie” ed assicurazioni RCA: antinomie strutturali di una riforma empirica, in Corr. giur., 2012, spec. 2, 5;

M. HAZAN, La Consulta e il danno alla persona nella r.c. auto: così è e cosi pare, in Ri.da.re.;

F. MARTINI, La legittimità della tabella di liquidazione del danno alla persona – cosa cambia dopo la Consulta, in Ri.da.re.;

G. PONZANELLI, Le tabelle milanesi, l'inerzia del legislatore e la supplenza giurisprudenziale, in Danno e Resp., 2011, 956;

M. ROSSETTI, Il quesito medico legale dopo la riforma dell'art. 139 Cod. ass., in Danno e Resp, 2013, 10, 932;

M. ROSSETTI, Le nuove regole sull'accertamento del danno da lesione di lieve entità: profili giuridici;

D. SPERA, Art. 32, commi 3 ter e 3 quater, della l. 27/2012: problematiche interpretative, in Danno e Resp, 2013, 2, 216;

D. SPERA, I criteri di liquidazione del danno non patrimoniale e le questioni aperte dai recenti orientamenti di legittimità, in Giur. it., 2012, 6, 1307.

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