Risarcimento del danno non patrimoniale da illegittima segnalazione alla Centrale rischi: la Cassazione chiarisce gli oneri probatori
22 Luglio 2015
Massima
In caso di illecito trattamento dei dati personali per illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi, il pregiudizio non patrimoniale non può mai essere in re ipsa, ma deve essere allegato e provato da parte dell'attore, anche mediante il ricorso alla prova presuntiva. Raggiunta la prova della lesione, considerando che trattasi di beni immateriali il cui pregiudizio difficilmente si presta ad essere effettivamente valutato e quantificato, il danneggiato potrà ritenersi esonerato dalla dimostrazione del quantum dello stesso, a tal fine sopperendo la valutazione equitativa del giudicante ex art. 1226 c.c.. Il caso
La cliente di un istituto di credito proponeva ricorso nei confronti dello stesso dinanzi al Tribunale di Torino ai sensi dell'art. 152, comma 2, D. Lgs. n. 196/2003 deducendo che:
Domandava pertanto il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti. Il Tribunale adito, in parziale accoglimento della domanda, condannava l'istituto di credito al pagamento della somma di Euro 90.000,00 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, nonché alla refusione delle spese di lite. Respingeva, pertanto, la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale. Avverso tale decisione proponeva ricorso per Cassazione l'istituto di credito, cui ha resistito con controricorso contenente ricorso incidentale la ricorrente, a cui, a sua volta, ha resistito l'istituto di credito con controricorso incidentale.
La questione
Tra le varie questioni giuridiche emergenti dalla lettura della decisione in commento, quella di maggiore interesse, suscitata dalla controricorrente, ricorrente incidentale, attiene al risarcimento del danno conseguente all'erronea e/o illegittima segnalazione alla Centrale rischi della Banca d'Italia. Più specificamente, la Suprema Corte si sofferma sugli oneri probatori sottesi alla richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. e art. 15, comma 2, D. Lgs. n. 196/2003 conseguente ad un'indebita segnalazione. Va evidenziato come la problematica delle illegittime segnalazioni alla Centrale rischi sia divenuta, in effetti, di grande rilievo nel panorama civilistico giurisprudenziale italiano. Si intuisce come l'esistenza di un contenzioso correlato al funzionamento della Centrale rischi costituisca uno dei tanti effetti negativi della crisi economica e finanziaria che attanaglia il Paese. Sotto il profilo più specifico della responsabilità civile, la segnalazione in Centrale rischi non può essere foriera di alcuna responsabilità se avviene nel rispetto dei parametri che la consentono. Il problema che emerge dalla prassi è che le comunicazioni avvengono, talvolta, in assenza delle condizioni legittimanti. Sono numerose, pertanto, le pronunce della giurisprudenza di legittimità che hanno affermato la responsabilità degli intermediari per aver operato una segnalazione alla Centrale rischi della Banca d'Italia in assenza delle prescritte condizioni legittimanti (indagando anche sulla natura di tale responsabilità: a seconda dei casi concreti, contrattuale ovvero extracontrattuale) e statuito sulla spettanza, in presenza delle relative condizioni, del risarcimento non solo del danno patrimoniale, bensì anche di quello non patrimoniale, con estensione financo alle persone giuridiche. Rispetto alla problematica della risarcibilità del nocumento non patrimoniale in ipotesi di illegittima/erronea segnalazione alla Centrale rischi, la pronuncia in esame assume particolare rilevo giacché si pone in netto contrasto rispetto all'orientamento di una parte della giurisprudenza di legittimità – seguito anche dalla giurisprudenza di merito – che, anche in considerazione dell'attualità del fenomeno delle segnalazioni illegittime, ritiene un simile danno “automatico”. Secondo tale indirizzo ermeneutico, nella fattispecie in oggetto, il danno non patrimoniale sarebbe in re ipsa, atteso che ne risulterebbero certamente compromessi beni di particolare rilievo come l'immagine, la reputazione, il buon nome e l'onore. Va da sé che una simile concezione esime il soggetto indebitamente segnalato dall'onere di allegare e provare il nocumento di natura non patrimoniale patito. Una simile evenienza, scontrandosi con la qualificazione del danno non patrimoniale come danno-conseguenza, costituisce un'ulteriore riprova, a parere di chi scrive, del fatto che il tema della risarcibilità del danno non patrimoniale sia ancora dibattuto. Pertanto la pronuncia in commento pare rispondere al seguente quesito: il danno non patrimoniale consegue automaticamente alla segnalazione ritenuta illegittima (in tal modo esonerando il richiedente dall'onere probatorio) ovvero deve essere specificamente allegato e provato? Le soluzioni giuridiche
La soluzione fornita nella sentenza in commento, come poc'anzi anticipato, si pone in antitesi rispetto alla giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. I, sent., 24 maggio 2010, n. 12626) che considera il danno non patrimoniale un automatismo dell'illegittima segnalazione in Centrale rischi. Con la sentenza in esame la Suprema Corte, nel confermare la valutazione operata dal giudice di prime cure che aveva escluso la spettanza del risarcimento del danno non patrimoniale, afferma e ribadisce che:
Evidenzia, quindi, la necessità che il nocumento non patrimoniale subìto venga allegato e provato, eventualmente anche per presunzioni. Osservazioni
Prima di esaminare la problematica specifica del risarcimento del nocumento non patrimoniale – inteso come ogni pregiudizio di natura non economica che derivi da lesioni di valori inerenti alla persona – scaturente dall'indebita segnalazione alla Centrale rischi, occorre rammentare che, con le note sentenze della Corte di Cassazione nn. 8827 e 8828 del 2003, il risarcimento del danno non patrimoniale ha perso la sua originaria funzione sanzionatoria. Da ciò deriva che incombe sul danneggiato, secondo la regola generale ex art. 2697 c.c., l'onere della provadella lesione subìta e del nesso di causalità. Ciò detto, risulta necessaria una breve disamina del meccanismo di funzionamento della Centrale rischi, nonché delle possibili conseguenze negative per il soggetto (persona fisica o giuridica) che illegittimamente venga segnalato in Centrale rischi. Come noto, tale Centrale costituisce un sistema informativo sull'indebitamento della clientela verso le banche e le società finanziarie (intermediari) mediante il quale gli intermediari comunicano mensilmente alla Banca d'Italia il totale dei crediti verso i propri clienti e la Banca d'Italia fornisce mensilmente agli intermediari le informazioni sul debito totale verso il sistema creditizio di ciascun cliente segnalato. La Centrale dei rischi ha quindi l'obiettivo di migliorare il processo di valutazione del merito di credito della clientela, di innalzare la qualità del credito concesso dagli intermediari e infine di rafforzare la stabilità finanziaria del sistema creditizio. Giova subito ricordare l'effetto principale della segnalazione: il soggetto segnalato viene considerato inaffidabile dall'intero sistema creditizio. Di fatto, quindi, una segnalazione alla Centrale rischi può determinare l'impossibilità per un'impresa, ad esempio, di continuare a svolgere la propria attività. A queste condizioni si comprende come un'errata segnalazione in Centrale rischi possa comportare danni significativi per il soggetto che la subisce. Il contenzioso che ne deriva ha ad oggetto la richiesta dei soggetti segnalati, rivolta alle banche, di ottenere la cancellazione delle segnalazioni e la conseguente domanda di risarcimento del danno. La giurisprudenza di legittimità degli ultimi anni ha dunque tentato di rispondere a questa domanda di giustizia di soggetti e imprese che, trovandosi già in difficoltà per effetto della penetrante crisi economica, fossero risultati illegittimamente danneggiati da un non corretto flusso di informazioni tra intermediari e Banca d'Italia. Si intuisce, quindi, che il riconoscimento del danno non patrimoniale come pregiudizio di verificazione pressoché automatica in presenza di una segnalazione illegittima possa probabilmente essere letto nell'ottica di offrire e garantire una risposta equa ad un fenomeno di grande attualità. Nel concreto, però, non può non tenersi in debita considerazione tutta la giurisprudenza – richiamata anche nel testo della sentenza in esame – che, in coerenza con l'arresto a Sezioni Unite del 2008 (Cass. civ., S.U., sent., 11 novembre 2008, n. 26972), ritiene che anche in caso di lesione di valori della persona, il danno non può considerarsi in re ipsa, risultando altrimenti snaturata la funzione del risarcimento, che verrebbe ad essere concesso non già in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, bensì quale pena privata per un comportamento lesivo. Ad ogni buon conto, anche la strada risarcitoria tracciata dal D.Lgs. n. 196/2003 non esime dall'onere probatorio del danno non patrimoniale, poiché l'art. 15 fa espresso riferimento alla disciplina di cui all'art. 2050 c.c.. Da tale richiamo discende infatti che il danneggiato è tenuto solamente a provare il danno e il nesso di causalità con l'attività di trattamento dei dati, mentre spetta al convenuto la prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno (Cass. civ., sez. VI, sent.,5 settembre 2014, n. 18812). Come anticipato, il contrasto in ordine agli oneri probatori gravanti sul danneggiato, di cui la pronuncia de qua è prova, lascia presagire il rivivere di una querelle giurisprudenziale, in realtà mai sopita nonostante l'intervento della Suprema Corte a Sezioni Unite del 2008 (Cass. civ., S.U., sent., 11 novembre 2008, n. 26972). A parere di chi scrive, l'equivoco, in cui taluni sono incorsi, risiede nell'aver ritenuto che il danno de quo fosse in re ipsa nel senso di derivare automaticamente dalla mera segnalazione illegittima a prescindere da qualsivoglia indagine sull'effettiva lesione di valori come la reputazione e l'immagine. In realtà, a ben vedere il danno non patrimoniale in oggetto va correttamente inteso in re ipsa soltanto allorché sia provata la lesione ai suddetti valori, poiché solo in tal caso si determina una perdita analoga a quella prevista dall'art. 1223 c.c., ovverosia una diminuzione della persona umana alla quale il risarcimento deve essere commisurato (Cass. civ., sez. III, sent., 28 settembre 2012, n. 16543). In conclusione, la sentenza in commento ribadisce un principio ormai acquisito: i.e. che il pregiudizio non patrimoniale deve essere allegato e provato, se del caso anche mediante il ricorso alla prova presuntiva. Raggiunta la prova della lesione e considerato che trattasi di beni immateriali il cui pregiudizio difficilmente si presta ad essere effettivamente valutato e quantificato, il danneggiato potrà ritenersi esonerato dalla dimostrazione del quantum dello stesso, a tal fine sopperendo la valutazione equitativa del giudicante ex art. 1226 c.c. (espressamente richiamato dall'art. 2056 c.c.). È corretto, pertanto, il ricorso alla liquidazione del danno con criteri equitativi, ammissibile qualora l'attività istruttoria svolta non consenta di dare certezza alla misura del danno stesso, come avviene quando, essendone certa l'esistenza, risulti impossibile o estremamente difficoltoso provare la precisa entità del pregiudizio economico subito. |