Va liquidato in via equitativa il danno da perdita della capacità lavorativa del giovane non occupato
23 Aprile 2015
Massima
La esclusione del danno patrimoniale in un soggetto ventenne, ma non ancora occupato, che subisce una menomazione psicofisica del 70% di invalidità, costituisce la violazione del principio del diritto alla riparazione integrale del danno da illecito, nella specie da circolazione, allorché tale posta risarcitoria sia stata dedotta e provata, con l'accertamento della compromissione della attività di guadagno in relazione all'età della vittima, cui è preclusa la concorrenzialità lavorativa.
Il caso
Il conducente di un ciclomotore conviene in giudizio il motociclista che lo ha tamponato, unitamente alla compagnia assicuratrice di quest'ultimo, al fine di vedere risarciti i danni subiti e, tra questi, anche il danno patrimoniale conseguente alla perdita della capacità lavorativa. Il Tribunale accoglie parzialmente la domanda, riconoscendo il pari concorso di colpa . La Corte d'Appello, pronunciando sul gravame dell'assicuratore, esclude la voce di danno da perdita della capacità lavorativa, sul rilievo che il giovane, poco più che diciottenne al tempo dello incidente, non lavorava nè aveva dato la prova della futura attività professionale. La Suprema Corte, chiamata a dirimere la questione, osserva che l'esclusione del danno patrimoniale si pone, nella fattispecie, in violazione del principio del diritto alla riparazione integrale del danno da illecito, nella specie da circolazione.
In motivazione « (…omissis…) la esclusione del danno patrimoniale in un soggetto ventenne, ma non ancora occupato, che subisce una menomazione psicofisica del 70% di invalidità, costituisce la violazione del principio del diritto alla riparazione integrale del danno da illecito, nella specie da circolazione, allorché tale posta risarcitoria sia stata dedotta e provata, con lo accertamento della compromissione della attività di guadagno in relazione all'età della vittima, cui è preclusa la concorrenzialità lavorativa. In tale senso anche il recentissimo arresto di questa sezione, con la sentenza 29 luglio 2014 n. 17219, che esamina una diversa fattispecie di donna lavoratrice, cinquantaduenne, esigendo una specifica prova, per il lucro cessante, non solo del pensionamento anticipato ma anche delle prospettive di sviluppo di carriera perdute. Si vuol dire che nella fattispecie in esame, la perdita delle chances del giovane non occupato, in relazione alla perdita della concorrenzialità lavorativa, pressocchè totale, giustifica invece la liquidazione equitativa del lucro cessante tenendo conto dello effetto permanente del pregiudizio e della sua gravità obbiettiva (…omissis….) ». La questione
Le questioni poste dalla sentenza riguardano, anzitutto, la risarcibilità in favore del soggetto non occupato del danno da perdita della capacità lavorativa e, in secondo luogo, in base a quale criterio debba essere eventualmente liquidata tale posta risarcitoria. Le soluzioni giuridiche
La sentenza dà risposta affermativa al primo quesito, argomentando sulla base della principio del diritto alla riparazione integrale del danno da illecito, principio enunciato più volte dalla Suprema Corte che, in ipotesi di lesione di un diritto fondamentale della persona, ha sollecitato l'attenzione del Giudice sulla necessità di tenere conto dell'insieme dei pregiudizi sofferti, ivi compresi quelli esistenziali, e, dunque, delle particolarità del caso concreto e della reale entità del danno (cfr., ex multis, Cass. civ., sez. VI, 18 maggio 2012, n. 7963). Tale principio impone, quindi, che si dia luogo al risarcimento del danno, purché sia stata dedotta e provata la compromissione dell'attività di guadagno in relazione all'età della vittima. La soluzione adottata dal Supremo Collegio è in linea di continuità con quanto statuito da Cass. civ., sez. III, sent., 29 luglio 2014, n. 17219 (richiamata dalla sentenza in rassegna), che, nell'esaminare la diversa fattispecie di una donna lavoratrice cinquantaduenne, ha confermato la decisione della Corte d'Appello di rigetto della domanda risarcitoria, in mancanza di una specifica allegazione e prova che il suo pensionamento anticipato, in conseguenza dell'illecito, avesse vanificato concrete prospettive di sviluppo nella carriera. «Nel caso di specie – osserva la Corte - risulta dall'epigrafe della sentenza d'appello che al momento del, sinistro la vittima aveva compiuto il 52^ anno di età, il che propriamente non ne fa una "giovane lavoratrice", e rende non apprezzabile la possibilità di una significativa progressione in carriera». Venendo al secondo quesito, è orientamento giurisprudenziale consolidato che la liquidazione del danno da lucro cessante per la riduzione o perdita della capacità lavorativa debba avvenire in via equitativa. In un caso analogo a quello esaminato dalla sentenza in commento, la Suprema Corte ha statuito che «un danno patrimoniale risarcibile da riduzione della capacità di guadagno può essere legittimamente riconosciuto anche a favore di persona che, subita una lesione, si trovi al momento del sinistro senza una occupazione lavorativa e, perciò, senza reddito, in quanto, in tema di risarcimento del danno alla persona, la mancanza di un reddito all'epoca dell'infortunio può escludere il danno da invalidità temporanea, ma non anche il danno futuro collegato alla invalidità permanente che - proiettandosi per il futuro - verrà ad incidere sulla capacità di guadagno della vittima, al momento in cui questa inizierà una attività remunerata. Questo danno si ricollega con ragionevole certezza alla riduzione della capacità lavorativa specifica conseguente alla grave menomazione cagionata dalla lesione patita e va liquidato in aggiunta rispetto a quello del danno biologico riguardante il bene della salute. Il danno in questione può anche liquidarsi in via equitativa tenuto conto dell'età della vittima stessa, del suo ambiente sociale e della sua vita di relazione»(Cass., sez. III, 30 novembre 2005, n. 26081). Con specifico riferimento all'ipotesi del minore, non svolgente attività lavorativa, che subisca, in conseguenza di un sinistro, lesioni personali con postumi permanenti destinati ad incidere sulla sua specifica capacità lavorativa futura, si è, poi, affermato che «il relativo danno da risarcire - consistente nel minor guadagno che il minore percepirà rispetto a quello che avrebbe percepito se la sua capacità lavorativa non fosse stata menomata - può esser determinato ex art. 1226 c.c. dal Giudice predetto in base al tipo di attività che presumibilmente il minore eserciterà, secondo criteri probabilistici, tenendo conto soprattutto degli studi intrapresi e delle capacità ed inclinazioni manifestate dal minore, nonché (secondariamente) della posizione economico-sociale della famiglia. Ove il giudice di merito non ritenga di avvalersi di tale prova presuntiva, in quanto non sono emerse risultanze istruttorie idonee a costituire valide basi per la valutazione stessa, può ricorrere, sempre in via equitativa, al criterio del triplo della pensione sociale. La scelta tra l'una o l'altro, costituisce un giudizio tipicamente merito, ed è pertanto insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivata» (Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2007, n. 10831). Osservazioni
La Corte ammette la risarcibilità del danno da compromissione della capacità lavorativa, purchè tale posta risarcitoria sia stata allegata e provata. È, pertanto, necessario che la parte che lamenti un siffatto pregiudizio alleghi e provi tutti gli elementi utili al riconoscimento di tale voce di danno. A tal fine, occorrerà documentare l'entità delle lesioni subite e adempiere compiutamente all'onere di allegazione relativo alle condizioni personali del danneggiato (età, posizione economica della famiglia, curriculum professionale) ed al contesto sociale di riferimento (ad es., il luogo geografico nel quale egli si trova a vivere e le potenzialità occupazionali offerte dal territorio di residenza). La sentenza in rassegna si colloca, in definitiva, nel solco di quella giurisprudenza che esclude la sussistenza di automatismi tra lesione della salute e la diminuzione della capacità di guadagno, per cui in presenza di una lesione della salute, anche di non modesta entità, non può ritenersi ridotta in egual misura la capacità di produrre reddito, ma il soggetto leso ha sempre l'onere di allegare e provare, anche mediante presunzioni, che l'invalidità permanente abbia inciso sulla capacità di guadagno (Cass. civ., sez. III, 10 luglio 2008, n. 18866). In altri termini, mentre l'invalidità permanente (totale o parziale) concorre di per sè a dar luogo a danno biologico, la stessa non comporta necessariamente anche un danno patrimoniale, a tal fine occorrendo che il giudice, oltre ad accertare in quale misura la menomazione fisica abbia inciso sulla capacità di svolgimento dell'attività lavorativa specifica e questa, a sua volta, sulla capacità di guadagno, accerti se ed in quale misura in tale soggetto persista o residui, dopo e nonostante l'infortunio subito, una capacità ad attendere ad altri lavori, confacente alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, ed altrimenti idonei alla produzione di altre fonti di reddito, in luogo di quelle perse o ridotte. Solo se dall'esame di detti elementi risulti una riduzione della capacità di guadagno e del reddito effettivamente percepito, questo è risarcibile sotto il profilo del lucro cessante. La relativa prova incombe al danneggiato e può essere anche presuntiva, purché sia certa la riduzione della capacità di lavoro specifica (Cass. civ., sez. III, 29 gennaio 2010, n. 2062). |