Il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato: a chi spettano e in quali casi
24 Marzo 2016
Massima
Il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell'attore ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall'attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l'attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda, mentre il rimborso rimane a carico della parte che abbia chiamato o abbia fatto chiamare in causa il terzo qualora l'iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria. Il caso
Tizio conveniva in giudizio il Ministero Alpha, l'Azienda Beta e la Sezione X dell'Avis, lamentando di aver contratto il virus HCV in seguito ad una trasfusione cui era stato sottoposto in occasione di un intervento chirurgico di impianto di by-pass aortocoronarici. L'Azienda Beta, costituendosi, chiedeva di chiamare in causa la compagnia assicurativa Y per essere da questa garantita e manlevata nell'ipotesi di condanna. Il Tribunale, rigettando le domande attoree, condannava Tizio al pagamento delle spese dei convenuti e del terzo chiamato. La questione
La questione in esame è la seguente: chi deve sostenere e in quali casi le spese processuali sostenute dal terzo chiamato? Le soluzioni giuridiche
In giurisprudenza vige il principio, sulla base dell'art. 91 c.p.c., secondo il quale le spese di lite devono essere poste a carico della parte soccombente a favore della parte vittoriosa. La parte soccombente, inoltre, deve essere condannata alla rifusione delle spese processuali anche a favore del terzo chiamato, sulla base dell'assunto secondo cui, qualora l'attore risulti soccombente nei confronti del convenuto in ordine a quella pretesa che ha provocato e giustificato la chiamata in garanzia, deve rifondere le spese del terzo nel caso in cui sussista una regolarità causale della chiamata, intesa come prevedibile sviluppo logico e normale della lite, ed astratta fondatezza della chiamata in manleva, accertata incidentalmente (Trib. Reggio Emilia, sent., 25 settembre 2012, n. 1569). L'onere in capo all'attore di rimborsare le spese del terzo, in alcune pronunce viene basato sul principio della soccombenza, «onere della rivalsa discende dal principio generale della soccombenza ‐ pur mancando un diretto rapporto sostanziale e processuale tra attore e terzo ‐, stante la responsabilità dell'uno per avere dato luogo, con una pretesa infondata, al giudizio nel quale l'altro è rimasto coinvolto ed ha dovuto svolgere le proprie ragioni e difese» (Cass. civ.,sez. II, sent., 24 febbraio 2004, n. 3642). In altre pronunce invece l'onere dell'attore soccombente a rimborsare le spese non discenderebbe dal principio sancito dall'art. 91 c.p.c., mancando appunto il rapporto diretto tra attore e terzo, ma bensì dalla responsabilità del primo ad aver dato luogo, con un'infondata pretesa, al giudizio nel quale legittimamente è stato coinvolto il terzo (Cass. 27 aprile 1991, n. 4634; Cass. n. 19181/2003). Nel caso in esame, a prescindere dal principio della soccombenza o meno, viene aggiunto un ulteriore criterio, infatti viene messo in rilievo il fatto dell'arbitrarietà: il rimborso, in altre parole, deve essere posto a carico dell'attore ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall'attore stesso e queste siano risultate infondate, mentre il rimborso rimane a carico della parte chiamante qualora l'iniziativa si sia rivelata palesemente arbitraria. La presente pronuncia del Tribunale di Catania si richiama ad altre Sentenze della Corte di Cassazione, in primis la pronuncia n. 7431/2012, successivamente avvalorata dalla Cass. civ., sez. III, sent., 5 novembre 2013, n. 24800. Recentemente tale orientamento è stato altresì confermato dalla sentenza Cass., 20 aprile 2015, n.7976, con la quale la Corte ha statuito che, nel caso di chiamata in causa del terzo, il rimborso delle spese rimane a carico della parte la cui iniziativa di effettuare la chiamata si riveli arbitraria. Osservazioni
Il fattore dell'arbitrarietà cui fanno riferimento le ultime pronunce, sia di merito sia soprattutto di legittimità, pone senz'altro l'accento sul significato di tale termine. Infatti, la nozione di arbitrarietà sembra avere una carica sanzionatoria più grave, rispetto al disvalore, rispetto alla infondatezza della tesi. A fortiori, si richiama la citata pronuncia del Tribunale di Reggio Emilia, che ha ritenuto altresì di condannare l'opponente anche ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c., norma secondo cui «in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'articolo 91, il giudice, anche d'ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata». Pertanto, in tale ultima ipotesi, occorrerebbero dei criteri per stabilire quando l'iniziativa del convenuto possa considerarsi più o meno arbitraria, soprattutto nel caso in cui la tesi attorea dovesse rivelarsi infondata. Un punto fermo può però individuarsi nella circostanza che in caso di chiamata in causa di un terzo, sia su istanza dell'attore che su istanza del convenuto non vi è un automatismo nella individuazione del soggetto che dovrà rimborsare ai terzi ingiustamente chiamati le spese di giudizio, dovendosi, di volta in volta, valutare la sussistenza di determinati parametri e condotte processuali. La sentenza in commento affronta e risolve in modo preciso e nel dettaglio il problema del rimborso delle spese sostenute dal terzo chiamato in causa. Nel caso in esame, infatti, viene presa in considerazione sia l'ipotesi dell'infondatezza delle domande attoree sia l'arbitrarietà dell'iniziativa del chiamante. L'unico problema da risolvere consiste nei parametri guida alla discrezionalità del giudice in merito alla definizione di “arbitrarietà” e alla possibile gravità con conseguente condanna anche ex art. 96 c.p.c.. La presente pronuncia di merito conferma senz'altro un orientamento già statuito dalla giurisprudenza di legittimità con la sentenza della Cass. n. 7431/2012 e recentemente confermato dalla sentenza di Cass., 20 aprile 2015, n. 7976.
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