Responsabilità processuale ex art 96, comma 3, c.p.c. ed elemento soggettivo
24 Aprile 2015
Massima
In materia di lite temeraria, il riferimento fatto alla promozione di una «lite temeraria» per «motivi pretestuosi» è del tutto coerente con la previsione normativa della colpa grave dell'art. 96 c.p.c. che, invero, si distingue dal dolo, che presuppone la coscienza dell'infondatezza della domanda, perché consiste nella colpevole ignoranza in ordine a detta infondatezza. Sussiste l'elemento soggettivo della colpa grave ai fini della condanna per lite temeraria nell'ipotesi di giudizio di opposizione agli atti esecutivi ove ricorra una colpevole insistenza in ragioni di censura dell'azione esecutiva del creditore, la cui inconsistenza giuridica ben avrebbe potuto essere apprezzata da parte degli opponenti con l'uso dell'ordinaria diligenza, in modo da evitare un'opposizione a precetto del tutto pretestuosa. Il caso
Il Tribunale di Novara rigettando l'opposizione agli atti esecutivi per infondatezza del motivo di opposizione fondato sull'omessa notifica del titolo esecutivo, costituito da un provvedimento di liquidazione del compenso del consulente tecnico d'ufficio, condannava gli attori all'importo di € 1.000,00 a titolo di responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c.. Le parti soccombenti impugnavano quindi tale decisione mediante ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost. deducendo – per quel che è di interesse in questa sede - violazione e falsa applicazione dell'art. 96 c.p.c, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, c.p.c. in quanto la condanna per lite temeraria era stata disposta d'ufficio ai sensi del comma 3 dell'art. 96 c.p.c. senza che, tuttavia, il Tribunale verificasse la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, necessario anche ai fini di tale condanna e non soltanto di quella disposta in virtù del primo comma del medesimo art. 96 c.p.c. su domanda di parte. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso proposto anche in relazione a tale motivo, svolgendo alcune rilevanti considerazioni sul requisito della c.d. colpa grave per la condanna ex art. 96 c.p.c. Le questioni
Due sono le problematiche processuali esaminate dalla S.C. nella decisione in commento. Sotto un primo profilo, la Corte è chiamata ad esaminare la questione concernente la necessità della verifica dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave anche per la condanna per responsabilità processuale aggravata disposta ai sensi del comma 3 dell'art. 96 c.p.c. . Quest'ultima previsione normativa, introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, stabilisce che «in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'art. 91, il giudice, anche d'ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata». Tale disposizione si distingue rispetto alla responsabilità processuale aggravata di cui al comma 1 dello stesso art. 96 c.p.c. sotto diversi profili. In primo luogo, infatti, la norma prevede la possibilità che la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata a carico del soccombente venga comminata anche dal giudice d'ufficio, sicché la condanna alla pena pecuniaria prevista dal comma 3 dell'art. 96 c.p.c. avvicina, quindi, in tale direzione l'art. 96 c.p.c. alla condanna alle spese di lite, che deve essere comminata dal Giudice anche d'ufficio quando chiude il processo dinanzi a sé. In secondo luogo, almeno in accordo con l'orientamento dominante, la condanna di cui al comma 3 dell'art. 96 c.p.c. si discosta nettamente dalle ipotesi tradizionali di responsabilità processuale aggravata poiché, ai fini della comminatoria della stessa, non è necessario che la parte vittoriosa abbia subito un danno a causa del processo, i.e. che dimostri, anche in via presuntiva, di aver subito un pregiudizio per effetto della temeraria proposizione del giudizio. Per quanto più specificamente attiene alla questione esaminata dalla Suprema Corte nella decisione in commento, per alcuni dovrebbe inoltre inferirsi dalla formulazione letterale del comma 3 dell'art. 96 c.p.c. che si apre invero con l'incipit «in ogni caso», che la nuova forma di responsabilità processuale aggravata prescinda anche dalla sussistenza di un illecito, caratterizzato sul piano soggettivo da dolo o colpa grave, in capo alla parte condannata. Obiettivo precipuo della norma sarebbe così quello di porre un freno alle controversie che, sebbene non “temerarie”, siano comunque prive di reale contenuto o semplicemente esplorative o intimidatorie (A. Bucci - A. M. Soldi, Le nuove riforme del processo civile, Padova 2009,78). Peraltro, una parte della dottrina ha a riguardo evidenziato che sarebbe necessario rendere l'art. 96, comma 3, c.p.c. oggetto di un'interpretazione costituzionalmente orientata, per evitare che il nuovo istituto si trasformi in un illegittimo limite all'esercizio dei diritti processuali sanciti dall'art. 24 Cost., temperando il drastico «in ogni caso» posto in apertura dello stesso, e valorizzando, invece, l'inserzione dello stesso nell'art. 96 c.p.c. che esige anche requisiti soggettivi e quindi comportamenti imputabili, almeno sotto il profilo della colpa lieve, come presupposto dell'applicazione dei primi due commi (Trib. Terni, 17 maggio 2010, in Giur. Merito, 2010, n. 7-8, 1834, con nota di Porreca, La riforma dell'art. 96 c.p.c. e la disciplina delle spese processuali nella legge n. 69 del 2009). A riguardo ancora più contraria ad un'interpretazione letterale del comma 3 dell'art. 96 c.p.c. si è mostrata autorevole dottrina la quale ha proposto un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'inciso «in ogni caso » quale mero richiamo alla possibilità per il giudice di disporre la condanna al risarcimento per responsabilità processuale aggravata senza necessità di un'istanza di parte, ferma restando la necessità di una mala fede o colpa grave della parte nei confronti della quale la condanna viene disposta (G. Scarselli, Le novità in tema di spese, in Foro it., 2009, IV, 263). La seconda questione processuale posta all'esame della Suprema Corte nella decisione in rassegna è quella afferente la configurabilità dell'elemento soggettivo della colpa grave nell'ipotesi di proposizione di un'azione giudiziaria risultata infondata per la mancata sussistenza del vizio di notifica denunciato relativo al titolo esecutivo. Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione con riferimento alla prima questione accede alla tesi più restrittiva in ordine all'ambito applicativo della fattispecie di responsabilità processuale aggravata di cui al comma 3 dell'art. 96 c.p.c. riconducendosi all'orientamento, peraltro già affermato in altro precedente della medesima Suprema Corte, per il quale la condanna in questione presuppone l'accertamento della mala fede o colpa grave della parte soccombente, non solo perché la relativa previsione è inserita nella disciplina della responsabilità aggravata, ma anche perché agire in giudizio per far valere una pretesa che si rivela infondata non è condotta di per sé rimproverabile (cfr. Cass. civ., sez. VI, ord., 30 novembre 2012, n. 21570). Con riguardo, invece, alla seconda questione, la Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso proposto, ricorda, su un piano generale, che «la temerarietà della lite può essere in concrete circostanze ravvisata nella coscienza dell'infondatezza della domanda (mala fede) o nella carenza della ordinaria diligenza volta all'acquisizione di detta coscienza (colpa grave) e che il relativo accertamento è riservato al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità se immune da vizi logici o giuridici». In particolare, evidenzia la Suprema Corte che la colpa grave – la cui ricorrenza può anche non essere espressamente menzionata nella motivazione della decisione di merito che dispone la condanna per responsabilità processuale aggravata - può identificarsi con la colpevole ignoranza, rimediabile con l'ordinaria diligenza, in ordine all'infondatezza della domanda proposta avente carattere meramente pretestuoso. Osservazioni
La decisione in esame è apprezzabile nella parte in cui si conforma all'indirizzo interpretativo per il quale la condanna per responsabilità processuale aggravata ai sensi del comma 3 dell'art. 96 c.p.c., pur prescindendo da un'istanza di parte e dalla prova del danno, nondimeno presuppone l'accertamento della temerarietà della lite, almeno quanto alla colpa grave di colui il quale agisce o resiste in giudizio. Riteniamo, invero, che la garanzia costituzionale del diritto d'azione e di difesa ex art. 24 Cost. non possa giustificare alcuna condanna per l'aver semplicemente proposto una causa infondata. Peraltro, a riguardo, è evidente che la linea di confine sulla quale si muove la stessa pronuncia in commento non appare ben delineata poiché ai fini della costituzionalità della disciplina, almeno a nostro sommesso parere, va sempre verificato che il motivo dell'azione giudiziaria è assolutamente dilatorio e pretestuoso e non già semplicemente infondato rispetto ad una tesi giuridica astrattamente plausibile sulla scorta della disciplina giuridica affermata. Di qui l'unico profilo rispetto al quale la decisione non appare condivisibile è quello secondo cui nel disporre la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., il Giudice potrebbe omettere la motivazione sulla ricorrenza dell'elemento soggettivo, poiché soltanto attraverso la palese ricostruzione dell'iter logico-giuridico seguito può essere apprezzata, in sede di impugnazione, l'effettiva verifica in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo dell'illecito. |