Effetti dell'abrogazione del delitto di ingiuria: quale sorte per gli obblighi risarcitori statuiti in primo grado a favore del danneggiato costituito parte civile?

24 Agosto 2016

In assenza di una esplicita disposizione normativa transitoria che individui il giudice competente a statuire sul risarcimento a favore della parte civile a seguito della condanna non definitiva per il delitto di ingiuria, la sopravvenuta abrogazione della fattispecie de qua determina, nel giudizio di impugnazione, una pronuncia di non doversi procedere, lasciando inalterata la competenza del giudice ad quem a conoscere (e decidere) in ordine alle obbligazioni risarcitorie.
Massima

In assenza di una esplicita disposizione normativa transitoria che individui il giudice competente a statuire circa la sorte dell'obbligazione risarcitoria a favore del danneggiato costituito parte civile a seguito della condanna non definitiva per il delitto di ingiuria, la sopravvenuta abrogazione della fattispecie de qua – con contestuale trasformazione in illecito civile ai sensi dell'art. 4 D.lgs. n. 7/2016 – determina, nel giudizio di impugnazione, una pronuncia di non doversi procedere perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, lasciando tuttavia inalterata la competenza del giudice ad quem a conoscere (e decidere) in ordine alle obbligazioni risarcitorie conseguenti alla condanna in primo grado.

Il caso

La vicenda trae spunto dal ricorso del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione avverso la sentenza del Trib. Macerata, 24 settembre 2014 che, in parziale riforma della pronuncia del Giudice di Pace di Macerata di condanna per i delitti di ingiuria e minaccia, concedeva le attenuanti generiche e il beneficio della sospensione condizionale della pena, confermando per il resto le statuizioni civili e condannando l'imputato al pagamento delle ulteriori spese di giudizio.

Nello specifico, l'organo d'accusa si doleva della illegittima concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena a favore dell'imputato.

I Giudici della V sezione penale della Corte Suprema hanno accolto il ricorso, ribadendo la ragionevolezza dell'art. 60, D.lgs. n. 274/2000, secondo il quale nei procedimenti innanzi al Giudice di Pace non sono applicabili le disposizioni in tema di sospensione condizionale della pena, ma hanno annullato senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla condanna per il delitto di ingiuria, per sopravvenuta abrogazione della fattispecie.

Sono state tuttavia confermate le statuizioni in materia risarcitoria assunte dal Giudice di prime cure, ribadite in sede di appello, in considerazione del fatto che la sussistenza dell'offesa e la sua riferibilità al soggetto imputato risultavano pienamente accertate nelle sentenze di condanna, adottate nei precedenti gradi di merito.

In questo modo, la Corte di Legittimità ha ritenuto che perdurasse la competenza del giudice dell'impugnazione a conoscere dei profili risarcitori contenuti nelle pronunce di condanna, sebbene non irrevocabili, adottate in epoca antecedente alla trasformazione dell'ingiuria in mero illecito civile, operata con il d.lgs. n. 7 del 15 gennaio 2016.

La questione

La pronuncia affrontata dalla V sezione della Corte di Cassazione si inserisce in un vivace dibattito, fra i Giudici di legittimità, scaturito all'indomani dell'entrata in vigore del D.lgs.n. 7/2016 che ha abrogato una serie di reati, fra cui appunto l'ingiuria, trasformandoli in illeciti civili, punibili tramite l'irrogazione di sanzioni civili pecuniarie.

Il punto focale della questione attiene alla individuazione della sorte delle statuizioni civili, in tema di risarcimento dei danni conseguenti all'accertamento del reato di ingiuria, veicolate da sentenze penali non ancora divenute irrevocabili al momento dell'entrata in vigore dell'abolitio criminis.

E dunque, qualora sia pendente un giudizio di impugnazione, il Giudice ad quem - che debba emettere una sentenza di non doversi procedere perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato - conoscerà in merito alle statuizioni civili, ovvero, concluderà nel senso di un mero non linquet, rimettendo così l'intera questione al Giudice civile dinnanzi al quale, eventualmente, il danneggiato decida di riassumere la controversia?

Le soluzioni giuridiche

Le ragioni del mantenimento della competenza del giudice dell'impugnazione a conoscere dell'obbligazione risarcitoria imposta con sentenza di condanna non irrevocabile.

Seguendo il ragionamento sviluppato nella sentenza, la competenza del Giudice dell'impugnazione in tema di disposizioni risarcitorie connesse all'accertamento di responsabilità penale per un reato successivamente trasformato in illecito civile discende da un'interpretazione storico – sistematica della normativa contenuta nel decreto legislativo 7/2016.

In primo luogo, visto che l'art. 12 del decreto – relativo alla disciplina transitoria – si limita a precisare che le sanzioni pecuniarie civili si applicano anche ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore della riforma (ossia prima del 6 febbraio 2016), «salvo che il procedimento sia stato definito con sentenza o decreto divenuti irrevocabili», sotto il profilo storico, è necessario richiamarsi ai principi generali sottesi alla successione delle leggi nel tempo, declinati dall'art. 11 preleggi e dall'art. 2 c.p. In questo modo, risulta chiara sia la vocazione strutturalmente irretroattiva di ogni nuova legge (quanto meno in mancanza di esplicita indicazione di segno opposto da parte del legislatore), sia l'estendibilità “ai soli effetti penali” di qualsivoglia fenomeno di abolitio criminis, qual è appunto quello di cui si discute.

In secondo luogo, seguendo un criterio ermeneutico più propriamente sistematico, la Corte sottolinea il rapporto di corrispondenza biunivoca che collega l'accertamento di responsabilità contenuto in una sentenza di condanna, ancorché non definitiva, all'obbligazione risarcitoria ivi stabilita, in ragione del dettato dell'art. 538 c.p.p.. Di conseguenza, un'applicazione delle norme che sfociasse nell'interruzione di questo nesso di pertinenzialità si porrebbe in evidente contrasto con la disposizione generale in questione.

In terzo luogo, e sempre in un'ottica di sistema, si segnalano i rischi di disarmonia del tessuto ordinamentale ulteriormente alimentati da una diversa interpretazione.

In particolare, dal momento che il coevo D.lgs. n. 8/2016, in materia di depenalizzazione di alcune categorie di reati, contiene una specifica disposizione transitoria secondo la quale il giudice dell'impugnazione, in presenza di una sentenza di condanna, decide limitatamente agli effetti delle disposizioni e dei capi che concernono gli interessi civili (art. 9, comma 3), l'attribuzione al giudice civile della medesima competenza per le ipotesi di abrogazione come conseguenza della trasformazione del reato in illecito civile, anziché amministrativo, creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento rispetto a situazioni di mutamento normativo sostanzialmente analoghe.

Per di più, alla luce della ratio legis sottesa ai decreti 7 e 8 del febbraio 2016 (attuativi della legge delega 67/2014), precipuamente orientata allo snellimento del funzionamento della macchina giudiziaria, quanto meno in relazione a determinate tipologie di crimini, per così dire, “minori”, un'interpretazione che imponesse la riapertura del contenzioso, davanti ad altro giudice, per la definizione dell'obbligazione risarcitoria risulterebbe macroscopicamente distonica rispetto all'obiettivo di riduzione e semplificazione perseguito dal legislatore del 2016.

Inoltre, così facendo, verrebbe veicolata una illegittima disparità di trattamento fra soggetti egualmente danneggiati, semplicemente sulla base dell'avvenuto passaggio in giudicato delle sentenze contenenti le statuizioni risarcitorie adottate a loro vantaggio prima dell'entrata in vigore della riforma.

Infine, ripercorrendo la motivazione dei Giudici di legittimità, le prioritarie esigenze di ragionevole durata del procedimento, per come sugellate dall'art. 111 della Costituzione, si porrebbero ad ostacolo insormontabile per ogni differente applicazione della normativa, evitando una duplicazione di giudizi aventi sempre il medesimo oggetto, con il rischio correlato di contrasto fra giudicati.

Questo orientamento è stato seguito dalle prime sentenze sul tema pronunciate dalla quinta Sezione della Cassazione, fra cui appunto quella in commento, e successivamente, da varie pronunce della seconda sezione. A titolo esemplificativo, v. pure Cass., sez. V, 15 febbraio 2016, n. 14041; Cass. pen., sez. V, 23 febbraio 2016, n. 7124; Cass. pen., sez. V, 3 marzo 2016, n. 24029; Cass. pen., sez. II, 8 marzo 2016, n. 21598; Cass. pen., sez. II, 23 febbraio 2016, n. 14529; e da ultimo Cass. pen., sez. II, 27 maggio 2016, n. 24299.

Le opposte ragioni di attribuzione al giudice civile della competenza in materia risarcitoria, salvo che si tratti di statuizioni irrevocabili.

Secondo un orientamento diametralmente opposto a quello fin qui esaminato, affermatosi all'interno della medesima sezione della Corte Suprema in epoca successiva e a tutt'oggi maggioritario, per le ipotesi di abolitio criminis conseguente alla trasformazione in illeciti civili di alcuni reati, la competenza a conoscere delle obbligazioni risarcitorie inflitte con sentenze di condanna non definitive spetta al giudice civile, in quanto unica autorità preposta alla conoscenza (e alla decisione) in ordine a tutti i fatti di questo genere, commessi anche prima dell'entrata in vigore del D.lgs. n. 7/2016, purché non accertati con sentenza o decreto divenuti irrevocabili.

A sostegno di questa impostazione di pensiero si pone un'interpretazione letterale della nuova normativa, essenzialmente fondata sul criterio dell'ubi lex voluit, dixit.

Anzitutto, si sottolinea la oggettiva mancanza di una manifestazione di volontà, da parte del legislatore del 2016, tesa a mantenere radicata presso il giudice (penale) dell'impugnazione la competenza a conoscere delle obbligazioni risarcitorie contenute nella pronuncia di condanna.

Tale silenzio assume un peso specifico particolare, in ragione non solo della esplicita attribuzione al giudice civile della competenza ad irrogare le sanzioni pecuniarie civili, anche con riferimento a fatti commessi prima dell'entrata in vigore della riforma, a meno che non siano stati accertati con sentenze passate in giudicato, ma soprattutto della presenza, all'interno del coevo D.lgs. n. 8/2016, in materia di depenalizzazioni, di un'esplicita indicazione normativa di segno opposto, quale il già menzionato art. 9, comma 3. In altre parole, ove il legislatore ha voluto impartire una disposizione in questo senso, lo ha fatto espressamente, lasciando che operassero, per tutto il resto, gli effetti della abrogazione.

Inoltre, si pone l'accento sulla natura pacificamente eccezionale dell'art. 578 c.p.p., che attribuisce al giudice dell'impugnazione a conoscere degli effetti e dei capi concernenti gli effetti civili della sentenza di condanna per un reato successivamente estinto per amnistia o per prescrizione.

Ne deriva la necessità di una applicazione ristretta di questa disposizione, la cui vocazione derogatoria rispetto ai principi generali non consente di porla a sostegno della asserita estensione di competenza a favore del giudice dell'impugnazione nei casi di abrogazione del reato.

L'orientamento contrario alla conservazione dei capi delle sentenze penali di condanna riguardanti gli effetti civili è sostenuto da numerose sentenze della quinta sezione della Corte di Cassazione, oltre che da una recente ma isolata pronuncia della seconda sezione (Cass., 10 giugno 2016, n. 1670. Così, ad esempio, cfr. Cass., sez. V, 9 marzo 2016, n. 14044; Cass., sez. V, 15 marzo 2016, n. 18910; Cass., sez. V, 15 marzo 2016, n. 24036; Cass., sez. V, 23 marzo 2016, n. 21721; Cass., sez. V, 1 aprile 2016, n. 16141; Cass., sez. V, 7 aprile 2016, n. 21722; Cass., sez. V, 15 aprile 2016, n. 19516).

Osservazioni

Il contrasto fra orientamenti cristallizzati in seno alla giurisprudenza di legittimità, analizzato fin qui partendo dalla pronuncia in commento, è sfociato in ben due ordinanze di rimessione alle Sezioni Unite.

La prima, adottata già nel mese di febbraio dalla V sezione (ord. 9 febbraio 2016 n. 7125 - dep. 23 febbraio 2016), non ha avuto seguito, in quanto all'epoca il Primo Presidente della Suprema Corte aveva restituito gli atti alla sezione, rilevando l'assenza di un contrasto giurisprudenziale in atto.

La diatriba ha poi assunto consistenza, nei termini così ricostruiti, determinando una seconda istanza di rimessione, formulata dalla seconda sezione della Suprema Corte con l'ordinanza n.1732 del 15 giugno 2016 (dep. 22 giugno 2016), su cui è attesa la pronuncia delle Sezioni Unite il 29 settembre prossimo.

Il quesito sul quale i Giudici supremi della legittimità sono stati chiamati a decidere è stato così declinato: «se, in caso di condanna pronunciata per un reato successivamente abrogato e configurato quale illecito civile ai sensi dell'art. 4 D.Lgs. n. 7/2016, il giudice dell'impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, possa decidere sull'impugnazione ai soli effetti civili ovvero debba revocare le statuizioni civili».

In attesa dell'esito del giudizio, è possibile formulare solamente qualche considerazione intorno alle argomentazioni sviluppate dagli orientamenti contrapposti della quinta e della seconda sezione, protagoniste del contrasto.

Per vero, l'interpretazione letterale del dettato normativo è criterio ermeneutico prioritario, come giustamente evidenziato nelle pronunce a sostegno dell'impostazione sub 2), ma non c'è dubbio che, nel silenzio del legislatore, i principi generali in tema di equilibrio e tenuta complessiva del sistema, per come sviluppati nella sentenza in commento, assumano un'importanza cruciale.

Perciò, pur ribadendo la natura – per così dire – “complementare” di ogni riflessione di carattere storico – sistematico rispetto alla interpretazione testuale del dato normativo, le Sezioni Unite non potranno non tenere conto degli effetti, in termini pratici, della loro decisione, specialmente in relazione alla riproposizione dei giudizi innanzi al giudice civile, qualora se ne dovesse affermare, in via definitiva, la competenza a conoscere anche delle statuizioni risarcitorie precedentemente adottate in sede penale, in quanto non definitive.

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