Responsabilità della scuola per lesioni subite dall'alunno durante una partita di calcio
24 Ottobre 2014
Massima
App. Milano, 18 giugno 2014, n. 2323 In tema di responsabilità del Ministero dell'istruzione per le lesioni subite da un alunno nel corso di una partita di calcio giocata a scuola, va respinta la domanda da questi spiegata in difetto di alcun elemento, positivamente acquisito agli atti di causa, idoneo a fondare un addebito di culpa in vigilando, o di omissione di doverose e specifiche cautele di sorveglianza, nei confronti del personale docente cui al momento del sinistro l'alunno era affidato. Sintesi del fatto
Scuola media dell'hinterland milanese, ultimo giorno dell'anno scolastico. I ragazzini di una seconda, più o meno tredicenni, affidati alla professoressa di lettere, sono impegnati in una partita di calcio che si svolge in un cortile pavimentato a cemento, in taluni punti sconnesso. Uno degli alunni cade e subisce lesioni. Il ragazzino agisce in giudizio nei confronti del Ministero dell'istruzione. Il giudice rigetta la domanda, scrutinandone la fondatezza esclusivamente dall'angolo visuale dell'art. 2048 c.c., ossia della norma che disciplina la responsabilità dei «precettori» per i fatti illeciti cagionati dagli allievi nel tempo in cui sono sottoposti alla loro vigilanza. Il danneggiato impugna la sentenza lamentando che il tribunale non abbia considerato l'applicabilità alla vicenda tanto dell'art. 1218 c.c., quanto dell'art. 2051 c.c.. La corte d'Appello, con la decisione in esame, conferma la sentenza, ritenendo, parrebbe, non provata la responsabilità della scuola. La questione
Ecco allora il quesito: quali norme si applicano in caso di lesioni subite da uno studente mentre si trova la scuola? E qual è il riparto degli oneri probatori? Quali particolarità, poi, sussistono nell'ipotesi in cui le lesioni si siano verificate durante una partita di calcio? Le soluzioni giuridiche
La corte d'Appello afferma tra l'altro che: - «non vi è alcun elemento, positivamente acquisito agli atti di causa, idoneo a fondare un addebito di culpa in vigilando, o di omissione di doverose e specifiche cautele di sorveglianza, nei confronti del personale docente cui al momento del sinistro l'alunno … era affidato», tanto più considerata la repentinità con cui l'incidente si era verificato, nel corso di un'azione di gioco, quando una caduta, anche in assenza di azioni fallose degli avversari, può sempre aver luogo; - nulla rilevava la circostanza che la partita si fosse svolta su una superficie di cemento, dal momento che «non si trattava… di un evento sportivo o agonistico per cui si rendesse necessario un terreno erboso regolamentare»; - non poteva farsi applicazione dell'art. 2051 c.c. in quanto la caduta era avvenuta in una zona del cortile diversa da quella in cui erano presenti sconnessioni della pavimentazione; - in definitiva, si era trattato (conclusione che, sembra da credere, la corte d'Appello ambrosiana ha raggiunto per esclusione) di una caduta accidentale ascrivibile al medesimo minore. Il tema è arato. Nel caso di lesioni subite dall'alunno a scuola occorre tener presente una prima importante distinzione: i) se si tratta di lesioni che l'alunno abbia subito in conseguenza del fatto illecito di un altro alunno, siamo nell'ambito di applicazione dell'art. 2048 c.c., il quale stabilisce, adottando l'arcaico vocabolo «precettori», diremmo oggi insegnanti, che essi sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza, salvo non provino di non aver potuto impedire il fatto; la domanda risarcitoria in tal caso va proposta non già nei confronti dell'insegnante, ma nei confronti dell'amministrazione, ai sensi dell'art. 61 della legge 11 luglio 1980 n. 312; quanto all'onere probatorio a carico del danneggiato, occorre che egli provi non solo l'affidamento al precettore medesimo dell'allievo, ma anche l'illecito subito per opera sua (v. p. es. Cass. civ., sez. III, 28 settembre 2009 n. 20743); ii) se si tratta di lesioni cagionato dall'alunno a se stesso, si versa in ipotesi di responsabilità contrattuale, sicché è applicabile il regime probatorio previsto dall'art. 1218 c.c., con l'ulteriore conseguenza che, mentre l'attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull'altra parte incombe l'onere di dimostrare che l'evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile (il contrasto di giurisprudenza in tema di autolesioni è stato risolto in tal senso da Cass. civ., S.U. sent., 27 giugno 2002, n. 9346, sull'assunto che dall'iscrizione a scuola scaturisca un vincolo negoziale, dal quale sorge a carico dell'istituto l'obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l'incolumità dell'allievo). Particolari regole trovano poi applicazione nel caso che il danno abbia a verificarsi durante lo svolgimento dell'attività sportiva. Merita anzitutto ricordare che, con riguardo al gioco del calcio, la S.C. ha escluso l'applicabilità dell'art. 2050 c.c. dettato per le attività pericolose (Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2007 n. 1197). Dopodiché, si può in generale dire che l'esercizio dell'attività sportiva non produce alcun effetto scriminate quando il fatto abbia con tale attività una relazione di mera occasionalità: è il caso di Suarez che addenta Chiellini, per capirci. Il quesito principale, però, concerne il caso che il fatto lesivo abbia luogo nel contesto dinamico dell'azione di gioco. In un'occasione si è affermato che il collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo va escluso — e dunque la responsabilità sussiste — se l'atto sia stato compiuto allo scopo di ledere, ovvero con una violenza incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco; viceversa, la responsabilità non sussiste se le lesioni siano la conseguenza di un atto posto in essere senza la volontà di ledere e senza la violazione delle regole dell'attività, e non sussiste neppure se, pur in presenza di violazione delle regole proprie dell'attività sportiva specificamente svolta, l'atto sia a questa funzionalmente connesso (Cass. civ., sez. III, sent., 8 agosto 2002 n. 12012). Quest'ultima affermazione («pur in presenza di violazione delle regole proprie dell'attività sportiva specificamente svolta») è discutibile. È difficile dire se essa sia effettivamente appropriata per il calcio di serie A: ma certo non è applicabile ad una partitella scolastica, giacché è da attendersi che almeno ai tredicenni si insegni ad osservare le regole senza troppi se e ma. Riassumendo: a) se l'alunno subisce lesioni da un altro alunno, paga la scuola, se non prova di non aver potuto impedire il fatto; b) se l'alunno si fa male da solo, paga la scuola, se non prova la non imputabilità; c) se l'alunno si fa male durante l'esercizio dell'attività sportiva, in particolare durante una partita di calcio, non paga nessuno, se le lesioni sono conseguenza del gioco svoltosi nel rispetto delle regole; altrimenti valgono le regole indicate sub a) e b). La peculiarità della vicenda esaminata dalla corte d'Appello di Milano, almeno per quanto si comprende dalla lettura della sentenza, risiede in ciò: che della concreta dinamica del fatto nulla si sa; non si sa se il ragazzino sia caduto da solo, magari inciampando sulla palla; non si sa se le lesioni siano state determinate dalla caduta al suolo (come in Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2007 n. 1197: dopo un contrasto di gioco l'alunno scivola, poggia la mano sul terreno per attutire la caduta e si rompe il polso), oppure siano state determinate da un urto con un altro giocatore; non si sa, in quest'ultimo caso, se si sia trattato di un contrasto regolare oppure se l'altro giocatore abbia violato le regole del gioco. In questo contesto la corte milanese ha svolto alcune affermazioni alquanto discutibili. Ha difatti ritenuto che si versasse in ipotesi di autolesione, con conseguente applicabilità della disciplina prevista dall'art. 1218 c.c., constatando la mancanza «di elementi di valutazione da cui possa evincersi che l'odierno appellante sia caduto, procurandosi lesioni, a seguito di un contrasto con altri giocatori»: ma questa affermazione non sembra persuasiva, giacché, in mancanza di prova dello svolgimento dei fatti, non può dirsi né che la lesione sia stata cagionata da un terzo, né che l'alunno si sia cagionato la lesione da solo. Non si comprende, dunque, sulla base di quali elementi la corte abbia ritenuto trattarsi di ascrivibile al minore. Né convince, soprattutto, l'affermazione, ripetuta per due volte in sentenza, concernente il difetto di elementi, positivamente acquisiti agli atti di causa, idonei a fondare un addebito di culpa in vigilando: che si applichi l'art. 2048 c.c. ovvero l'articolo 1218 c.c., una cosa è indubbia, ossia che (provata la riconducibilità della fattispecie all'una o all'altra norma) le situazioni di incertezza si risolvono in pregiudizio del danneggiante-debitore, non del danneggiato-creditore. Consigli pratici, infine. Qui, probabilmente, l'errore stava ab origine nella prospettazione e prova della domanda. Se la sentenza non dice nulla di chiaro sulla dinamica del fatto ciò discende — ripetiamo, con tutta probabilità — dalla descrizione che l'originario attore ne aveva fatto e dalle prove che aveva offerto a dimostrazione di essa. Poiché la dinamica del fatto riveste un rilievo decisivo ai fini dell'applicazione della disciplina giuridica pertinente, allora, l'avvocato che intraprenda la causa dovrà soffermarsi su una ricostruzione quanto più possibile minuziosa di tale dinamica, non limitandosi semplicemente a dolersi che le lesioni si siano verificate, e che si siano verificate mentre l'alunno era a scuola. |