Il comandante sbaglia la manovra d’attracco, ma responsabile per la morte del passeggero è il vettore marittimo
25 Marzo 2015
Massima
La presunzione di responsabilità che l'art. 1681 c.c., e l'art. 409 c.n., pongono a carico del vettore per i danni al viaggiatore verificatosi dall'inizio dell'imbarco al compimento dello sbarco, opera quando sia provato il nesso causale tra il sinistro occorso al viaggiatore e l'attività del vettore in esecuzione del trasporto. Il vettore resta liberato dalla responsabilità presunta a suo carico, qualora provi che l'evento dannoso, verificatosi a causa del trasporto, (quando cioè il sinistro è posto in diretta, e non occasionale, derivazione causale rispetto all'attività di trasporto), sia dovuto a fatto non prevedibile suo o dei suoi preposti o dipendenti, ovvero non potuto evitare nonostante l'uso della dovuta diligenza, mentre il viaggiatore ha l'onere di provare il nesso eziologico esistente tra l'evento dannoso ed il trasporto medesimo. Occorre quindi che, nonostante l'avvenuto rilascio del certificato di navigabilità, il giudice di merito accerti nel caso concreto, le modalità dell'incidente occorso al passeggero e controlli se detto incidente sia o meno rapportabile a colpa del vettore o dei dipendenti o preposti di lui; dunque nel caso di viaggio effettuato a mezzo di commesso, le indagini sull'adozione, da parte dello stesso, delle cautele necessarie al compimento del trasporto debbono essere estese alla condotta tenuta da quest'ultimo, salvo che l'evento sia ascrivibile esclusivamente a negligenza del passeggero medesimo. In sostanza, il vettore, sia quello terrestre che quello marittimo ed aereo, è tenuto a predisporre e ad adottare tutte quelle misure che di volta in volta si presentano necessarie per assicurare, secondo una normale diligenza e prudenza, la piena incolumità dei viaggiatori o passeggeri, per modo che la sua responsabilità viene meno soltanto quando rimanga accertata la mancanza del nesso causale con l'evento dannoso. Sintesi del fatto
Caio proponeva tempestiva domanda di ammissione al passivo di Alfa s.p.a. sull'indennità dovuta dall'assicuratore della stessa, precisando che un aliscafo appartenente alla predetta società aveva urtato violentemente contro la scogliera del molo e in seguito alla collisione la passeggera Sempronia, figlia dell'istante, aveva riportato un grave trauma cranico tale da provocarne il decesso. L'istante riferiva altresì che con sentenza emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p. il comandante dell'aliscafo era stato ritenuto responsabile a titolo di colpa del decesso. E, di conseguenza, sosteneva la responsabilità dell'armatore, sia quale società datoriale del proprio dipendente, sia perché quale vettore marittimo era soggetto tenuto al risarcimento dei danni subiti dai passeggeri. Tuttavia, il giudice delegato respingeva l'istanza di ammissione al passivo affermando che dell'incidente era stato ritenuto penalmente responsabile il comandante dell'aliscafo e che inoltre era mancata la prova in ordine all'esistenza del credito ed alla sua quantificazione. L'istante svolgeva quindi ricorso in opposizione allo stato passivo che però veniva parimenti rigettato sia con riferimento alla responsabilità contrattuale perché prescritta sia con riferimento alla responsabilità extracontrattuale perché infondata. Contro quest'ultima decisione Tizia, quale erede di Caio, attuava la tutela in legittimità sulla base di nove motivi a cui resisteva la predetta Alfa s.p.a. in amministrazione straordinaria con controricorso. E gli Ermellini accolgono il ricorso precisando in primis che in tema di prescrizione del danno derivante da fatto illecito, la prescrizione dell'art. 2947 c.c. si riferisce, senza alcuna discriminazione a tutti i possibili soggetti passivi della pretesa risarcitoria, e si applica, pertanto, non solo all'azione civile esperibile contro la persona penalmente imputabile, ma anche all'azione diretta contro coloro che siano tenuti al risarcimento a titolo di responsabilità indiretta. E quanto invece alla responsabilità dell'armatore quale vettore marittimo, chiariscono i supremi giudici, lo stesso resta liberato da responsabilità presunta a suo carico, qualora provi che l'evento dannoso, verificatosi a causa del trasporto sia dovuto a fatto non prevedibile suo o dei suoi preposti o dipendenti, ovvero non potuto evitare nonostante l'uso della dovuta diligenza, mentre il viaggiatore ha l'onere di provare il nesso eziologico esistente tra l'evento dannoso ed il trasporto medesimo. Pertanto, la sentenza impugnata viene cassata con rinvio al Tribunale in diversa composizione.
In motivazione «Nella sentenza di cui si chiede la cassazione è stata apoditticamente ritenuta mancante di prova la tesi del ricorrente e in seguito è stato solamente richiamato il verbale di inchiesta formale sui sinistri marittimi (…) in cui si conclude per l'attribuzione esclusiva della colpa per negligenza, imprudenza e imperizia al comandante e al direttore di macchina (…)». «La qualità di dipendente della S., quale armatore e proprietaria dell'aliscafo (...) è una circostanza che in motivazione è stata, invece, totalmente trascurata dal giudice di merito determinando prima l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e poi l'omessa pronuncia in relazione a quanto dedotto in giudizio dal ricorrente, ossia riguardo alla responsabilità indiretta dei debitori che nell'adempimento della prestazione si avvalgono dell'opera di dipendenti disciplinata dall'art. 2049 c.c.». «Esclusa infatti nel caso di specie l'esenzione per l'osservanza degli artt. 489 e 490, si osserva che gli altri obblighi che la legge impone al comandante, quale capo della spedizione, devono intendersi solo quelli espressamente previsti da specifiche disposizioni di legge come facenti capo al comandante personalmente (…). Tra tali obblighi (…) non rientra un generico obbligo di prudenza e di perizia nella gestione della navigazione ed in particolare quello di effettuare correttamente le manovre della nave ivi compresa quella di attracco». La questione
La questione in esame è la seguente: nel caso di un sinistro, causato da un'erronea manovra di attracco di un aliscafo, che ha determinato la morte di un passeggero, la responsabilità è da ascriversi al comandante e al direttore di macchina oppure ricade sul vettore marittimo?
Le soluzioni giuridiche
Il soggetto che impiega una nave in un viaggio assume la posizione di armatore divenendo il centro di imputazione di situazioni giuridiche scaturenti dal fatto di intraprendere la navigazione che implicano una responsabilità penale ed amministrativa ed una responsabilità civile anche per i fatti dell'equipaggio e per le obbligazioni contratte dal comandante in occasione e per i bisogni del viaggio: una assunzione di responsabilità che risulta però temperata dalla limitazione del debito nei modi e nelle forme previste dal legislatore. L'art. 274 c.n. precisa che l'armatore è responsabile dei fatti dell'equipaggio e delle obbligazioni contratte dal comandante della nave per quanto riguarda la nave e la spedizione. Come rilevato da autorevole dottrina tale norma si pone come speciale rispetto alla norma generale in materia di responsabilità contenuta nell'art. 2049 c.c. ma non esaurisce la responsabilità dell'armatore escludendo la rilevanza delle altre norme del codice civile ed in particolare quelle poste dall'art. 2050 e 2051 c.c. secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza. A tale proposito si osserva, nel decisum in commento, che non può essere invocato come esimente il disposto dell'art. 274, comma 2, c.n., che stabilisce che l'armatore non risponde da parte del comandante degli obblighi di assistenza e di salvataggio previsti dagli articoli 489 e 490 c.n., né degli altri obblighi che la legge impone al comandante quale capo della spedizione. I predetti obblighi difatti sono solo quelli espressamente previsti da specifiche disposizioni di legge come facenti capo al comandante personalmente, quali, ad esempio, gli obblighi gravanti sullo stesso quale ufficiale dello stato civile o quelli relativi alla adozione di specifiche misure di sicurezza ovvero quelli relativi ad obblighi di carattere doganale o quant'altro. Tra tali obblighi specificatamente previsti per legge non rientra un generico obbligo di prudenza e di perizia nella gestione della navigazione ed in particolare quello di effettuare correttamente le manovre della nave ivi compressa quella di attracco. La presunzione di responsabilità che l'art. 1681 c.c., e l'art. 409 c.n., pongono a carico del vettore per i danni al viaggiatore verificatosi dall'inizio dell'imbarco al compimento dello sbarco, opera quando sia provato il nesso causale tra il sinistro occorso al viaggiatore e l'attività del vettore in esecuzione del trasporto. Il vettore resta liberato dalla responsabilità presunta a suo carico, qualora provi che l'evento dannoso, verificatosi a causa del trasporto sia dovuto a fatto non prevedibile suo o dei suoi preposti o dipendenti, ovvero non potuto evitare nonostante l'uso della dovuta diligenza, mentre il viaggiatore ha l'onere di provare il nesso eziologico esistente tra l'evento dannoso ed il trasporto medesimo. La quaestio va quindi risolta ascrivendo la responsabilità del decesso del passeggero al vettore marittimo. Con il contratto di trasporto di persone il vettore assume non soltanto l'obbligo di trasportare la persona – con la conseguente responsabilità per il ritardo e l'inadempimento secondo le regole generali, ex art. 1218 c.c. - ma anche quello di assicurare durante il viaggio l'incolumità del viaggiatore. Nei contratti di trasporto di persone, difatti, è inserito ex lege, a latere del rapporto di trasferimento, una clausola specifica per «l'obbligo di protezione». Tale obbligo dà origine ad una autonoma fattispecie di responsabilità, peraltro di tipo contrattuale. La legge l'ha inserita nel contratto per dare una maggiore tutela al passeggero che altrimenti doveva agire per via extracontrattuale con un maggiore onere probatorio, dimostrando la colpa del vettore, e quindi con meno tutela. Così invece vi è subito una presunzione di colpa a carico del vettore e sarà poi quest'ultimo a tentare di liberarsene. L'obbligo di protezione quindi è primario, fondamentale ed autonomo con matrice costituzionale e non va confuso con le prestazioni accessorie. Com'è noto in base ai principi generali, il debitore, per escludere la responsabilità da inadempimento, ha l'onere di dimostrare che questo è stato determinato da impossibilità della prestazione, derivante da causa a lui non imputabile. Da ciò deriva che la responsabilità del vettore per i sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il viaggio ha carattere contrattuale: perciò non spetta al passeggero, qualora durante il trasporto subisca un danno, provare la colpa del vettore, ma questa è presunta e incombe, quindi, al vettore l'onere della prova liberatoria. Il vettore è tenuto, anzi, nel contratto di trasporto di persone ad una prova più specifica: egli ha l'onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele idonee ad evitare il danno, ex art. 1681 c.c.. L'arco temporale nel quale il vettore ha responsabilità è «dall'inizio dell'imbarco sino a compimento dello sbarco», una dizione leggermente più ampia del tempo effettivo che una persona trascorre sulla nave, proprio al fine di garantire una più ampia tutela. Il viaggiatore, pertanto, ha l'onere di dimostrare soltanto l'esistenza del contratto, il danno subito e il nesso di causalità tra questo e l'attività esplicata dal vettore nell'esecuzione del contratto di trasporto. Il passeggero danneggiato, pertanto, sopporta il rischio dell'individuazione del nesso tra causa e danno. Mancando l'individuazione della prima, gli rimarrà preclusa la dimostrazione del medesimo rapporto causale con la lesione subita e di accedere all'accertamento della responsabilità del vettore ed alle conseguenti misure risarcitorie. D'altro canto, l'esigenza di un'efficace tutela dell'incolumità personale e l'indisponibilità dei beni relativi alla propria salute o alla propria integrità fisica hanno consigliato al legislatore una deroga al regime generale in tema di clausole di esonero dalla responsabilità. Infatti, mentre è consentito l'esonero dalla responsabilità per colpa lieve o per fatto degli ausiliari, che non costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico, ex art. 1229 c.c., sono nulle le clausole che esonerano o limitano le responsabilità del vettore, ex art. 1681 c.c.. A detta responsabilità contrattuale si aggiunge anche la responsabilità extracontrattuale del vettore fondata sul principio generale del neminem laedere posto dall'art. 2043 c.c.. Osservazioni
Il nucleo fondamentale della disciplina del trasporto marittimo di persone è costituito dalle regole che definiscono i criteri di imputazione della responsabilità e la distribuzione degli oneri probatori. La soluzione adottata dal codice della navigazione è da rinvenirsi nell'art. 409 c.n. che dispone che «il vettore è responsabile per i sinistri che colpiscono la persona del passeggero (…) se non prova che l'evento è derivato da causa a lui non imputabile». Si tratta del modello classico di responsabilità per colpa presunta, analogo a quello previsto in via generale per la responsabilità contrattuale dall'art. 1218 c.c., nel quale la prova liberatoria, comprensiva in primo luogo della individuazione della causa del sinistro, fa carico al debitore della prestazione. L'art. 409 c.n., invero, è stato oggetto, come noto, di una vicenda giurisprudenziale del tutto singolare. A partire dalle prime decisioni in argomento e sino ai nostri giorni, la giurisprudenza italiana, in particolare il giudice della legittimità, ha ritenuto che spetti al passeggero dimostrare l'esistenza di un'anomalia del trasporto e quindi, in sostanza, individuare le cause del sinistro e occorra distinguere i sinistri verificatisi “a causa” del trasporto da quelli verificatisi “in occasione” del trasporto, con la conseguenza che, nel primo caso, il vettore, per essere esentato da responsabilità,deve dimostrare che il sinistro sia dovuto a fatto fortuito, mentre nel secondo caso gli sarà sufficiente la prova di aver predisposto quanto necessario per l'incolumità del passeggero. Come rilevato da autorevole dottrina, in un recente convegno, si può discutere a lungo se l'assetto così delineato della ripartizione degli oneri probatori corrisponda ad una corretta ed equilibrata allocazione del rischio tra vettore e passeggero. Peraltro, l'idea che vi debba essere una diversa articolazione dei criteri di imputazione della responsabilità del vettore, a seconda della natura del sinistro, viene affermata in termini inequivoci nel protocollo del 2002 alla «Convenzione di Atene relativa al trasporto via mare dei passeggeri e dei loro bagagli», cui ha recentemente aderito l'Unione Europea e che è già stato recepito dal Regolamento CE n. 392/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009. Difatti, già l'art. 3 della Convenzione di Atene distingueva il caso di danni alla persona del passeggero causati da un “incidente marittimo” da quella di danni imputabili a cause diverse, facendone discendere importanti differenze nella disciplina della responsabilità del vettore. Nel caso di danni causati da «incidente marittimo», come peraltro prevede il predetto protocollo del 2002, la responsabilità del vettore è oggettiva per tutte le lesioni e i decessi, fino ad un ammontare di Euro 430 mila per passeggero, a meno che non dimostri che l'incidente è avvenuto per un fenomeno naturale di carattere eccezionale, inevitabile ed irresistibile o che esso è stato interamente causato da un atto o un'omissione intenzionale di un terzo. Negli altri casi, invece, incombe al passeggero l'onere di provare la colpa del vettore. La attenuazione, rispetto agli standard normali della responsabilità contrattuale dei criteri di imputazione della responsabilità del vettore marittimo di persone e dei conseguenti oneri probatori viene tradizionalmente giustificata con la libertà di movimento di cui gode il passeggero a bordo della nave e con la conseguente impossibilità per il vettore di esercitare su di lui un efficace controllo. Il passeggero, difatti, in quanto soggetto intelligente, ha capacità di autodeterminarsi e quindi di collaborare con il vettore rispettando ogni prescrizione da parte del vettore stesso. La particolare libertà riconosciuta al passeggero a bordo della nave induce a configurare un vero e proprio obbligo di auto protezione, tuttavia l'esigenza primaria di protezione del passeggero trova applicazione anche nei confronti del passeggero imprudente, e per tutto il periodo in cui il passeggero resta sotto il controllo del vettore (anche se solo potenziale o esercitato, eventualmente, per il tramite di dipendenti o preposti del vettore, quindi con riguardo anche alle operazioni accessorie di imbarco e sbarco), salvi gli effetti in ordine alla prova liberatoria dalla responsabilità, presunta a carico del vettore medesimo.
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