Opera abusiva su suolo altrui e indennità

Augusto Cirla
01 Agosto 2016

Nelle controversie riconducibili alle fattispecie regolate dagli artt. 1150 e 936 c.c., il versamento, da parte del proprietario del fondo, dell'oblazione relativa all'opera abusiva ivi realizzata dal terzo estingue il reato ex art. 24, l.n.136/1999.
Massima

Nelle controversie riconducibili alle fattispecie regolate dagli artt. 1150 e 936 c.c., il versamento, da parte del proprietario del fondo, dell'oblazione relativa all'opera abusiva ivi realizzata dal terzo estingue il reato ex art. 24, l.n.136/1999, anche nei confronti del costruttore che, pertanto, ha diritto a percepire l'indennizzo ex art. 936 c.c..

Il caso

L'attore aveva citato in giudizio avanti il Tribunale di Palermo il proprietari di un'area sovrastante un magazzino su cui egli aveva realizzato il primo piano di un edificio, chiedendo, in principalità, di essere dichiarato proprietario esclusivo della predetta area e dell'eretto primo piano, ovvero, in subordine, di essere rimborsato, ex art. 936 c.c., delle somme corrispondenti al valore delle opere realizzate.

I giudici di primo grado, in accoglimento della domanda formulata in via subordinata, condannava i convenuti al pagamento del richiesto rimborso e respingeva ogni diversa domanda.

Proponevano appello i soccombenti (ed i loro eredi), contestando la pretesa del terzo autore dell'opera in quanto, a loro dire, questa era stata realizzata in difformità della licenza edilizia rilasciata dalla competente autorità comunale, per essere stata costruita anche una veranda chiusa non prevista nel progetto, con conseguente aumento di cubatura, in spregio delle vigenti norme imperative. Il che escludeva la titolarità dell'appellato, in quanto autore di un illecito, a richiedere qualsivoglia indennità per l'opera realizzata, quand'anche di questa se ne sarebbe poi giovato il proprietario del fondo che nel contempo l'aveva regolarizzata con concessione in sanatoria.

Era però emerso che la contestata illegittimità dell'opera, per cui il proprietario del fondo aveva subito un procedimento penale conclusosi con una sua condanna, non riguardava per il vero la nuova costruzione del primo piano, bensì la sola realizzazione della veranda chiusa, poi sanata. Veniva dunque appurato che la realizzazione del primo piano dell'edificio, per cui era stato richiesto l'indennizzo da parte del suo autore, era stata regolarmente autorizzata, talché l'immobile, in sé considerato, non doveva considerarsi affatto precario, non sussistendo alcun rischio di doverlo eventualmente demolire.

L'appello veniva di fatto dunque respinto nel merito e la decisione assunta in primo grado modificata solo nel quantum del dovuto, quale valore dell'opera realizzata dal terzo.

La questione

Colui che esegue un'opera o costruisce su terreno altrui soggiace alla facoltà concessa dall'art. 936 c.c. al proprietario del fondo di ritenerle oppure di chiederne la rimozione. Nel primo caso è dovuta all'esecutore dell'opera una indennità pari, alternativamente, al valore dei materiali e al prezzo della mano d'opera oppure all'aumento del valore recato al fondo.

Se però la costruzione viene di fatto realizzata in difformità alle rilasciate licenze edilizie al punto da configurare un illecito penale, alcuna indennità è dovuta al proprietario del fondo, salvo che sopraggiunga la regolarizzazione urbanistica del manufatto a seguito di concessione in sanatoria, nel qual caso l'immobile riacquista lo stato di conformità al diritto e riattribuisce a colui che lo ha costruito il diritto ad ottenere l'indennizzo nella misura e nei modi alternativi previsti dalla legge.

Ciò è quanto è stato affermato con la sentenza in esame, dopo avere ribadito il costante orientamento della Corte secondo cui l'opera abusiva non può far conseguire al suo autore quel vantaggio che si era ripromesso di ottenere nel porre in essere l'attività penalmente illecita e che in via diretta gli è preclusa dagli artt. 1346 e 1418 c.c. (Cass. 20, ottobre 2014, n. 22171; Cass.,14 dicembre 2011, n. 26853; Cass. 17 maggio 2001, n. 6777; Cass., 29 gennaio 1997, n. 888).

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia in esame, valutata la tematica sotto il profilo della irregolarità urbanistica dell'opera realizzata dal terzo, è giunta a concludere che l'opera abusiva esclude il diritto all'indennizzo.

I giudici di legittimità hanno invero fatto proprio il ragionamento posto a fondamento delle decisioni assunte nei precedenti gradi del merito, che hanno pur indirettamente dato corpo al principio generale ispiratore dell'art. 936 c.c.. Nell'accessione, infatti, prevale la logica della massima messa a profitto dei beni, nel senso che da un lato si propende per la conservazione, attraverso la facoltà concessa al proprietario del fondo di ritenere il bene, della ricchezza prodotta dalle opere che vi accedono e, dall'altro, si premia colui che ha prodotto nuova ricchezza incrementando il valore del fondo. È indubbio che il proprietario del suolo, acquistando anche la proprietà delle opere e scegliendo di ritenerle, apporti un incremento economico al proprio patrimonio: da qui il suo obbligo di riconoscere all'esecutore dell'opera la giusta indennità di cui all' 936 c.c., in osservanza peraltro del divieto generale dell'indebito arricchimento previsto dall'art. 2041 c.c. Se per un verso va rispettato il principio per cui quidquid inaedificatur solo cedit, per l'altro è giustificata la previsione del giusto rimborso nell'alternativa forma indicata dall'art. 936 c.c., così da contemperare le conseguenze patrimoniali, che altrimenti sarebbero estremamente vantaggiose per il proprietario del fondo.

Va da sé che nel momento in cui il bene costruito dal terzo, inteso quest'ultimo come persona in alcun modo vincolata al proprietario da qualsiasi rapporto giuridico (Cass., 14 marzo 2016, n.4932), non sia in grado di apportare un incremento al valore economico del fondo, viene meno il presupposto per il riconoscimento della indennità di cui al comma 2 dell'art. 936 c.c..

Così accade quando l'opera del terzo non rispetti le normative vigenti e si ponga invece in netto contrasto con le cogenti disposizioni imperative. L'opera abusiva deve ritenersi infatti priva di valore per il fondo in quanto caratterizzata da estrema precarietà ed anzi idonea a configurare un illecito penale in capo al proprietario del fondo stesso.

Nessun indennizzo può quindi pretendere da quest'ultimo il terzo che abbia realizzato l'opera in violazione della normativa edilizia e posto in essere così una fattispecie di reato espressamente prevista dalla legislazione speciale: ciò anche nel caso in cui sia già decorso il termine semestrale per richiedere la rimozione ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 936 c.c. (Cass., 29 gennaio 1997, n.888).

La sanatoria urbanistica estingue il reato. La questione sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità riguarda però la capacità dell'intervenuta sanatoria dell'illecito urbanistico commesso dal terzo di riportare o meno l'immobile ad uno stato di conformità e ad obbligare dunque il proprietario del fondo che opti per la ritenzione del bene a corrispondere l'indennità di cui al comma secondo dell'art. 936 c.c..

La sentenza in commento risponde positivamente al quesito, sul presupposto che, a norma dell'art. 24 l. n. 136/1999 (che richiama l'art. 38 l. n. 47/1985), la corresponsione per intero dell'oblazione estingue il reato edilizio e la concessa sanatoria fa venire meno anche le conseguenze amministrative dell'abuso. Il bene, non più soggetto a futuro ordine di demolizione, entra così a far parte del patrimonio del proprietario del fondo per accessione ai sensi dell'art. 934 c.c., con le conseguenze di cui all'art. 936 c.c., sempre che l'opera arrechi al fondo un aumento di valore e che risponda ad un obiettivo interesse del suo proprietario.

L'effetto estintivo del reato si estende a tutti i soggetti responsabili, indipendentemente dalla presentazione di autonoma domanda di condono da parte dei corresponsabili nella commissione del reato.

Ossevazioni

Si è visto che la ratio ispiratrice dell'obbligo di corrispondere l'indennità in caso di ritenzione del bene è quella di compensare il terzo per il beneficio apportato al proprietario del fondo con l'opera da lui realizzata.

Tenuto a corrispondere l'indennità è dunque colui che, in concreto, vede aumentare il valore del proprio fondo in conseguenza dell'avvenuto acquisto per accessione del bene costruito dal terzo. Il che rileva nel caso in cui, tra il momento dell'avvenuta accessione (ex tunc) e quello in cui è esercitata la facoltà di ritenzione del bene, muti la proprietà del fondo e dunque del beneficiario del bene acquisito.

La sentenza in commento non ha dubbi nell'affermare che tenuto a riconoscere l'indennità non è colui che era proprietario del fondo al momento dell'accessione, ma colui che, assunta tale qualità in tempo successivo, abbia «effettivamente usufruito del beneficio da essa derivatone».

L'indennizzo dovuto dal proprietario, in ogni caso, costituisce un debito di valore, sia che si determini in relazione all'incremento arrecato al fondo e sia che abbia riguardo al valore dei materiali e al prezzo della mano d'opera. La somma dovuta va liquidata con riferimento all'epoca della costruzione e rivalutata. tenuto conto della svalutazione monetaria intervenuta fino al momento della decisione della causa.

Sul relativo importo, riferito all'epoca della costruzione, devono pertanto riconoscersi anche d'ufficio gli interessi compensativi sino al momento della liquidazione.

Guida all'approfondimento

Rubino, L'Appalto , in commentario al cod. civ. , diretto da Scialoja e Branca , continuato da Galgano ,1992, 224;

Rescigno, Appalto , in Enc. Giuridica Treccani , II , Roma 1988 , 438;

Gazzoni, Manuale di diritto privato , Napoli 1996 , 228.

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