La tutela del privato per l'inosservanza degli obblighi assunti con la convenzione per la concessione del diritto di superficie
25 Agosto 2015
Massima
Nel nostro ordinamento giuridico il Legislatore impone a coloro che intendano fare valere le proprie pretese l'onere di seguire determinate procedure, nel pieno rispetto, tra l'altro, della facoltà della controparte di contraddire, e, dunque, è inequivocabilmente inibita la possibilità per gli interessati di farsi “giustizia da sé”. Il caso
La società Alfa ricorre contro il Comune Beta per la condanna di quest'ultimo al risarcimento dei danni subiti per l'inosservanza da parte dell'ente degli obblighi assunti con la convenzione da essi stipulata ex art. 27, ultimo comma, L. n. 865/1971, per la concessione del diritto di superficie sulle aree comprese nel Piano Particolareggiato destinate a insediamenti di piccola e media industria e artigianato. Tale convenzione all'art. 6 disponeva che il corrispettivo fosse comprensivo degli oneri per urbanizzazioni primarie e secondarie, le cui opere avrebbero dovuto essere eseguite direttamente dal Comune in base ai tempi di attuazione del piano su progetti esecutivi debitamente approvati. La società, iniziata regolarmente la costruzione dell'edificio industriale, a fronte dell'inadempienza del Comune in ordine alla realizzazione delle opere di urbanizzazione, previa istanza di proroga della concessione edilizia, le aveva eseguite direttamente e, nel contempo, aveva presentato agli uffici comunali istanza di scomputo degli oneri ad esse relativi. Non avendo ricevuto alcuna liquidazione, malgrado i continui solleciti, decide di presentare ricorso. Il Tar, in un primo momento, data la mancata costituzione in giudizio del Comune, chiede con ordinanza all'Amministrazione di produrre una relazione sulla vicenda in contenzioso. Con il documento depositato l'ente rileva che i lavori sono stati eseguiti senza autorizzazione comunale, oltre all'impossibilità di scomputare dagli oneri concessori la spesa sostenuta per i predetti e rappresenta la disponibilità ad un accorso transattivo, in considerazione del carattere di pubblica utilità delle opere eseguite. Il Tar Lazio respinge il ricorso, ritenendo infondate le pretese risarcitorie della società Alfa, con la motivazione di seguito illustrata e fa salva la possibilità per la ricorrente di esperire l'azione generale di arricchimento ex art. 2041 c.c.. Secondo il Collegio l'ordinamento offre al privato per la tutela della propria situazione giuridica soggettiva degli strumenti di reazione, finalizzati a soddisfare i diritti eventualmente lesi. Per riscontrare l'inadempimento del debitore, occorre verificare se sia stato fissato il termine, pattiziamente o ex art. 1183 c.c, entro cui la prestazione deve essere eseguita. Nel caso di specie, la convenzione stipulata dalle parti non indica alcun termine entro il quale il Comune avrebbe dovuto eseguire i lavori. La ricorrente non ha posto in essere iniziative dirette a stimolare l'Amministrazione al rispetto degli obblighi assunti. Dagli atti depositati risulta che la società Alfa ha effettuato i lavori, in violazione sia della disciplina relativa all'esecuzione forzata degli obblighi di fare, sia delle norme a tutela del territorio, che prescrivono il rilascio di apposite autorizzazioni per interventi di trasformazione. La questione
La questione in esame è la seguente: l'ordinamento giuridico appresta una forma di tutela nei confronti del privato che sceglie di farsi giustizia da sé, sostituendosi alla PA a fronte della sua inerzia, sia pure con finalità di pubblico interesse? Le soluzioni giuridiche
La sentenza in commento rileva l'esigenza codificata che il privato ricorra alle forme di tutela apprestate dall'ordinamento giuridico, ritenendo infondato il ricorso presentato dall'istante diretto a ottenere il risarcimento dei danni subiti per violazione degli obblighi di fare da parte della PA. Evidenzia, altresì, l'impossibilità di configurare un'ipotesi di inadempimento nei termini di legge, che si configura quando il debitore non esegue nel termine previsto dalle parti o, in mancanza dal giudice, la prestazione dovuta. Inoltre, l'art. 1218 c.c. sancisce che il debitore che non esegue esattamente la prestazione è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Rilevati i predetti presupposti, il privato può azionare i rimedi di seguito illustrati. In presenza di un contratto a prestazioni corrispettive, ove la prestazione sia esigibile, il creditore può chiedere la risoluzione per inadempimento e il risarcimento del danno, se la stessa sia divenuta impossibile o inutile . Diversamente, il creditore può pretendere l'adempimento, anche se tardivo, costituendo in mora il debitore, attraverso una formale intimazione, fatti salvi i casi di mora ex re, di cui all'art. 1219 c.c.. Ove si tratti di inadempimento di obblighi di fare, ex art. 2931 c.c. l'interessato può ottenere che essi siano eseguiti a spese dell'obbligato, ricorrendo alla procedura disciplinata dagli artt. 612 e ss. c.p.c.. È rimessa al creditore la facoltà di scelta di uno dei predetti rimedi per tutelare il proprio diritto leso dalla PA.. Tuttavia il Tar, richiamato il generale divieto di farsi giustizia da sé ex artt. 392 e 393 c.p., fa salva la possibilità in capo al ricorrente di esperire l'azione di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c. Osservazioni
L'ordinamento non ammette la possibilità per il privato di reagire all'inadempimento della P.A., sia pure lesivo di un interesse giuridicamente rilevante, se non nelle forme previste dalla legge, fatte salve alcune ipotesi tassativamente disciplinate, quali l'eccezione di inadempimento, il potere di sospendere l'esecuzione della propria prestazione, se le condizioni patrimoniali dell'altro contraente siano divenute tali da porre in evidente pericolo il conseguimento della controprestazione, salva la prestazione di idonea garanzia ex art. 1461 c.c., il diritto di ritenzione ex artt. 2756 e 2761 c.c., la compravendita coattiva ex artt.1515 e 1516 c.c. Tale riserva relativa di legge rientra nel generale divieto di farsi giustizia da sé, disciplinato dagli artt. 392 e 393 c. p.. Di conseguenza, un soggetto potrà sostituirsi all'Amministrazione nella realizzazione di un'attività di competenza pubblica, soltanto a seguito di un formale provvedimento di natura autorizzativa. Si rammenta che l'art. 27, ultimo comma, L. n. 865/1971, fa espressamente riferimento alla stipula di una convenzione tra il comune e il concessionario «per atto pubblico, con la quale vengono disciplinati gli oneri posti a carico del concessionario o dell'acquirente e le sanzioni per la loro inosservanza». La giurisprudenza di legittimità (Cass., S.U., sent., 30 ottobre 2001, n. 13533), in tema di prova dell'inadempimento di un'obbligazione, statuisce che «il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'inadempimento deve soltanto provare la fonte negoziale o legale del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa». Nel caso di specie, non si rileva un'ipotesi di inadempimento, poiché mancano la fissazione del termine per eseguire la prestazione e le prescritte autorizzazioni della P.A. per poter procedere ad una trasformazione del territorio. Viene ammessa, invece , la possibilità di esperire l'azione generale di arricchimento ex art. 2041 c.c.. Tale azione ha natura complementare e sussidiaria, poiché può essere esercitata solo quando manchi un titolo specifico sul quale possa essere fondato un diritto di credito. Essa integra un'azione autonoma per diversità di causa petendi, rispetto alle azioni fondate su un titolo negoziale. La recente giurisprudenza di legittimità (Cass., S.U. civ., sent. 14 aprile 2015, n. 10798) in materia di azioni giurisdizionali per indebito arricchimento afferma il principio di diritto di una valutazione oggettiva dell'arricchimento, che prescinda dal riconoscimento implicito o esplicito dell'ente beneficiato. L'esigenza del buon andamento dell'attività amministrativa si può ben coniugare con il diritto di azione del depauperato, affidando alla P.A. l'onere di eccepire e di provare il rifiuto dell'arricchimento o l'impossibilità di manifestarlo per inconsapevolezza del fatto, ossia l'ipotesi caso dell'arricchimento imposto Il privato cittadino e la PA devono essere posti sullo stesso piano nel fornire la prova al giudice, che avrà piena libertà di mezzi per verificare l'utilitas di cui ha goduto il soggetto pubblico attraverso il proprio potere di accertare se e in quale misura le opere o la prestazione siano state effettivamente da essa utilizzate. |