Claims made: una storia tormentata
03 Agosto 2017
Inquadramento
Le due decisioni potrebbero definirsi gemelle, riferendosi a due casi di responsabilità medica ai danni della medesima compagnia assicurativa. In entrambi i casi la polizza di assicurazione invocata dal reclamante, un ospedale, prevedeva copertura su base claims made, con limitata (seppure esistente) retroattività e senza postuma. In entrambe le circostanze, occorse nel periodo di vigenza del contratto (il 2003), la richiesta di risarcimento era pervenuta all'assicuratore dopo la scadenza della polizza e per tale ragione questi aveva respinto il sinistro. Con modalità diverse, il dettato della clausola claims made su cui si basava il rigetto del sinistro era stato ritenuto atipico e vessatorio, ora dal tribunale di prima, ora da quello di seconda istanza. La retroattività ivi prevista, infatti, veniva giudicata gravemente limitativa, senza essere stata espressamente approvata ai sensi dell'art. 1341 c.c. La clausola doveva quindi ritenersi nulla, venendo a valere il disposto dell'art. 1917 c.c., in virtù del quale la richiesta di risarcimento del terzo doveva essere accolta, perché riferita a fatti accaduti in vigenza di polizza. Fin qui niente di nuovo: l'avversione di una parte della nostra magistratura per questa forma di assicurazione è nota e si è posta alla base della lunga diatriba che ha interessato la nostra giurisprudenza circa l'ammissibilità della clausola claims made nel nostro ordinamento. Tutto ciò fino all'arresto delle Sezioni Unite del 6 maggio 2016 n. 9140 ove, seppure a determinate condizioni, veniva confermata la validità e la non vessatorietà di questo dispositivo (v. Cass. civ., Sez. Un., n. 9140/2016, F. ROSADA, Claims made “impura” e RC professionale: un connubio in crisi; M. RODOLFI, La Claims made: tra liceità e meritevolezza, quanti problemi per gli operatori del diritto, il legislatore e le associazioni di categoria; M. HAZAN, La claims made è salva, ma non troppo; C. ALTOMARE, Sezioni Unite n. 9140/2016: perché non si scioglie ancora il nodo della claims made, in Ridare.it). La questione in esame veniva dunque rimessa alla Corte di Cassazione, III sezione, che proprio da tale arresto delle Sezioni Unite prende le mosse nelle due decisioni di cui trattiamo, entrambe a firma del Consigliere Marco Rossetti. Prima di tutto, la Suprema Corte valuta infondato il giudizio delle Corti di precedente istanza, che hanno reputato vessatoria la limitazione della retroattività prevista in polizza. Essendo i fatti oggetto del contendere occorsi durante il periodo di validità del contratto e denunciati dopo la scadenza dello stesso, la questione della copertura pregressa è del tutto irrilevante. Il ricorso presentato dalla struttura sanitaria dev'essere tuttavia accolto con altre motivazioni. Come si è detto, la citata sentenza n. 9140 delle Sezioni Unite determina l'ammissibilità della claims made e la sua “non vessatorietà”. Dove starebbe, allora il problema? Ebbene, la clausola sarebbe da giudicare inaccettabile qualora non fosse diretta a “realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico”. Ed è proprio sul concetto di “meritevolezza” espresso all'art. 1322 c.c. che si concentra ancora una volta il giudizio della Cassazione, in un articolato percorso attraverso un gran numero di decisioni che hanno interessato negli anni fattispecie anche molto diverse, tutte accomunate, però, dal giudizio di immeritevolezza che ne è scaturito. E dunque, riducendo “a sistema” le motivazioni di tali precedenti, la clausola “claims made”, oltre a costituire un patto atipico perché sorta in un ordinamento giuridico assai diverso da quello italiano, sarebbe immeritevole:
Nei casi qui trattati, il meccanismo della claims made avrebbe costretto l'assicurato a denunciare entro il termine del contratto fatti avvenuti a ridosso della scadenza del contratto stesso, il che sarebbe difficile, se non impossibile, soprattutto in ambito di responsabilità sanitaria, a causa della naturale latenza di questo tipo di eventi dannosi. In tal modo le condizioni di polizza avrebbero determinato un vantaggio ingiusto e sproporzionato nei confronti dell'assicuratore ed una posizione di indeterminata soggezione da parte dell'assicurato. In poche parole, se le condizioni di polizza avessero previsto un adeguato periodo di ultrattività, consentendo all'assicurato di denunciare il sinistro anche a contratto scaduto, la clausola avrebbe passato il vaglio di meritevolezza. Peccato che una simile pattuizione non abbia nulla a che vedere col funzionamento di una claims made. Oltre che gettare nello sconcerto gli operatori del comparto assicurativo, le due sentenze hanno già provocato un certo scalpore nel mondo giuridico e sono già state ampiamente commentate anche su questo portale. La questione attiene al dettato della citata sentenza Cass. civ., Sez. Un., n. 9140/2016, ma anche al disposto delle recenti norme riguardanti l'assicurazione della responsabilità professionale degli avvocati e del comparto medico che, prevedendo esplicitamente il funzionamento della copertura in base alla data della richiesta di risarcimento, sono state interpretate come una forte indicazione del Legislatore a favore dell'uso della claims made e, di fatto, come un definitivo “sdoganamento” di questa forma di assicurazione. Come a più riprese sottolineato dallo stesso Consigliere Rossetti, questa clausola è stata introdotta in un sistema giuridico assai diverso da quello italiano. È importante notare, tuttavia, come le ragioni della sua comparsa fossero dettate dalla necessità di rendere nuovamente gestibili alcuni tipi di coperture assicurative che attraversavano un periodo di crisi profonda, principalmente a causa del marcato allungamento del periodo intercorrente tra il fatto generatore, il momento in cui se ne palesavano le conseguenze e quello della relativa richiesta di risarcimento e della denuncia di sinistro che ne conseguivano. Com'è noto, questo fenomeno investe molti mercati e molti tipi di polizze, ma diviene particolarmente significativo nell'ambito della responsabilità medica ed ha costituito un fattore determinante nell'evoluzione problematica che ha caratterizzato questo tipo di assicurazione nel nostro paese. Allo stato presente delle nostre cognizioni, la scienza attuariale che guida la tecnica assicurativa incontra enormi difficoltà a governare coperture che presentino un'operatività temporale tanto ampia. Le compagnie di assicurazione che sottoscrivono rami caratterizzati da lunghe e lunghissime code devono infatti misurarsi scrupolosamente con alcune norme che regolano la loro attività. Tra queste assume particolare rilievo il rispetto del margine di solvibilità, che determina la capacità di un assicuratore di onorare nel tempo gli impegni presi con i propri assicurati. In pratica, maggiore e più a lungo termine si prevede che sia il suo impegno economico per fronteggiare i sinistri generati dal portafoglio sottoscritto, maggiore e più affidabile dovrà risultare la sua capacità finanziaria. Ciò comporta costi aggiuntivi rispetto alla semplice apposizione di riserve tecniche e richiede uno sforzo economico inversamente proporzionale alla “prevedibilità” degli esborsi attesi. È evidente, infatti, che ad un maggiore lasso di tempo coperto corrisponderà una minore precisione nel determinare l'ammontare delle riserve necessarie a coprire l'impegno della compagnia assicuratrice. Vale la pena di rimarcare, infine, come questo fenomeno assuma dimensioni particolarmente rilevanti all'interno di un sistema giuridico assai vivace, qual è quello in cui viviamo. Salvaguardare i diritti del consumatore
Questa forma di assicurazione fu quindi introdotta con l'intento di attualizzare il più possibile le previsioni di spesa, permettendo alle parti in causa di godere di una serie di vantaggi tanto evidenti da determinarne in breve tempo l'utilizzo su scala internazionale. Per l'assicurato, infatti, la claims made rende assai più semplice la denuncia di sinistri che dovrebbero altrimenti essere presentati a compagnie che potrebbero non esistere più o che non operano più da anni nel mercato di riferimento. L'efficacia della copertura risulta inoltre svincolata dall'accertamento di circostanze che potrebbero non essere più facilmente riscontrabili e la copertura non viene inficiata dall'eventuale vigenza, al momento dell'accadimento, di massimali inadeguati. Dal punto di vista temporale, il sinistro viene quindi allineato al momento in cui il danno subito viene percepito dalla vittima, una volta che le sue conseguenze siano realmente emerse, ed anche l'eventuale contemporanea vigenza di altre coperture che insistano sul rischio è assai più facilmente verificabile, per una possibile chiamata di corresponsabilità. Riassumendo, questa clausola presenta indubbi benefici, sia per le vittime dell'illecito che per gli assicurati, mentre per gli assicuratori costituisce uno strumento irrinunciabile per salvaguardare il proprio margine di solvibilità e per sottoscrivere rischi resi altrimenti ingestibili da una lungolatenza tanto marcata. A questo punto è utile ricordare come la regolamentazione che prevede il rispetto del margine di solvibilità per tutti gli assicuratori sia emanazione diretta delle normative internazionali volte a salvaguardare i diritti dei consumatori. Come possa il suo rispetto determinare un vantaggio ingiusto e sproporzionato ad una delle parti, senza contropartita per l'altra, ponendo l'assicurato in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all'assicuratore, è difficile da capire. Bisogna poi tener conto del fatto che nessuna compagnia di riassicurazione è oggi disposta ad accettare la copertura di certi rischi in forma diversa dalla claims made e senza il supporto riassicurativo non c'è modo per una compagnia di impegnarsi nella sottoscrizione di rischi ad alto grado di volatilità, come quelli da RC professionale e medica. Anche in quest'ottica risulta difficile comprendere come possa costituire una maggior tutela per l'avente diritto, più ancora che per l'assicurato, la prospettiva di non riuscire a reperire alcuna copertura assicurativa. Questione di tecnica assicurativa
Non si è trattato, quindi, di imporre condizioni volte a prevaricare l'interesse dell'assicurato o del reclamante, ma di trovare una soluzione che salvaguardasse i diritti di entrambi, permettendo all'assicuratore di continuare a svolgere il proprio compito. E in effetti, con pochissime e particolarissime eccezioni, la claims made ha trovato facile diffusione ovunque fosse necessario gestire la latenza, indipendentemente dal sistema giuridico esistente. L'efficacia temporale di questa norma si volge, per così dire, all'indietro, proponendosi come una valida alternativa a quella imperniata sulla data di avvenimento dell'illecito, che invece guarda in avanti, ovvero verso il momento in cui la vittima dello stesso assume coscienza del torto subito e ne denuncia le conseguenze. Se la finestra temporale che abbraccia le diverse fasi dell'evento dannoso non è tanto ampia da rendere impossibile prevederne il costo ultimo con un'approssimazione accettabile da parte dell'assicuratore, non v'è alcuna ragione tecnica per applicare una forma di assicurazione diversa da quella basata sulla data di avvenimento. In questo caso, l'assicurato non dovrà faticare a ricostruire circostanze occorse molto tempo addietro e la vittima stessa dell'illecito non dovrà patire per il disallineamento delle sue necessità attuali con condizioni e massimali pattuiti molto tempo prima che il fatto emergesse. Come s'è detto, si tratta di due diversi strumenti che rispondono ad esigenze diverse e parimenti valide e per quanto la norma che discende dall'art. 1917 c.c.faccia esplicito riferimento ad uno solo di essi, la questione non può che essere squisitamente strumentale e dettata dal fatto che l'esigenza di gestire certe code lunghissime non si era ancora palesata al tempo in cui la relativa norma fu formulata. Afferma la Suprema Corte che «La clausola claim's con esclusione delle richieste postume riduce il periodo effettivo di copertura assicurativa, dal quale resteranno verosimilmente esclusi tutti i danni causati dall'assicurato nella prossimità della scadenza del contratto. È infatti praticamente impossibile che la vittima d'un danno abbia la prontezza e il cinismo di chiederne il risarcimento illico et immediate al responsabile». Agli occhi di qualsiasi tecnico assicurativo, tuttavia, una claims made che includesse le richieste postume rappresenterebbe un ibrido inapplicabile, perché dotato sia di retroattività che di ultrattività tali, da rendere ingestibile qualsiasi rischio. Sia la “loss occurrence” che la claims made, infatti, se applicate con continuità, garantiscono una copertura senza “buchi” ed è solo la mescolanza dei due trigger (letteralmente “grilletto”, ad indicare il meccanismo che fa scattare la copertura assicurativa, viene utilizzato per definire la validità temporale della copertura stessa)a determinare problemi, interrompendo il continuum temporale. In regime di obbligo di copertura, una claims made dotata di apprezzabile retroattività sarà sempre sostituita da un'altra claims made avente le medesime caratteristiche e non necessiterà di alcun periodo di ultrattività, perché sarà la polizza successiva a prendersi cura di tutte le richieste di risarcimento avanzate dopo la scadenza della polizza precedente. L'unica interruzione del continuum temporale si verificherebbe se per qualche ragione l'assicurato non dovesse più acquistare una nuova copertura. Ed è per questo che un corretto regime di claims made, oltre ad una retroattività sufficiente alla bisogna (la cui entità può variare molto a secondo del rischio), deve prevedere una sunset, ovvero un adeguato periodo di ultrattività nel caso in cui l'assicurato non dovesse più godere degli effetti della polizza, il che, in regime di obbligo assicurativo, può solo verificarsi per cessazione dell'attività svolta. Il vero problema della meritevolezza
Sostiene nei due casi osservati la Cassazione: «… la clausola claim's made che escluda le richieste postume appare immeritevole di tutela, in quanto attribuisce all'assicuratore un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita». Ma qualsiasi assicuratore considererebbe ovvio che i due sinistri occorsi nel periodo di validità della polizza e denunciati dopo la sua scadenza fossero di pertinenza del contratto ad essa successivo, il quale avrebbe dovuto funzionare con il medesimo trigger. I fatti oggetto del contendere, quindi, sarebbero dovuti ricadere nella retroattività della claims made seguente, perché consiste proprio nella retroattività la contropartita offerta da tale forma di assicurazione, fatta per gestire gli eventi verificatisi nel periodo antecedente la stipula del contratto. È dunque vero che i fatti esaminati precedono le disposizioni della legge 8 marzo 2017 n. 24 (nota come Legge Gelli), che prevede esplicitamente che l'assicurazione delle strutture sanitarie debba valere per «eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto assicurativo, purché denunciati all'impresa di assicurazione durante la vigenza temporale della polizza», ma non ci sarebbe comunque stato alcun “buco di copertura” se la polizza oggetto del contendere fosse stata sostituita da un'analoga assicurazione su base claims made. Semplicemente, questi sinistri avrebbero dovuto essere denunciati su quest'ultimo contratto. E dunque dove risiederebbe l'immeritevolezza delle polizze in questione? Dove si collocherebbe lo «iato temporale inconciliabile con il tipo di responsabilità professionale cui può andare incontro il medico, la cui opera può talora produrre effetti dannosi a decorso occulto, che si manifestano a distanza anche di molto tempo dal momento in cui venne tenuta la condotta colposa fonte di danno»? Questa forma di assicurazione è nata proprio per risolvere il problema rappresentato da tale iato temporale ed il suo fine ultimo altro non è che il rispetto di quella normativa che in tutto il mondo tutela il consumatore-danneggiato, prima ancora che il consumatore-assicurato. Come si è detto, allo stato attuale delle nostre conoscenze non esiste altro modo per sottoscrivere rischi caratterizzati da un'operatività temporale tanto ampia: non si possono valutare tecnicamente e non siamo in grado di prevederne con ragionevole approssimazione il costo ultimo. Non si tratta di una scelta di mercato e men che meno di mettere in discussione un principio giuridico, ma di adoperare uno strumento indispensabile per coprire quelle tipologie di rischi che per la loro lungolatenza non sarebbero altrimenti assicurabili. Proprio da questo origina lo stupore dell'intero comparto assicurativo di fronte al casus belli sollevato nel nostro paese dall'uso di questa clausola dal meccanismo, in fondo, semplice: invece di coprire gli eventi che si verificano durante il corso della polizza, i cui effetti si manifesteranno in un momento imprecisato del futuro, assicuriamo tutti gli eventi che nel corso del contratto emergono e vengono denunciati, indipendentemente dal momento in cui venne tenuta la condotta colposa fonte di danno. Nella fattispecie, anche se non c'è stato modo di accertarsene, è possibile che la polizza successiva non prevedesse alcun periodo di retroattività (retro inception), nel qual caso ad essere immeritevole (e questa volta a pieno titolo) sarebbe certamente tale secondo contratto e non quello in esame. Potrebbe anche darsi che l'ospedale avesse deciso di autoassicurarsi e, non potendo più beneficiare di una copertura, abbia preteso ristoro dall'ultimo malcapitato assicuratore; ma questa sarebbe una condotta grave dalla sua parte, che i magistrati non avrebbero mancato di rilevare. La questione delle circostanze note
È pur vero, tuttavia, che la traduzione nel nostro ordinamento di un dispositivo tecnico sorto in un sistema radicalmente diverso può comportare alcuni problemi sui quali varrebbe la pena di lavorare. Come sappiamo, le assicurazioni prestate nella formula claims made definiscono come sinistro la prima richiesta di risarcimento pervenuta all'assicurato e denunciata all'assicuratore durante il periodo di polizza. Poiché questo tipo di assicurazione attualizza eventi dannosi verificatisi prima della decorrenza del contratto assicurativo, è condizione essenziale per la sua operatività che l'assicurato dichiari di non essere a conoscenza di situazioni e/o circostanze che potrebbero dare origine a future richieste di risarcimento. Ciò serve essenzialmente ad evitare una sorta di antiselezione, nel timore che venga a mancare l'aleatorietà che dovrebbe caratterizzare il rischio. D'altro canto, in base agli artt. 1892 e 1893 c.c., l'assicurato è tenuto a fornire all'assicuratore, pena la rescissione o la nullità del contratto, tutte le informazioni necessarie alla valutazione del rischio, perché questi possa decidere se accettarlo ed a quali condizioni. L'obbligo di dichiarare eventuali circostanze aggravanti (come sono senz'altro le cosiddette circostanze note) è poi previsto anche dall'art. 1898 del c.c. In mancanza di tacito rinnovo, però, la dichiarazione dell'esistenza di circostanze aggravanti nel questionario può comportare una rinuncia da parte dell'assicuratore, od un forte aggravio di premio. E cosa succede se l'assicurato è a conoscenza di fatti che potrebbero dar luogo ad una richiesta di risarcimento durante la vigenza della polizza, ma la richiesta risarcitoria ad essi conseguente arriva dopo la scadenza della stessa? Tali circostanze non potranno essere denunciate come sinistri finchéla relativa richiesta di risarcimento non sarà materialmente pervenuta. Può anche capitare che tra la condotta lesiva dell'assicurato, l'emergere del fatto dannoso, e la successiva richiesta di risarcimento del danneggiato, l'assicurato abbia cambiato assicuratore oppure abbia stipulato una serie di polizze senza tacito rinnovo: le circostanze note non possono essere denunciate come sinistro sulla polizza in corso, ma non possono neppure essere taciute nel questionario della nuova polizza da stipulare, anche se dichiararle può comportare il rifiuto del nuovo assicuratore a coprire il rischio. In ogni caso, tutte le polizze escludono espressamente sia le richieste di risarcimento già avanzate da terzi, che quelle eventualmente derivanti da circostanze già note all'assicurato al momento della stipula. Ci troviamo così di fronte ad un dilemma che, si badi bene, non è legato esclusivamente al meccanismo della claims made e che nei paesi di Common Law ,ove questa forma di assicurazione è nata, viene risolto con l'adozione della Deeming Clause. In base a questa norma, se l'assicurato comunica la circostanza di cui è venuto a conoscenza durante il periodo di assicurazione, qualsiasi richiesta di risarcimento successiva sarà considerata dagli assicuratori come effettuata durante tale periodo: «The assured shall give to the underwriters notice in writing as soon as practicable of any circumstance of which they shall become aware during the policy period, which may give rise to a loss or claim against them. Such notice having been given, any loss or claim to which that circumstance has given rise which is subsequently made after the expiration of the policy shall be deemed for the purpose of this insurance to have been made during the policy period.» (L'Assicurato dovrà dare immediata comunicazione scritta agli Assicuratori di qualsiasi circostanza di cui sia venuto a conoscenza, che si presuma possa ragionevolmente dare origine ad una richiesta di risarcimento nei suoi confronti, fornendo le precisazioni necessarie e opportune con i dettagli relativi a date e persone coinvolte. L'eventuale richiesta di risarcimento pervenuta in seguito alle comunicazioni così specificate sarà considerata come se fosse stata fatta durante il periodo di assicurazione). Funzionamento della Deeming Clause
La deeming clause tiene dunque in copertura anche le richieste di risarcimento pervenute dopo la scadenza della polizza, purché siano conseguenti e chiaramente collegate a circostanze che siano state denunciate in corso di vigenza della polizza stessa. In tal caso, l'apertura del sinistro verrà fatta al momento della denuncia della relativa circostanza e la richiesta di risarcimento che ne deriverà sarà in garanzia, anche se pervenuta dopo la scadenza della polizza stessa. Pertanto, se è spostare il focus sul momento nel quale «venne tenuta la condotta colposa fonte di danno», ciò che preme alla suprema corte, perché non discutere di un adeguamento della definizione di sinistro all'interno del meccanismo della claims made, posto che la stessa non andrebbe più intesa come vessatoria e inammissibile? «..la clausola claim's made con esclusione delle richieste postume pone l'assicurato nella seguente aporia: sapendo di avere causato un danno, se tace e aspetta che sia il danneggiato a chiedergli il risarcimento, perde la copertura; se sollecita il danneggiato a chiedergli il risarcimento, viola l'obbligo di salvataggio di cui all'art. 1915 c.c.». Una simile soluzione risolverebbe tale aporia, senza privare assicurato e reclamante del vantaggio di attualizzare il danno e consentendo all'assicuratore di rispettare la normativa vigente in materia di margine di solvibilità. Questo dispositivo è inoltre apprezzato anche al di fuori dei sistemi di Common Law. In Germania, ad esempio, una polizza su base claims made che non offrisse la possibilità di comunicare le circostanze che potrebbero in seguito generare un reclamo, verrebbe tacciata di recare uno svantaggio all'assicurato. In questo mercato i triggers più comunemente usati nell'ambito della responsabilità civile sono il Loss Occurrence, o l'Acts Committed ed il termine di prescrizione è di 30 anni dal momento in cui l'evento generatore si è verificato, indipendentemente dal momento in cui la vittima o il responsabile ne siano venuti a conoscenza. La giurisprudenza tende quindi a considerare la presenza della deeming clause come una compensazione nel passaggio dal principio dell'accadimento al meccanismo della claims made. Tuttavia, nel comunicare all'assicuratore le circostanze che in futuro potrebbero dar luogo ad una richiesta di risarcimento, è importante porre attenzione a fornire tutti i dettagli del caso. Nel Regno Unito, infatti, in mancanza di un'informazione che permetta di identificare senza ombra di dubbio a quale circostanza nota l'eventuale successiva denuncia si riferisca, l'assicurato rischia di vedersi respingere il sinistro: «The "deeming clause" is an essential part of a valid claims made policy. (….) A circumstance reported has to be sufficiently detailed and must contain specific facts to discern the potential violation of a duty on the part of the insured person. A list of all patients of a doctor, of all relevant business transactions for which a board member is accountable, or all clients of an accountant or lawyer will not suffice. That will be decided on a case by case basis, in court if necessary. (La “deeming clause” è parte essenziale di una corretta forma di copertura su base claims made. … La denuncia di una circostanza deve essere sufficientemente dettagliata e deve contenere tutti i fatti che consentano di individuare la potenziale violazione di un'obbligazione da parte dell'assicurato. La semplice lista dei pazienti di un medico, o di tutte le transazioni d'affari per le quali sia responsabile il membro di un consiglio di amministrazione, o dei clienti di un commercialista o di un avvocato, non saranno considerati sufficienti. La decisione dovrà essere presa nel merito specifico, se necessario, direttamente dal magistrato)».
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