DDL “Concorrenza”: il Governo Renzi all’attacco dei danneggiati
27 Febbraio 2015
Si trascina da oltre quindici anni la “riforma” a tappe dei danni alla persona. “Riforma” tra virgolette in quanto in realtà questa è stata ed è una “controriforma” reazionaria avverso i progressi giurisprudenziali, che dagli anni settanta in avanti hanno cercato, tra l'altro riuscendovi, di delineare un sistema risarcitorio dotato di regole uniformi, idoneo a scongiurare disparità di trattamento e a realizzare, almeno sulla carta, riparazioni del danno non patrimoniale “integrali” (rectius “personalizzate”, cioè tali da permettere, caso per caso, un'adeguata valorizzazione di tutti i profili – biologici, esistenziali, morali – del danno). Vero è che nell'ultimo decennio la contrapposizione tra, da un lato, il legislatore (reazionario, ossia asservito in primis alle assicurazioni) e, dall'altro lato, la giurisprudenza (progressista, ossia scevra da condizionamenti) è venuta ad annacquarsi, ciò anche a causa dell'intervento di taluna “dottrina” filo-assicurativa (rappresentata non solo da professoroni fiduciari di assicurazioni, ma anche da magistrati in versione anfibia). Perfetta dimostrazione dell'affievolimento della giurisprudenza è la recente sentenza Corte Cost. 235/2014, che ha marcatamente recepito ogni tesi propinata dalla compagine assicurativa (cfr. M. BONA, Corte costituzionale n. 235/2014: cestinatela!, in Ri.Da.Re.). Ovviamente sovvengono anche le pronunce delle Sezioni Unite del “San Martino 2008”. Ad ogni annacquamento di tale contrapposizione sono seguite ulteriori pressioni della potente lobby assicurativa, mai paga dei risparmi conseguiti. Dunque, non è un caso che il DDL “concorrenza” ultimo rifletta gli infelici approdi cui è pervenuta la predetta pronuncia della Consulta. Nondimeno, tale nuova iniziativa governativa va ben oltre anche tale sentenza, che – ciò va debitamente sottolineato – ad ogni modo non lasciava intendere compromissioni della tutela risarcitoria anche sul fronte delle lesioni di non lieve entità (anzi: la Consulta è pervenuta a salvare l'art. 139 Cod. Ass. Priv. in quanto «attinente al solo specifico e limitato settore delle lesioni di lieve entità»). Perché il DDL va ben oltre? Perché la lobby assicurativa alza sempre l'asticella e trova inesorabilmente governi pronti ad esaudirla. Il Governo Renzi con tale DDL ha dimostrato di essere piegato a tale lobby esattamente come i precedenti governi Prodi, Berlusconi, Monti e Letta. Anzi, per dirla tutta, è pure riuscito a batterli. Tralasciandosi ogni commento in ordine alle altre disposizioni in materia di r.c.a. presenti nel DDL (norme, invero, a loro volta schiacciate sui desiderata delle assicurazioni), ci si concentrerà qui di seguito sull'art. 7, che si propone di innovare in peius gli artt. 138 e 139 Cod. Ass. Priv. Scopi del DLL: abbattere drasticamente i risarcimenti anche per i macrolesi
E' opportuno premettere come ci si ritrovi dinanzi al solito disegno di legge “frullato”, che contiene un po' di tutto, a discapito della qualità dei lavori parlamentari: non solo assicurazioni e r.c.a. (comunque, al centro del DDL come se il problema della “concorrenza” in Italia dipendesse in larga misura da questo settore), ma anche fondi pensione, servizi di telefonia, di comunicazioni elettroniche e di media audiovisivi, servizi postali, energia, gas, carburanti, servizi bancari, servizi professionali (professione forense e notariato), servizi sanitari e distribuzione farmaceutica. Insomma, ancora una volta la questione della tutela risarcitoria di diritti fondamentali è concepita dal governo di turno in termini marginali ed esclusivamente economici, quando, invece, per quanto consta dovrebbe rimanere un problema nevralgico di giustizia sostanziale. Va, altresì, rilevato che la nuova “controriforma” del danno non patrimoniale da sinistri stradali/responsabilità medica, recata dall'art. 7, dovrebbe assolvere ad una tra le seguenti «finalità» (cfr. art. 1 del DDL): «La presente legge interviene a rimuovere ostacoli regolatori all'apertura dei mercati, a promuovere lo sviluppo della concorrenza e a garantire la tutela dei consumatori, anche in applicazione dei princìpi del diritto dell'Unione europea in materia di libera circolazione, concorrenza e apertura dei mercati, nonché alle politiche europee in materia di concorrenza». Francamente non si comprende quale tra queste “specifiche” «finalità» sorreggerebbe l'art. 7. Senz'altro non già la «tutela dei consumatori», giacché a questi si consegna una tutela risarcitoria ulteriormente compromessa. Ciò premesso, nella laconica relazione illustrativa sull'art. 7 si afferma che «Le novelle degli articoli 138 e 139 del CAP intendono chiarire l'entità dei risarcimenti in caso di micro e macro lesioni permanenti, tenendo conto del complesso del danno non patrimoniale». Trattasi di una falsa rappresentazione, nello stile ormai tipico degli ultimi Esecutivi: lo scopo, infatti, è di detronizzare al contempo la personalizzazione del danno biologico-esistenziale e la liquidazione del danno morale. La norma non mira innocuamente a “chiarire” (autentica bufala), bensì a sopprimere spazi di tutela risarcitoria. Essa, inoltre, crea le basi per imminenti tabelle al ribasso per le lesioni da 10% a 100% di I.P.. Ciò è tanto più grave sol considerandosi che il DDL va a colpire in primo luogo i macrolesi. Dal danno biologico al danno non patrimoniale: goodbye alla liquidazione dei pregiudizi morali
Innanzitutto va debitamente sottolineata la seguente differenza tra gli attuali artt. 138 e 139 Cod. Ass. Priv e quelli proposti dal DDL: muta il loro titolo. Mentre i titoli attuali fanno espressamente riferimento al solo danno biologico (art. 138: «Danno biologico per lesioni di non lieve entità»; art. 139: «Danno biologico per lesioni di lieve entità»), al contrario i “nuovi” artt. 138 e 139 si riferiscono al “danno non patrimoniale” (art. 138: «Danno non patrimoniale per lesioni di non lieve entità»; art. 139: «Danno non patrimoniale per lesioni di lieve entità»). Lo stesso art. 7 si intitola «Risarcimento del danno non patrimoniale». Dunque, palese è che non si sia dinanzi ad un mero “chiarimento”, bensì ad un'autentica reazionaria “rivoluzione”, connotata da malafede: qui si vuole cancellare la liquidazione del danno morale. In particolare, è del tutto manifesto come il Governo si proponga di inglobare nelle tabelle e nei limiti alla personalizzazione degli importi di base anche il danno morale nella sua interezza, che, come noto, eppure non rientra - né giuridicamente, né naturalisticamente, né medicolegalmente - nel danno biologico (le Sezioni Unite del 2008 così come la Corte Costituzionale del 2014 hanno fornito un'interpretazione contra legem; i medici legali, seri e non asserviti alle assicurazioni, hanno costantemente dimostrato come biologico e morale siano due profili del danno non patrimoniale lungi dal potere essere considerati sovrapponibili; cfr. al riguardo amplius M. BONA, Corte costituzionale n. 235/2014: cestinatela!, cit.). Di fatto si intende soffocare il danno morale. Ciò emerge oltre che dai nuovi titoli assegnati agli articoli in questione anche dai seguenti passaggi:
Insomma, gli intenti del Governo sono inequivocabili: la liquidazione dei valori tabellari e la loro (come si rileverà oltre, eventualissima) personalizzazione “mangiano” ogni altro profilo del danno non patrimoniale (pregiudizi morali in primis), il tutto ad esclusivo vantaggio della compagine assicurativa. Già nel 2005 il Codice delle Assicurazioni Private il danno biologico aveva inglobato i pregiudizi esistenziali, ora si prende pure i pregiudizi morali. Questa operazione del Governo, a ben osservare, è per fortuna lungi dal chiudere ogni prospettiva circa ulteriori scenari di tutela risarcitoria. Infatti, tralasciandosi che a priori non sarebbe possibile affermare l'esaustività di somme risarcitorie ingabbiate in tabelle e “caps” (ciò viola molto chiaramente l'art. 3 Cost.), il DDL è lungi dal risolvere ogni disputa che agita la mente del Governo e, soprattutto, della lobby che ha dettato l'art. 7: alla foga riformatrice corrisponde pure una significativa (invero, non nuova) approssimazione nella redazione di tali disposizioni, sicché ci si trova dinanzi all'inciso «conseguente a lesioni fisiche» tale da dischiudere alla risarcibilità, oltre i limiti previsti, dei pregiudizi non pecuniari/non biologici discendenti da fattispecie di reato (il danno morale da reato subito), da condotte particolarmente riprovevoli (il danno morale aggravato dalla condotta) e, soprattutto, da lesione di altri beni garantiti dalla Costituzione, tra i quali, non solo il diritto alla personalità ed al rispetto della dignità e dell'integrità morale, ma anche alla protezione della salute psichica (!). Si badi bene: le predette disposizioni si riferiscono alle sole conseguenze delle “lesioni fisiche”, non già anche di quelle “psichiche”. Stupisce senz'altro l'inettitudine del Governo così come dei lobbisti che lo hanno incentivato in tale direzione: non sono neppure riusciti a scrivere ciò che si proponevano! Chiaramente questa imperizia non potrà che dare luogo ad ulteriori conflitti in ordine all'interpretazione della norma, come se non ne avessimo già a sufficienza (N.B.: contrasti, comunque, per conseguire sempre di meno ed a maggior fatica). Ciò premesso ed anche a prescindere dagli effetti concreti in termini di drastico ridimensionamento dei risarcimenti, siffatta operazione governativa non si regge sul piano teorico né giuridicamente né naturalisticamente. Infatti, si pretende di affermare l'esaustività del risarcimento determinato sulla base delle tabelle e degli ristretti margini, nonostante sia assodato che i pregiudizi morali non sono “biologicocentrici”, cioè non necessariamente corrispondono ad una (modesta) percentuale del danno biologico. A parte le infelici sentenze delle Sezioni Unite del 2008 la Cassazione ci ha sempre insegnato che la liquidazione del danno morale non può risultare condizionata da quanto eventualmente riconosciuto a titolo di danno biologico; in particolare, come ribadito in più occasioni dalla Suprema corte, “non può stabilirsi a priori il maggior valore del danno biologico rispetto al danno morale”, essendo che “questo ultimo non è soltanto pretium doloris, ma anche la risposta satisfattiva alla lesione della dignità umana” (così, ex plurimis, Cass. civ., Sez. III, 11 giugno 2009, n. 13530). Ulteriori ragioni intervengono poi a qualificare le disposizioni in esame alla stregua di autentici regali del Governo alle compagnie assicuratrici. Innanzitutto, sul versante delle macrolesioni, evidentemente per mascherare la propria pervicacia reazionaria, l'Esecutivo ha previsto un innalzamento dei margini per la personalizzazione del danno non patrimoniale dalla soglia del 30% a quella del 40%. Si tratta di una presa in giro. Con tale mossa la ditta Renzi & Co. è lungi dal potersi guadagnare la medaglietta del benevolo di turno. Al riguardo deve evidenziarsi in primis come nel 40% (per le lesioni da 1% a 9% rimane, invece, l'incremento massimo del 20%) rientrino, nella prospettiva del DDL, anche i pregiudizi morali (però, non si sa bene neppure dove), mentre gli attuali limiti alla personalizzazione, recati dagli art. 138 e 139 vigenti, riguardano il solo danno biologico: un conto è un 30% su una somma che concerne unicamente il danno biologico, ben altra questione è un 40% su una somma che riguarda il danno non patrimoniale onnicomprensivo. In particolare, occorre rilevare quanto segue:
Ciò posto, dunque, nel DDL la prospettiva – già realizzabile nel campo delle micropermanenti – è quella di una personalizzazione su basi di partenza immensamente inferiori rispetto ai parametri milanesi: le nuove versioni degli artt. 138 e 139 trasformano i valori tabellari del danno biologico in parametri inglobanti il danno morale, senza prevedere aumenti percentuali per quest'ultimo come fece l'Osservatorio sulla Giustizia Civile del Tribunale di Milano nel 2009. In pratica, nel DDL rimangono invariati i valori di base, ma si pretende di inglobare in essi i pregiudizi morali. Orbene, non occorre un genio matematico per predire, con riferimento alla liquidazione delle macrolesioni, abbattimenti del quantum del danno non patrimoniale anche oltre il 50% rispetto ai valori indicati dalle tabelle milanesi e romane. In secondo luogo, deve osservarsi come il DDL modifichi, rispetto alle attuali versioni degli artt. 138 e 139 Cod. Ass. Priv., anche i criteri per la personalizzazione delle somme di base. Nella formulazione vigente questi articoli recitano rispettivamente quanto segue:
Nei commi 3, di cui al DDL, si rinviene, invece, due ulteriori inedite strettoie: la personalizzazione può essere accordata alla condizione che «la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali» e – questa la prima novità – soltanto qualora tali pregiudizi siano «documentati e obiettivamente accertati» oppure – anche questa una novità in peius – la menomazione «causi o abbia causato una sofferenza psicofisica di particolare intensità». In breve, si ha quanto segue:
Insomma, ecco perché siamo dinanzi ad una vera e propria presa in giro da parte del Governo, laddove propone di incrementare al 40% il limite alla personalizzazione del danno (trasformato da biologico in non patrimoniale). Peraltro, tutti sappiamo che anche soltanto un 10% di personalizzazione per le micro è un autentico miraggio in sede di trattative stragiudiziali così come costantemente negate dalla stragrande maggioranza dei liquidatori sono le personalizzazioni per le macro, nonostante le evidenze fornite e la sicura operatività di ragionamenti presuntivi (al punto che sarebbe opportuno domandarsi che senso abbia dialogare con gli uffici di liquidazione). Il Governo, essendo decaduto da tempo dalla delega prevista per la redazione delle tabelle di cui all'art. 138, ha ritenuto di cogliere la palla al balzo per rimettersi in gioco: «si afferma … l'ultravigenza delle disposizioni attualmente vigenti circa l'adozione della tabella sulle macrolesioni, attualmente non ancora adottata». Ciò implica che l'Esecutivo, laddove venisse approvata la norma prevista dal DDL (nello specifico, il comma 2 dell'art. 7), si troverebbe nuovamente legittimato all'emanazione delle famigerate tabelle da 10 a 100% di I.P. (sia medico-legale che monetarie). Sennonché la rivitalizzata delega continua a contraddistinguersi per molteplici difetti, già rilevati in dottrina con riferimento alla “riforma” del 2005 (Rossetti in primis): per la redazione della tabella recante i valori monetari il comma 2 dell'art. 138 contempla «principi e criteri» eccessivamente generici e connotati da scarsissimo tecnicismo, nonché da scelte discutibili nel merito. Ad esempio, rimane non condivisibile ed è solo foriera di diversi problemi interpretativi la precisazione per cui «il valore economico del punto è funzione crescente della percentuale di invalidità e l'incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato cresce in modo più che proporzionale rispetto all'aumento percentuale assegnato ai postumi» (art. 138, comma 2, lett. c). Infatti, che «l'incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato» faccia aumentare il punto in misura «più che proporzionale rispetto all'aumento percentuale assegnato ai postumi» è criterio doppiamente errato:
La superficialità dei criteri tracciati dall'art. 138, comma 2, raggiunge poi il suo apice alla lettera d), che stabilisce che «il valore economico del punto è funzione decrescente dell'età del soggetto, sulla base delle tavole di mortalità elaborate dall'ISTAT, al tasso di rivalutazione pari all'interesse legale»:
E' poi da evidenziarsi l'assurdità di criteri diversi per le liquidazioni delle invalidità permanenti di lieve entità e quelle di non lieve entità: spero un giorno che qualcuno abbia il buon cuore di spiegarmi quale distinzione, oltre che numerica, intercorra tra un 9% ed un 10% di I.P. Ad ogni modo ciò che più colpisce in senso negativo dei «principi e criteri» dettati dall'art. 138 è come la delega sia in bianco, cioè non preveda alcun criterio monetario di partenza. Ciò significa che l'Esecutivo ha mano totalmente libera e, come ha già dimostrato in suoi precedenti tentativi, potrà anche dimezzare i parametri di base rispetto ai valori attuali individuati dalle tabelle milanesi e romane. Anzi, è sicuro che lo farà: nel DDL il Governo si è concesso tre mesi per l'approvazione delle nuove tabelle, il che significa che le tabelle sono quelle già da tempo nel cassetto del Ministero della Salute, tali da prevedere significativi abbattimenti. E' possibile scommetterci: tali tabelle saranno tirate fuori il giorno dopo l'approvazione del DDL, con la “sola” (!) differenza che sarà su di esse apposto il lemma “danno non patrimoniale” al posto dell'espressione “danno biologico”. La prima novità, come si è già illustrato innanzi al patagrafo Dal danno biologico al danno non patrimoniale: goodbye alla liquidazione dei pregiudizi morali, è che nel DDL anche per le lesioni di lieve entità il danno biologico temporaneo si trasforma magicamente in “danno non patrimoniale temporaneo”. A ciò si potrebbe obiettare come, diversamente da quanto rinvenibile in seno al “nuovo” art. 138, comma 2, lett. e) (ove il Governo impiega espressamente il lemma «danno non patrimoniale temporaneo»), in realtà l'art. 139, comma 1, lett. b), nella versione di cui al DDL, si riferisca ancora al «danno biologico temporaneo». Tuttavia, al comma 3 la norma “chiarisce” anche per le lesioni di lieve entità quanto segue: «L'ammontare complessivo del risarcimento riconosciuto ai sensi del presente articolo è esaustivo del risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a lesioni fisiche». Ciò posto, deve allora sottolinearsi quanto segue: il “danno biologico temporaneo” si trasforma in “danno non patrimoniale temporaneo” (N.B.!!!) a parametro monetario invariato (per essere precisi, euro trentanove virgola trentasette per ogni giorno di inabilità assoluta). Dunque, si ha quanto segue: il Governo si propone di levare di torno qualsiasi possibilità di incrementi a titolo di danno morale da invalidità temporanea, mantenendo, però, lo stesso parametro di base (parametro, invero, che nel 2001, allorquando fu introdotto con la legge n. 57/2001, già risultava tale da ribassare in modo significativo la liquidazione di tale posta risarcitoria rispetto agli standard giurisprudenziali). La seconda novità è ancora più grave: riguarda le macrolesioni. Mentre la versione attuale dell'art. 138 Cod. Ass. si limita a prevedere, pur così incorrendo nel vizio della delega in bianco, che «il danno biologico temporaneo inferiore al cento per cento è determinato in misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno» (art. 138, comma 2, lett. e) Cod. Ass.), al contrario il DDL, con l'aggiunta di un secondo periodo, estende al “danno non patrimoniale temporaneo” da macrolesioni il predetto importo di euro trentanove virgola trentasette: «L'importo dovuto per ogni giorno di inabilità temporanea assoluta, fermi gli aggiornamenti annuali di cui al comma 4, è pari a quello previsto dal comma 1, lettera b) dell'articolo 139». Ora, avendo ben presenti i criteri milanesi (da euro 96,00 ad euro 145,00) ed essendo che nel DDL biologico “mangia” morale, l'abbattimento delle liquidazioni per i danni non patrimoniali temporanei connessi alle macrolesioni è impressionante, enorme, mostruoso. In buona sostanza per il sensibilissimo Governo Renzi non ricorre alcuna differenza fra, da un lato, trascorrere alcuni giorni indossando un collare e, dall'altro lato, trovarsi in ospedale sospesi tra la vita e la morte: nella mente dell'Esecutivo ospedalizzazione, sofferenze atroci, paura di morire o di rimanere invalidi valgono zero, giacché l'importo rimane indifferente a questi “dettagli”. Anche questo costituisce un regalo alle assicurazioni del tutto inaccettabile. Ovviamente non poteva mancare nel DDL un'ulteriore stretta sulle chance di risarcimento per i danni alla persona di lieve entità. Infatti, l'art. 13 (con l'ingannevole titolo «Interventi di coordinamento in materia assicurativa»), comma 5, lett. a), abroga l'art. 32, comma 3-quater, di cui aldecreto-legge 24 gennaio 2012 n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 (tale norma, lo si ricorda, prevede quanto segue: «Il danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all'articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, è risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l'esistenza della lesione»). L'accertamento strumentale, dunque, si eleva ad unico criterio selettivo, rimanendo la seguente disposizione: «In ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente» (secondo periodo, comma 2, art. 139 Cod. Ass.). Al riguardo ci si limita ad evidenziare come l'eventuale approvazione di questa disposizione del DDL non farebbe altro che aggravare l'illegittimità costituzionale della norma introdotta dal Governo Monti (sull'incostituzionalità del secondo periodo, comma 2, dell'art. 139 Cod. Ass. si rinvia ai rilievi già presentati in M. BONA, Corte Costituzionale n. 235/2014: quale impatto sulla prova del danno biologico ex l. n. 27/2012?, in Ri.Da.Re., oltre che, amplius, a M. BONA, La nuova r.c.a. dopo la legge 27/2012 (Danno biologico per lesioni di lieve entità), Santarcangelo di Romagna, 2012). Avendo qualificato la recente sentenza Corte Cost. n. 235/2014 come degna di finire in un cestino e non volendomi ripetere o cadere in espressioni più forti, mi sono chiesto in quale altro contenitore potessi figurativamente gettare l'art. 7 del DDL. La discarica, come suggeritomi da taluni, mi sembra la destinazione ideale per questa disposizione. Ciò posto, perché mi ritrovo ancora una volta su posizioni diametralmente opposte a quelle di molti altri commentatori? La risposta è molto semplice: per alcuni, per le ragioni più varie, la tutela risarcitoria dei diritti fondamentali è questione da combinarsi sempre con l'economia (sino a soccombere sotto i piedi, sempre più pressanti, di questa e, quindi, degli interessi di lucro di assicurazioni e banche); invece, per me – sarà in quanto dalla parte dei danneggiati e, più in generale, di noi cittadini che, allorquando danneggiati, avvertiamo come importanti anche poche migliaia di euro in meno – è questione esclusivamente di giustizia, anche sociale. Ragionare in termini di giustizia nel mio mondo (ormai sospinto vieppiù verso Hogwarts) non significa pretendere che i risarcimenti siano illimitati, ma che, posti dei criteri di base, i magistrati abbiano la possibilità di adattarli ai casi concreti. Soprattutto, così ragionando, ritengo da discarica l'art. 7 per i seguenti motivi:
A conti fatti, mentre una pletora ristretta di soggetti continua ad arricchirsi, noi cittadini sgobbiamo sempre di più, riceviamo servizi vieppiù scadenti, guadagniamo sempre di meno, siamo vessati da ogni sorta di tassa, ed ora ci troviamo pure dinanzi alla prospettiva – in parte già realtà – di venire depauperati quando malauguratamente ci troviamo ad essere danneggiati. Aggiungo, peraltro, come più gravemente siamo stati lesi più ci costa accedere alla giustizia (gli incrementi dei contributi unificati sono ripugnanti), tuttavia con la prospettiva di conseguire sempre di meno (una beffa). Questi sono i conti della serva che nella mia visione della “giustizia” rilevano. La politica, di contro, percorre strade sempre più ostili per i danneggiati, cioè, in definitiva, per noi cittadini: questo è solo e semplicemente il frutto di un asservimento totale dei nostri rappresentanti alle lobby. Non ricorre altra spiegazione. A chi gli venisse poi da osservare che questo sarebbe pure il trend negli altri Stati europei mi limiterò a rilevare come recentemente in Inghilterra, da tempo immemore lungi dal contraddistinguersi per una politica progressista in materia, nel contesto delle “Jackson reforms” i risarcimenti per i danni non patrimoniali da lesioni personali siano stati innalzati in via generalizzata del 10% al fine di controbilanciare l'introduzione della possibilità per avvocati e clienti di stipulare patti di quota-lite (i “Damages-Based Agreements”, per inciso ritenuti funzionali a favorire l'accesso alla giustizia) ed al contempo, con l'introduzione del regime processuale del “qualified one way costs shifting” (QOCS) specificatamente per le controversie per i danni alla persona e da uccisione, si sia stabilito che in caso di sconfitta i danneggiati sono esentati dal pagare onorari e spese di soccombenza alle controparti, tranne nel caso in cui l'azione risarcitoria sia stata rigettata in quanto priva di ragionevoli fondamenta (“reasonable grounds”) oppure quale vero e proprio abuso del processo (“abuse of the court's process”) o, ancora, in ragione di una particolare condotta dell'attore tale da avere ostacolato la corretta impostazione del processo (per chi dubiti in ordine a questi, per noi incredibili, scenari cfr. S. SIME & D. FRENCH, The Civil Justice Reforms 2013, Oxford, 2013). Altro mondo? Non pare proprio, giacché la Association of British Insurers (ABI), rilevando per l'anno 2007 l'impressionante numero di 1.200 richieste al giorno per risarcimenti da “colpi di frusta” (430.000 danneggiati, rappresentanti quasi il 75% dei feriti da sinistri stradali), ha definito il Regno Unito la “whiplash capital” d'Europa (… e lì le polizze r.c.a. non sono affatto meno care che da noi, se non per gli assicurati virtuosi). Ovviamente il nostro Governo cita gli altri quando gli fa più comodo, salvo poi provincializzarsi per garantire pieno dominio ai soliti noti soggetti. Per queste ragioni, mentre taluni già plaudono al DLL, dal canto mio auspico che in Parlamento, nonostante il renzismo dilagante, l'art. 7 finisca in una discarica. Noi avvocati dei cittadini faremo sino in fondo la nostra parte, affinché ciò accada. E la faremo pure nel caso di sua approvazione, perché si può ancora credere che la Consulta non si ripeterà con sentenze stile Corte Cost. 235/2014, soprattutto dinanzi a lesioni macropermanenti. Se lo segnino bene le compagnie di assicurazione: non ci daremo mai e poi mai per vinti. Last but not least esprimo un vivo desiderio: laddove il DDL passasse, spero con tutto me stesso che faccia ammenda chi in “dottrina”, perorando le ragioni delle assicurazioni, ci spiegava con insistenza che sarebbe stato necessario ridimensionare i risarcimenti per le microlesioni per dare di più ai macrolesi. Ho sempre ribattuto a questi Robin Hood della r.c. che si trattava di un falso pretesto e che partendo dalle microlesioni si sarebbe giunti a penalizzare anche le liquidazioni per le lesioni più gravi: ora ne abbiamo la definitiva conferma. Peraltro, forse farebbe bene a ricredersi chi ancora ritiene che la Consulta del 2014 abbia fatto bene a salvare da incostituzionalità la norma (il vecchio art. 5 della legge n. 57/2001, confluito nell'art. 139 Cod. Ass. Priv.) da cui il legislatore è partito con la sua “controriforma” per approdare oggi ad aggredire le macrolesioni. Non intendo passare per una sorta di Cassandra della r.c., ma, laddove approvato il DDL, il prossimo passo, nel nome dell'art. 3 Cost. (soltanto a questo punto evocato), sarà l'estensione delle tabelle r.c.a. a tutti i settori, con tanto di goodbye alle tabelle milanesi: DL Balduzzi docet. |