Caduta sulle scale condominiali: testimonianza del figlio inattendibile, onere probatorio delle parti e presunzioni
27 Maggio 2016
Massima
Nel caso di caduta dai gradini di una scala condominiale, è infondata la domanda risarcitoria del danneggiato il quale, tenuto a provare l'esistenza del nesso di causalità anche nell'ipotesi descritta ex art. 2051 c.c., ometta di fornire la prova certa circa le modalità della caduta, nonché, dell'effettiva presenza sui gradini di materiale scivoloso, tale da aver causato il sinistro. Il caso
La Sig.ra G. M. conveniva in giudizio, avanti al Tribunale di Napoli, il Condominio di (…), chiedendo il risarcimento di tutti i danni dalla stessa patiti a causa della caduta sulle scale dello stabile, per la presenza – a detta della danneggiata - di una sostanza viscida e oleosa. Si costituiva in giudizio il Condominio convenuto, il quale, oltre a resistere alla pretesa attorea di cui domandava l'integrale rigetto, chiedeva al Tribunale l'autorizzazione alla chiamata in causa della propria Compagnia Assicuratrice, a manleva. Una volta autorizzata la chiamata, quest'ultima si costituiva altresì in giudizio, eccependo la non operatività della polizza e conseguentemente chiedendo il rigetto della domanda di parte attrice. Il Tribunale adito chiamato a decidere rigettava la domanda della Sig.ra G. M., condannandola alla rifusione delle spese di giudizio. Quest'ultima, parte soccombente in primo grado, decideva pertanto di proporre appello avverso la predetta sentenza di condanna. La Corte d'Appello adita rigettava però tale gravame confermando la pronuncia formulata dal Giudice di prime cure, condannando altresì l'appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado. Avverso siffatta sentenza di appello ricorreva la Sig.ra G. M., mentre resisteva la Compagnia Assicuratrice con controricorso. La questione
Quali sono gli oneri probatori, ex art. 2051 c.c., che incombono sul danneggiato che agisca per ottenere il risarcimento dei danni occorsi a seguito di una cosa oggetto di custodia di per sé statica e inerte, precisamente le scale condominiali? Il danneggiato oltre che a dimostrare il fatto dannoso e il nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, è tenuto a dimostrare altresì l'obiettiva pericolosità dello stato dei luoghi e le reali modalità del sinistro? Le soluzioni giuridiche
Nella pronuncia oggetto della presente disamina, la Suprema Corte ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni formulata da parte attrice per non aver la stessa fornito adeguato supporto probatorio circa le modalità della caduta sui gradini del Condominio, nonché dell'effettiva presenza sugli stessi di materiale scivoloso tale da causarne la caduta, ritenendo altresì non attendibile la dichiarazione dell'unico teste presente all'accaduto, in quanto, figlio della signora G. M. Ebbene, le motivazioni a fondamento della presente pronuncia sembrano pacificamente allinearsi all'orientamento giurisprudenziale prevalente che impone al danneggiato, anche in applicazione dell'art. 2051 c.c., la prova del fatto dannoso ed il nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno e che, ove la cosa in custodia sia di per sé statica ed inerte, il danneggiato è tenuto a dimostrare altresì che lo stato dei luoghi presentava un'obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno (Cass. civ., sez. III, 5 febbraio 2013, n. 2660; Cass. civ., Sez. VI, 27 novembre 2014, n. 25214; Cass. civ., Sez. III, 18 settembre 2015, n. 18317 e Cass. civ., Sez. VI, 20 ottobre 2015, n. 21212). Prima di entrare nel merito della questione giuridica sottesa al caso di specie, è importante evidenziare che le scale condominiali, ai sensi dell'art. 1117, n. 1 c.c., rientrano nel novero dei beni oggetto di proprietà comune e pertanto espressivi della condominialità del bene stesso; il Condominio acquista pertanto nei confronti di questi la qualifica di “custode”. Ad oggi, infatti, risulta ormai pacifico che la responsabilità del Condominio è riconducibile alla sfera normativa disciplinata dall'art. 2051 c.c., il quale dispone che «ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito». Tale fattispecie integra un'ipotesi di responsabilità oggettiva (e non una presunzione di colpa) essendo sufficiente per l'applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo, indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale della cosa stessa e perciò anche per le cose inerti, senza che pertanto rilevi al riguardo la condotta del custode e l'osservanza o meno dell'obbligo di vigilanza. In altre parole, il fondamento di tale responsabilità è la custodia, la quale è esclusa soltanto ove l'evento risulti imputabile ad un caso fortuito riconducibile al profilo causale, ovvero quando sussista un fattore esterno che, interferendo nella situazione in atto, abbia di per sé prodotto l'evento assumendo il carattere del cd. fortuito autonomo, ovvero quando la cosa sia stata resa fattore eziologico dell'evento dannoso da un elemento estraneo del tutto eccezionale (fortuito incidentale) e perciò imprevedibile. Se la prova liberatoria del custode consiste pertanto nella dimostrazione del caso fortuito, quale evento assolutamente imprevisto ed imprevedibile, idoneo di per sé a produrre l'evento lesivo (il fatto del terzo o dello stesso danneggiato), l'art. 2051 c.c. non dispensa il danneggiato dall'onere di provare il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno, ossia di dimostrare che l'evento sia prodotto quale normale conseguenza della peculiare condizione, particolarmente lesiva, posseduta dalla cosa. Posto ciò, è necessario un distinguo tra la responsabilità per danni cagionati da cosa in custodia, ove questa per sua natura sia di per sé idonea a sprigionare un'energia intrinseca alla sua struttura tale da provocare il danno, a cui consegue una responsabilità oggettiva, dall'ipotesi invece in cui si tratti di una cosa custodita di per sé statica o inerte. In quest'ultimo caso, è necessario per il verificarsi dell'evento dannoso, che l'agire umano si unisca al modo di essere della cosa, ciò comportando un diverso onere probatorio, precisamente, il nesso di causalità si considererà provato ove il danneggiato comprovi la pericolosità dello stato dei luoghi tali da rendere potenzialmente dannosa la normale utilizzazione della cosa in custodia, nonché, le modalità del sinistro. Nella presente pronuncia, ricadendo il caso in oggetto proprio nel tipo di quelli annoverabili in quest'ultima categoria, la prova liberatoria gravante sulla Sig. G. M. verteva sulla dimostrazione delle reali modalità di caduta, nonché dell'effettiva esistenza del materiale scivoloso sui gradini della scala condominiale, che affidava alla testimonianza del figlio, ritenuto però teste inattendibile. Tale ultimo assunto in ordine alla testimonianza del figlio giudicata non attendibile a fronte della qualifica dallo stesso ricoperta, invero, contrasta con quella parte della giurisprudenza che ammette invece la risarcibilità dei danni patiti dal condomino che cade dalle scale a causa della presenza su di esse di detriti, anche in assenza di qualsivoglia testimone. Ha così deciso la Suprema Corte di Cassazione con la sent. n. 9140/2013, la quale ribaltando i primi due gradi di giudizio che escludevano la responsabilità del Condominio non ritenendo sufficientemente provate le modalità della caduta (seppur accertata la presenza di detriti lungo le scale). Quindi la Cassazione accoglieva il ricorso della danneggiata, ravvisando il vizio di motivazione della sentenza “nell'aver escluso la sussistenza di nesso causale solo perché non v'erano testi che avessero assistito alle modalità della caduta (il che dipende esclusivamente dal caso), senza scrutinare se a diverse conclusioni potesse in ipotesi pervenirsi sulla scorta dell'apprezzamento di fatti idonei ad ingenerare presunzioni, così consentendo di inferire la ricorrenza del fatto ignoto (causa della caduta) da quello noto (presenza di materiali di risulta) alla luce delle nozioni di fatto comune esperienza, che integrano com'è noto una regola di giudizio». Osservazioni
È di solare evidenza come il proliferare dell'istituto del Condominio e la recente novella adottata in materia (L. 11 dicembre 2012, n. 220) abbia portato con sé una molteplicità di pronunce. Ebbene, va registrato che le casistiche maggiormente oggetto di dispute afferiscono la richiesta di risarcimento dei danni per la caduta di condomini o di soggetti terzi che si verificano all'interno dell'edificio per dissesti o, soprattutto, per la presenza di olio, detriti, fogliame, acqua o altri materiali, tali da renderle pericolose; situazioni queste frequentemente correlate alla mancata manutenzione dell'edificio. A fronte di tali sinistri, è opportuno evidenziare che il danneggiato da tali contingenze è certamente legittimato ad avanzare richiesta di risarcimento danni al Condominio, ai sensi dell'art 2051 c.c., trovando le sue pretese spesso ristoro nell'eventuale polizza assicurativa fabbricati, di cui lo stesso è solito avvalersi. Ciò detto, risulta però necessario che il danneggiato, prima di agire per far valere le proprie ragioni, proceda cautamente, valutando le circostanze in fatto essendo una tale responsabilità del Condominio sussistente alla necessaria presenza di due requisiti: da una parte l'alterazione della cosa tale da costituire un'insidia e dall'altra l'imprevedibilità e la conseguente inevitabilità del pericolo. Si consideri che nel momento in cui venga a meno l'imprevedibilità dell'evento dannoso, ad esempio nel caso in cui il condomino fosse a conoscenza della presenza del pericolo sulle scale dell'edificio, viene inevitabilmente meno anche il risarcimento del danno. A tali considerazioni, per completezza espositiva, si rinvia anche al dettato normativo dell'art. 1227, comma 1, c.c., applicabile anche in tema di responsabilità aquiliana a norma dell'art. 2056 c.c. e, concernente il fatto colposo del danneggiato, che si limita a fare applicazione alla colpa di quest'ultimo nel più generale principio di causalità, per cui il risarcimento del danno deve essere proporzionalmente ridotto in ragione dell'entità percentuale dell'efficienza causale del comportamento della vittima. |