Danno antitrust: nuove regole per il trasferimento del sovrapprezzo nel d.lgs. n. 3/2017Fonte: D.Lgs. 19 gennaio 2017 n. 3
28 Giugno 2017
Introduzione
Il 19 gennaio 2017 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il d.lgs. n. 3/2017. Questo decreto attua la direttiva 2014/104/UE in materia di azioni per il risarcimento del danno per violazioni del diritto della concorrenza. Il suo scopo è duplice: da un lato, l'Italia uniforma la disciplina del risarcimento del danno antitrust al nuovo standard europeo; dall'altro lato, l'Italia favorisce il coordinamento tra la nuova disciplina del private enforcement con i consolidati strumenti del public enforcement. Nel presente Focus verranno in particolare analizzate le norme dettate in materia di trasferimento del sovrapprezzo. In primo luogo si fornirà un quadro della ripartizione delle funzioni nella disciplina antitrust europea. In secondo luogo si descriverà il contenuto della nuova disciplina del sovrapprezzo, inquadrandone gli obiettivi. In terzo luogo si verificherà la rispondenza di questa disciplina agli obiettivi. Il public enforcement e il private enforcement in Europa
La tutela della concorrenza all'interno dell'Unione europea è affidata a due apparati: il public enforcement e il private enforcement. Con l'espressione public enforcement ci si riferisce all'applicazione della normativa antitrust da parte delle autorità pubbliche: tali sono, nell'Unione europea, sia la Commissione europea sia le autorità nazionali garanti della concorrenza, anche laddove l'iniziativa provenga dai privati. Con l'espressione private enforcement ci si riferisce invece all'applicazione del diritto antitrust nel contenzioso tra privati, davanti alle autorità giudiziarie degli Stati membri. Entrambi gli apparati sono chiamati ad applicare le norme che l'Unione europea si è data allo scopo di tutelare la competitività all'interno degli Stati membri. In particolare entrambi gli apparati applicano le norme che vietano le intese verticali e orizzontali restrittive della concorrenza, nonché le norme che vietano l'abuso di posizione dominante: trattatasi rispettivamente degli artt. 101 e 102 TFUE nell'ordinamento comunitario; e degli artt. 2 e 3 l. n. 287/1990 nell'ordinamento italiano. Le funzioni degli apparati in discorso sono però almeno parzialmente diverse. Per comprendere la portata del d.lgs. n. 3/2017 occorre preventivamente chiarire queste funzioni, dimodoché dalla nuova disciplina non vengano attesi risultati che non le appartengono. Una breve digressione sull'evoluzione della normativa antitrust in Europa appare quindi opportuna.
A) L'evoluzione dell'antitrust in Europa
Lo scopo della legislazione europea antitrust è tutelare la competizione, non i concorrenti. Questo dato è evidente già dalla lettura dell'art. 101 TFUE, il quale vieta gli accordi che «abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza». A questo scopo si aggiunge una considerazione per il benessere dei consumatori, quale emerge dal soft law. Così si afferma che l'obiettivo dell'art. 101 TFUE sia «tutelare la concorrenza sul mercato come strumento per incrementare il benessere dei consumatori e per assicurare un'allocazione efficiente delle risorse» (Linee direttrici sull'applicazione dell'art. 81, paragrafo 3, del trattato; 2004/C 101/08); e che l'obiettivo dell'art. 102 TFUE sia «garantire che le imprese dominanti non ostacolino lo svolgimento della concorrenza effettiva precludendo il mercato ai loro concorrenti in modo anticoncorrenziale con conseguenti effetti negativi per il benessere dei consumatori» (Orientamenti sulle priorità della Commissione nell'applicazione dell'art. 82 del trattato CE al comportamento abusivo delle imprese dominanti volto all'esclusione dei concorrenti; 2009/C 45/02). Questi due scopi si associano a due funzioni del diritto antitrust: da un lato una funzione preventiva o deterrente, dall'altro una funzione risarcitoria o compensativa. All'interno dell'Unione europea la funzione deterrente è assolta dal public enforcement; mentre il private enforcement governa le azioni di risarcimento del danno, quelle di nullità di contratti conclusi in violazione del diritto antitrust, e in parte le azioni inibitorie. Anche a queste azioni è però legato un marginale effetto deterrente. I due apparati non hanno goduto di uno sviluppo omogeneo e parallelo. Il public enforcement è l'apparato da sempre privilegiato all'interno dell'Unione europea. Un riflesso di questa disomogeneità può essere nuovamente colto dalla lettura della legislazione comunitaria. L'art. 105 TFUE, già nella sua formulazione del 1957, prevedeva che gli artt. 101 e 102 TFUE fossero applicati dalla Commissione, nulla dicendo delle autorità giudiziarie nazionali. La Corte di giustizia aveva peraltro presto chiarito che i giudici nazionali potessero applicare direttamente queste norme nei rapporti tra privati (C.G.UE 5 febbraio 1963, C-26/62). Il regolamento n. 17/1962, che per primo ha regolato l'applicazione di quelli che oggi sono gli artt. 101 e 102 TFUE, era incentrato sull'attività della Commissione. La stessa Corte di giustizia aveva imposto alle autorità giudiziarie nazionali di non adottare decisioni contrastanti con quelle della Commissione (Corte di giustizia 14.12.2000, C-344/98). Non stupisce quindi che nel 2004 il rapporto Ashurst qualificasse lo stato delle azioni di risarcimento danni in materia di antitrust come di “totale sottosviluppo”. Una prima valorizzazione del private enforcement in Europa si è avuta con il regolamento n. 1/2003, che ha autorizzato l'applicazione dell'art. 101, comma 3, TFUE anche da parte dei giudici nazionali (art. 1) e ha riconosciuto expressis verbis la competenza delle giurisdizioni nazionali ad applicare integralmente gli artt. 101 e 102 TFUE (artt. 3 e 6). Si sono poi susseguiti numerosi interventi in materia di risarcimento del danno: il Libro verde del 2005, il Libro bianco del 2008, e da ultimo la direttiva 2014/104/UE. In questo percorso il private enforcement europeo ha conservato intatta la sua funzione prevalentemente compensativa, nonostante le inclinazioni alla deterrenza manifestate nel Libro verde del 2005. Il private enforcement ha conservato però anche un ruolo subalterno rispetto al public enforcement: la stessa valutazione d'impatto della direttiva 2014/104/UE ha affermato che «this policy initiative aims to ensure that the Commission and NCAs can apply a policy of strong public enforcement of competition law, without this public enforcement being unduly affected by the private enforcement before national courts» (Impact assessment report, 11 giugno 2013, SWD(2013) 203, punto 70(i)). Questa dev'essere la chiave di lettura del d.lgs. n. 3/2017: la disciplina del risarcimento del danno antitrust ha scopo di compensazione, mentre lo scopo di prevenzione risulta ad esso subordinato.
B) Il modello americano
Il private enforcement non è necessariamente orientato a perseguire una funzione compensativa. Le azioni risarcitorie possono essere diversamente configurate per funzionare o sul piano del “management of risk”, al fine di evitare che l'illecito venga commesso; o sul piano del “management of consequence”, al fine di riparare il danno causato da un illecito che si sia già verificato. Vi sono ordinamenti che al private enforcement hanno assegnato prevalentemente una funzione deterrente: anzi è ben possibile che la funzione compensativa sia totalmente sacrificata sull'altare della ottimale deterrenza. Gli Stati Uniti, tra i pionieri del diritto antitrust con lo Sherman Act del 1890, rientrano nella categoria in discorso. In questa sede il modello americano è prezioso in quanto consente di osservare come venga risolto il problema del trasferimento del sovrapprezzo all'interno di un sistema di private enforcement a forte deterrenza. Negli Stati Uniti è previsto che in un'azione per risarcimento del danno antitrust all'attore venga liquidata una somma pari al triplo dei danni subiti (treble damages). Sul piano processuale esiste la pre-trial discovery, che impone alle parti di produrre tutti i documenti pertinenti alla vertenza, anche se contrari al proprio interesse; ed esistono azioni collettive opt-out, nelle quali il singolo ha l'onere di manifestare la volontà di non far parte del processo. Si anticipano qui le due principali regole statunitensi in materia di sovrapprezzo. Da un lato il convenuto non può sollevare un'eccezione di trasferimento del sovrapprezzo, con la quale opporre che l'attore abbia scaricato il sovrapprezzo sui propri clienti e quindi non abbia subito danni (Hanover Shoe rule formulata in Hanover Shoe Inc. v. United Shoe Machinery Corp., 392 U.S. 481 (1968)). Dall'altro lato l'acquirente indiretto del bene a cui sia stato applicato il sovrapprezzo non ha legittimazione attiva contro l'autore della violazione antitrust (Illinois Brick rule formulata in Illinois Brick Co. v. State of Illinois, 431 U.S. 720 (1977)). Si noti che l'applicazione congiunta delle regole appena enunciate comporta che l'acquirente diretto, pur avendo trasferito integralmente il sovrapprezzo sui propri clienti, abbia diritto di ottenere dall'autore dell'illecito il triplo del sovrapprezzo; mentre gli acquirenti indiretti, su cui è stato trasferito il danno, non sono legittimati al risarcimento. Il rigore di queste regole è stato peraltro nel tempo attenuato. Così sotto il primo profilo sono state consentite deroghe all'esclusione dell'eccezione di trasferimento, ad esempio quando l'acquirente diretto sia controllato dall'autore dell'illecito o quando tra l'acquirente diretto e l'acquirente indiretto sia stato stipulato prima dell'illecito un contratto “fixed-markup, fixed-quantity” o un contratto “fixed-quantity, cost-plus”; sotto il secondo profilo diversi Stati hanno comunque previsto nella loro legislazione che gli acquirenti indiretti potessero chiedere il risarcimento dei danni. Nondimeno, il modello americano conserva caratteri ben distinti da quello europeo, con ciò consentendo di apprezzarne i risultati in chiave comparatistica.
La normativa sul trasferimento del sovrapprezzo
A) Il trasferimento del sovrapprezzo
La struttura dei mercati è caratterizzata da una serie di rapporti verticali tra operatori che complessivamente formano una catena. Attraverso questa catena il livello produttivo viene collegato a quello distributivo. I benefici e i costi che si verificano al livello produttivo della catena influenzano i livelli successivi. Secondo questa definizione il trasferimento (passing-on) è dunque un fenomeno economico neutro: prezzi inferiori, qualità dei beni, innovazioni, sovrapprezzi, inefficienze possono tutti transitare ai livelli sottostanti. In particolare le imprese che facciano parte di un cartello (ma anche un'impresa in posizione dominante) possono accordarsi per alzare il prezzo dei propri prodotti: in questo modo si genera un sovrapprezzo, costituito dalla differenza tra il prezzo praticato dalle imprese a seguito dell'accordo e il prezzo che avrebbero praticato in assenza dell'illecito. Per quanto qui interessa è possibile che il sovrapprezzo derivante da una violazione antitrust venga trasferito dal primo acquirente a quello successivo e così fino alla fine della catena, ossia generalmente fino al consumatore. Il sovrapprezzo può essere trasferito in tutto o in parte. Si noti che il sovrapprezzo possa incidere su un fattore della produzione che non viene materialmente incorporato nel prodotto finale: così ad esempio per i forni nel caso di una panetteria, laddove il sovrapprezzo viene da ultimo traslato sul costo del pane. Dal trasferimento del sovrapprezzo nascono due questioni. Occorre chiedersi in primo luogo se chi ha violato le norme antitrust possa eccepire che l'attore abbia trasferito il sovrapprezzo al livello inferiore della catena, così di fatto eliminando o riducendo il suo danno. In secondo luogo occorre chiedersi se l'acquirente indiretto, su cui il primo acquirente dall'autore dell'illecito antitrust abbia trasferito il sovrapprezzo, sia legittimato a chiedere la condanna dell'autore dell'illecito antitrust al risarcimento del sovrapprezzo trasferito. Vediamo ora quali risposte abbia dato l'Unione europea alle suddette questioni e alle problematiche connesse.
B) La direttiva 2014/104/UE
a) La legittimazione degli acquirenti indiretti
La direttiva 2014/104/UE si occupa anzitutto della legittimazione attiva. Sin dal considerando n. 3 afferma la necessità che “chiunque, compresi consumatori e imprese o autorità pubbliche, possa richiedere un risarcimento dinanzi alle autorità giudiziarie nazionali per i danni subiti”. Il considerando n. 13 è ancora più esplicito: «Il diritto al risarcimento è riconosciuto a ogni persona fisica o giuridica […] a prescindere dall'esistenza di un rapporto contrattuale diretto con l'impresa autrice della violazione». L'art. 3 prescrive poi che il risarcimento del danno spetti a «qualsiasi persona fisica o giuridica che abbia subito un danno causato da una violazione del diritto della concorrenza». Il risarcimento deve comprendere il danno emergente, il lucro cessante e gli interessi. Sono invece escluse sovra-compensazioni nella forma dei risarcimenti punitivi o multipli. Allo stesso modo per l'art. 12 il risarcimento del danno può essere «chiesto da chiunque lo abbia subito, indipendentemente dal fatto che si tratti di acquirenti diretti o indiretti dell'autore della violazione». In sintesi la direttiva ammette che anche gli acquirenti indiretti siano legittimati a chiedere il risarcimento di tutti i danni subiti, e solo dei danni subiti. Questa norma codifica un principio già espresso dalla Corte di giustizia nelle sentenze Courage (C.G.UE 20 settembre 2001, C-453/99) e Manfredi (C.G.UE, 13 luglio 2006, da C-295/04 a C-298/04), secondo cui «chiunque ha il diritto di chiedere il risarcimento del danno subito quando esiste un nesso di causalità tra tale danno e un'intesa o pratica vietata». È però opportuno segnalare che entrambe le sentenze avessero ad oggetto azioni intentate da acquirenti diretti.
b) Il favor per gli acquirenti indiretti
L'Unione europea ha ritenuto che per l'acquirente indiretto sia molto difficile provare sia che l'acquirente diretto abbia trasferito il sovrapprezzo sia la misura del trasferimento: così il considerando n. 41 della direttiva. Gli acquirenti indiretti sono peraltro vittime di un'asimmetria informativa rispetto all'autore dell'illecito. In questo quadro l'art. 14 ha stabilito una presunzione relativa secondo la quale il trasferimento del sovrapprezzo all'acquirente indiretto dovrebbe ritenersi dimostrato quando l'attore abbia provato: a) la violazione del diritto della concorrenza da parte del convenuto; b) il sovrapprezzo per l'acquirente diretto; c) l'acquisto dall'acquirente diretto di beni o servizi oggetto della violazione. Si noti che per l'art. 14, comma 1, incomba all'attore l'onere di dimostrare «l'esistenza e la portata di tale trasferimento». Il comma 2 dovrebbe far presumere l'esistenza del trasferimento, alle condizioni indicate. Nulla si dice invece della “portata”, cosicché l'onere della sua prova dovrebbe restare a carico dell'attore. L'ultimo periodo del comma 2 sembra però suggerire, contraddittoriamente, che l'intero sovrapprezzo debba presumersi trasferito: il convenuto deve infatti dimostrare che «il sovrapprezzo non è stato trasferito, o non è stato trasferito interamente». Il considerando n. 41 e l'art. 12, comma 5 prevedono in ogni caso che il giudice nazionale possa “stimare” la parte del sovrapprezzo trasferita.
c) La quantificazione del danno
Sul piano della quantificazione del danno si pongono almeno due problemi. In primo luogo l'acquirente indiretto dovrebbe provare l'entità del sovrapprezzo gravante sull'acquirente diretto. In secondo luogo, per coerenza rispetto all'obiettivo di evitare risarcimenti multipli di cui all'art. 3, occorrerebbe impedire che ciascun livello della catena possa ottenere dall'autore dell'illecito antitrust l'intero sovrapprezzo. La direttiva 2014/104/UE affronta il primo problema con l'art. 17, che in ossequio al principio di effettività del diritto europeo consente al giudice di stimare il danno quando questo sia certo benché di difficile o impossibile esatta quantificazione. Si presume inoltre che un cartello causi danno; e a loro volta le decisioni definitive delle autorità garanti della concorrenza e dei giudici del ricorso dello Stato membro in cui si celebra il processo diventano vincolanti quanto all'accertamento della violazione (quelle delle autorità di altri Stati membri costituiscono invece solamente prove “prima facie”) (art. 9). Infine il giudice può chiedere l'assistenza dell'autorità nazionale garante della concorrenza nella quantificazione del danno. Il secondo problema è affrontato dalla direttiva 2014/104/UE con l'art. 15, laddove si impone ai giudici di valutare l'assolvimento della prova del danno in correlazione con i procedimenti e le decisioni concernenti lo stesso illecito, rispettivamente avviati od ottenute da attori collocati ad altri livelli della catena di approvvigionamento.
d) L'eccezione di trasferimento
La direttiva 2014/104/UE ammette l'eccezione di trasferimento del sovrapprezzo nel suo art. 13. Come illustrato dal considerando n. 39, si tratta di una soluzione coerente con la funzione compensativa che il risarcimento è chiamato a svolgere: secondo la visione della direttiva, se l'acquirente diretto ha traslato il sovrapprezzo sui propri clienti, il sovrapprezzo non dovrebbe più rappresentare un danno per l'acquirente diretto. L'onere di provare che il sovrapprezzo sia stato trasferito grava sul convenuto.
C) Il d.lgs. n. 3/2017
Il d.lgs. n. 3/2017 riproduce senza grandi alterazioni il dettato della direttiva 2014/104/UE. I commentatori della direttiva avevano avvertito che in sede di recepimento il legislatore italiano avrebbe dovuto svolgere un lavoro attento, diverso “da una semplice trascrizione della Direttiva in un testo normativo di cittadinanza italiana, ma di idioma apolide” (G. VILLA, La direttiva europea sul risarcimento del danno antitrust: riflessioni in vista dell'attuazione, in Corriere Giur., 2015, 3, p. 301 ss.). Occorre prendere atto che ciò non sia avvenuto. La legittimazione attiva è estesa a “chiunque ha subito un danno” (art. 1), “indipendentemente dal fatto che si tratti di acquirente diretto o indiretto dell'autore della violazione” (art. 10). Sono escluse “sovracompensazioni” (art. 1). L'art. 7 rende vincolanti le decisioni non più impugnabili dell'AGCM e le sentenze passate in giudicato del giudice del ricorso. L'art. 12 prevede che l'acquirente indiretto debba provare l'esistenza e la portata del trasferimento; che il trasferimento si presuma alle condizioni previste dalla direttiva; e che il convenuto possa provare che il sovrapprezzo non è stato trasferito in tutto o in parte. L'art. 13 prevede che il giudice possa tenere conto delle azioni e decisioni intentate da altri attori che si trovino su livelli diversi della catena di approvvigionamento. L'art. 14 prevede che il danno sia valutato ai sensi degli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c. (e quindi anche in via equitativa); che il danno si presuma una volta accertata l'esistenza di un cartello; e che il giudice possa farsi assistere dall'autorità garante della concorrenza nella quantificazione del danno. Infine l'art. 11 ammette l'eccezione di trasferimento, con onere della prova a carico del convenuto. Compensazione integrale e deterrenza
Si svolgeranno ora alcune considerazioni sull'idoneità delle norme introdotte dal d.lgs. n. 3/2017 a perseguire gli obiettivi prefissati. Non verranno trattati i profili più strettamente processualistici del decreto legislativo. Questi profili sul piano sistematico sono peraltro tutt'altro che secondari, se si riconosce che le norme recepite dall'Italia mettono in discussione “nientemeno che la teoria del giudicato, e dei suoi limiti oggettivi e soggettivi” (B. CAVALLONE, Azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie: problemi dell'istruzione probatoria, in http://ec.europa.eu/competition/antitrust/actionsdamages/white_paper_comments/unimil_it.pdf, p. 10).
A) La compensazione integrale
a) Le novità rispetto al passato
Scopo della direttiva 2014/104/UE (e quindi del d.lgs. n. 3/2017) è innanzitutto quello di garantire “che i soggetti danneggiati da infrazioni delle norme UE sulla concorrenza possano ottenere un pieno risarcimento per il danno subito” (Proposta di direttiva dell'11 giugno 2013, COM(2013) 404, par. 1.2). Questa esigenza nasce dal fatto che, nonostante le sentenze Courage e Manfredi, le vittime degli illeciti antitrust non riescano a esercitare in modo effettivo il loro diritto al risarcimento. Sarebbe pertanto legittimo attendersi delle innovazioni rispetto a una disciplina pregressa riconosciuta inidonea a risarcire le vittime. In realtà, quantomeno per l'Italia, le novità sono poche e marginali. Quanto all'ammissibilità della legittimazione attiva degli acquirenti indiretti non pare che le norme italiane pongano soverchi ostacoli. La nostra giurisprudenza ha innanzitutto da tempo superato l'orientamento che escludeva una legittimazione dei consumatori a far valere le violazioni del diritto antitrust (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 4 febbraio 2005, n. 2207). Inoltre perché sussista la legittimazione attiva è sufficiente che l'attore, nel chiamare in giudizio il convenuto, affermi l'esistenza di “un rapporto sostanziale di cui egli e il convenuto sono rispettivamente il soggetto attivo ed il soggetto passivo” (Cass. civ., 10 gennaio 2008, n. 355). In altre parole è sufficiente che l'acquirente indiretto citi il convenuto dichiarando di aver subito un danno a causa del suo illecito perché sussista la legittimazione attiva. Altro è poi verificare in concreto se l'acquirente indiretto abbia subito il danno, l'entità di tale danno e il nesso causale tra l'illecito e il danno. Quanto all'entità del danno, si osserva che nel nostro ordinamento giuridico i danni punitivi siano considerati contrari all'ordine pubblico (cfr. Cass. civ., 19 gennaio 2007, n. 1183); e che la possibilità di liquidare il danno in via equitativa, allorché la sua quantificazione risulti impossibile o eccessivamente difficile, sia prevista dallo stesso art. 1226 c.c. richiamato dall'art. 14 d.lgs. n. 3/2017, nonché da costante giurisprudenza di legittimità (tra le tante, cfr. Cass. civ., 8 gennaio 2016, n. 127). Nulla di nuovo quindi. Quanto al valore probatorio delle decisioni delle autorità garanti della concorrenza (e delle sentenze del giudice amministrativo), ferme le perplessità in ordine ai limiti del giudicato, la Corte di cassazione aveva già assegnato loro il valore di “prova privilegiata”, che poteva essere rimessa in discussione solamente in base ad argomentazioni o documenti diversi da quelli esaminati nelle decisioni in discorso (cfr. Cass. civ., 20 giugno 2011, n. 13486). Di più, secondo parte della dottrina l'orientamento della Corte di cassazione varrebbe anche per le decisioni non definitive (così G. Bruzzone – A. Saija, Verso il recepimento della direttiva sul private enforcement del diritto antitrust, in Concorrenza e mercato, 2014, p. 261), non interessate dalla direttiva. Si ricordi inoltre che le decisioni della Commissione erano comunque già vincolanti per il giudice nazionale ai sensi dell'art. 16 regolamento n. 1/2003 (e in ossequio alla sentenza C.G.UE. 14 dicembre 2000, C-344/98). Quanto all'eccezione di trasferimento, non ne è mai stato impedito l'esercizio in Italia. Anzi nei due più noti provvedimenti editi nella nostra giurisprudenza in materia questa eccezione è stata esperita con successo (ci riferiamo ad App. Cagliari, 23 gennaio 1999, in Giur. it., 2000, p. 346 ss. e ad App. Torino, 6 luglio 2000, in Danno e Resp., 2001, 1, p. 46 ss.). Né costituisce novità per il nostro ordinamento che l'onere di provare il fondamento dell'eccezione gravi su chi pretende di avvalersene. Si tratta semplicemente della ripartizione dell'onere della prova di cui all'art. 2697, comma 2 c.c.. La stessa giurisprudenza della Corte di giustizia già da tempo consente l'eccezione di trasferimento in materia tributaria, e stabilisce che l'onere della prova gravi sull'amministrazione convenuta che sollevi tale eccezione (C.G.UE., 2 ottobre 2003, C-147/01). Potrebbe piuttosto apparire innovativa la scelta di presumere che un cartello determini un danno e che l'acquirente diretto trasferisca il sovrapprezzo a valle: in effetti queste circostanze dovrebbero essere dimostrate dall'attore secondo l'art. 2697 c.c.. La novità della soluzione è però smorzata sul piano pratico da due considerazioni: da un lato è appurato che nel 93% dei casi un cartello generi un sovrapprezzo (v. la valutazione d'impatto della direttiva 2014/104/UE, par. 94; e la Guida pratica della Commissione sulla quantificazione del danno antitrust dell'11 giugno 2013, SWD(2013) 205, par. 142); dall'altro lato l'analisi economica dimostra che nel lungo periodo all'interno di un mercato concorrenziale il sovrapprezzo viene sempre e integralmente traslato sui consumatori, e che in realtà nella maggioranza dei casi il sovrapprezzo viene traslato alla base già nel breve periodo (R.G. HARRIS – L.A. SULLIVAN, Passing On the Monopoly Overcharge: a Comprehensive Policy Analysis, in University of Pennsylvania Law Review, 1979, p. 290). Il giudice quindi, sulla base delle leggi economiche e della documentazione prodotta, avrebbe già potuto avvalersi di una presunzione semplice ex art. 2729 c.c. per ritenere che le circostanze in esame si fossero verificate. In effetti è la stessa Corte di cassazione a propugnare questa interpretazione: “Il giudice, attraverso presunzioni probabilistiche, può desumere il legame eziologico tra comportamento anticoncorrenziale e danno lamentato” (Cass. civ., 30 maggio 2014, n. 12186). Se dovessimo misurare l'idoneità del d.lgs. n. 3/2017 a compensare le vittime sulla base della sua distanza rispetto alla disciplina pregressa, dovremmo ammettere che il decreto non soddisfa la sua funzione. Tuttavia è possibile che la disciplina italiana pregressa fosse già idonea a risarcire integralmente le vittime: è dunque possibile che non fossero desiderabili modifiche alla disciplina italiana. Occorre allora proseguire nell'indagine.
b) Opportunità della legittimazione attiva degli acquirenti indiretti e dell'eccezione di trasferimento
Dobbiamo chiederci a questo punto se consentire agli acquirenti indiretti di esercitare azioni per il risarcimento dei danni antitrust aumenti o diminuisca le probabilità che il danno venga integralmente risarcito. La risposta potrebbe sembrare ovvia: se il sovrapprezzo viene ordinariamente traslato a valle, impedire agli acquirenti indiretti di ottenere il risarcimento significa rinunciare a un'alta percentuale del danno causato. In realtà vi sono alcuni argomenti che contrastano questa tesi. Il presupposto di questi argomenti è che la legittimazione degli acquirenti indiretti e l'eccezione di trasferimento vadano di pari passo: se si ammette l'una si deve ammettere anche l'altra, se si nega l'una si deve per coerenza negare anche l'altra. Infatti è chiaro che, se si ammette la legittimazione degli acquirenti indiretti, per evitare una moltiplicazione dei danni è necessario consentire l'eccezione di trasferimento; e per converso se si nega la legittimazione degli acquirenti indiretti, consentire l'eccezione di trasferimento significa rinunciare istituzionalmente a risarcire i danni. Il primo argomento muove dall'eliminazione dell'eccezione di trasferimento ed è il seguente. Si sostiene che se l'acquirente diretto potesse attendersi con un buon grado di certezza il risarcimento in giudizio di tutto il sovrapprezzo, allora potrebbe ridurre la stima del costo marginale del prodotto da lui venduto e per corollario potrebbe non alzarne il prezzo (W.M. LANDES – R.A. POSNER, Should Indirect Purchasers Have Standing To Sue Under The Antitrust Laws? An Economic Analysis of the Rule of Illinois Brick, in The University of Chicago Law Review, 1979, pp. 605-606). In sostanza, confidando di poter recuperare integralmente il sovrapprezzo, l'acquirente diretto sarebbe incentivato a non traslare tale sovrapprezzo a valle. In questo modo l'entità del danno resterebbe la stessa (per semplicità, sarebbe pari al sovrapprezzo), ma gli acquirenti indiretti non ne sarebbero le vittime (o lo sarebbero solo marginalmente). L'incentivo per l'acquirente diretto a non traslare il sovrapprezzo è per un certo verso confermato dalla teoria economica. La possibilità di trasferire il sovrapprezzo a valle è stabilita in funzione (tra l'altro) dell'elasticità della curva della domanda, ossia della variazione percentuale della quantità di prodotti acquistati in rapporto alla variazione del prezzo: più il prezzo è alto, più la domanda si abbassa. Se l'elasticità della domanda è alta (essenzialmente, se vi sono tanti concorrenti sul mercato), anche un piccolo aumento del prezzo diminuisce drasticamente le unità vendute. Pertanto se l'elasticità della domanda è alta, l'acquirente diretto può traslare il sovrapprezzo a valle solo se tutti i concorrenti sul suo mercato fanno altrettanto; diversamente l'impresa finirebbe fuori mercato. Di conseguenza, è sufficiente che uno solo degli acquirenti diretti decida di non trasferire il sovrapprezzo per costringere tutti gli altri a seguire il suo esempio. Il vantaggio della costruzione che esclude la legittimazione degli acquirenti indiretti è che solo l'acquirente diretto agirebbe per il risarcimento del danno; e l'acquirente diretto, per la sua vicinanza all'autore dell'illecito, è il soggetto che si trova nella posizione migliore per scoprire la violazione e fornire le prove. In questo quadro aumentano le probabilità che il danno sia complessivamente risarcito. Il secondo argomento si basa sui costi. Gli acquirenti indiretti (in ipotesi i consumatori) sopportano complessivamente la maggior parte del danno quando il sovrapprezzo viene trasferito. Individualmente però il danno è modesto: potrebbe trattarsi di un aumento dell'1-2% del prezzo del bene finale, pure a fronte di un sovrapprezzo originario del 10% su uno dei fattori di produzione. In questo contesto dal punto di vista del singolo consumatore i costi per scoprire l'infrazione e per perseguirla nei tribunali rischiano di essere molto superiori ai possibili danni risarcibili. Ciò conduce ad una “rational apathy”, che disincentiva il singolo consumatore ad agire in giudizio. Una risposta a questo problema potrebbero essere le azioni collettive. Ad oggi tale istituto non ha però avuto alcuna fortuna nel nostro ordinamento, come ci ricorda Massimo Scuffi: «Le azioni collettive almeno sul piano antitrust hanno comunque trovato scarsa applicazione in Italia« (M. SCUFFI, Riflessioni a margine della dir. 104/2014 (e del d.lgs. 3/2017) sull'azione di classe, in Dir. Ind., 2017, 1, p. 5 ss.). Peraltro le azioni collettive sarebbero limitate ai consumatori; ma non tutti gli acquirenti indiretti su cui è stato traslato il sovrapprezzo, lungo la catena di approvvigionamento, sono consumatori. A ciò si aggiunga che la configurazione delle azioni collettive italiane come azioni opt-in, a cui il consumatore deve aderire, mal si concili con la summenzionata “rational apathy”. Il risultato è che gli acquirenti diretti non possono agire, non avendo subito danni, mentre gli acquirenti indiretti non sono incentivati ad agire, avendo subito individualmente un ammontare marginale di danno: in conclusione il danno causato dall'illecito antitrust rimane non risarcito. Il terzo argomento ruota attorno al concetto di compensatio lucri cum damno e considera che il danno da sovrapprezzo non venga eliminato (quantomeno sul piano giuridico) dal suo trasferimento a valle. Secondo la nostra giurisprudenza il convenuto potrebbe eccepire che il danno sia stato compensato da un vantaggio solo quando il danno e il vantaggio siano «entrambi conseguenza immediata e diretta» dello stesso fatto, e non invece «quando il fatto generatore del pregiudizio patrimoniale subito dal creditore sia diverso da quello che invece gli abbia procurato un vantaggio» (Cass. civ., Sez. Un., 25 novembre 2008, n. 28056). Il sovrapprezzo applicato dall'autore della violazione e il trasferimento di questo sovrapprezzo non sono però frutto dello stesso fatto; e soprattutto il trasferimento non è conseguenza immediata e diretta dell'illecito antitrust. L'acquirente diretto ha subito il danno quando ha acquistato i prodotti dall'autore dell'illecito; e si è poi dovuto attivare per cercare di traslare il costo a valle. L'acquirente diretto è verosimilmente costretto a dover trattare con i propri clienti e deve quindi compiere diversi sforzi per trasferire il sovrapprezzo. In questo quadro non sembra corretto che l'autore dell'illecito possa giovarsi degli sforzi dell'acquirente diretto per ridurre o eliminare un danno che è stato effettivamente patito. Come osserva la dottrina, se si confutasse questo argomento, dovrebbe coerentemente negarsi il risarcimento a chi abbia subito una lesione che sia poi guarita con l'intervento di un medico (J. DREXL – B. CONDE GALLEGO – S. ENCHELMAIER – M.O. MACKERODT – R. PODSZUN, Comments of the Max Planck Institute for Intellectual Property, Competition and Tax Law on the White Paper by the Directorate-General for Competition of April 2008 on Damages Actions for Breach of the EC Antitrust Rules, in http://ec.europa.eu/competition/antitrust/actionsdamages/white_paper_comments/maxpl_en.pdf, p. 12). Consentire l'eccezione di trasferimento del sovrapprezzo significa pertanto estendere il principio della compensatio lucri cum damno a casi ai quali questo non dovrebbe applicarsi. In definitiva non sembra che la soluzione adottata dal d.lgs. n. 3/2017 garantisca il risarcimento integrale del danno. Ed è peraltro da segnalare la previsione dell'art. 10 comma 2, secondo cui «il risarcimento del danno emergente cagionato dall'autore della violazione ad un dato livello della catena di approvvigionamento non supera il danno da sovraprezzo subito a tale livello». Non è chiaro come questa norma possa essere applicata, né si comprende la ratio di una disposizione che limiti il danno emergente al sovrapprezzo, escludendo altre e pur sempre possibili fonti di danno emergente.
c) Il nesso causale e l'umbrella effect
La direttiva 2014/104/UE e il d.lgs. n. 3/2017 non si occupano del nesso causale: il considerano n. 11 della direttiva lo chiarisce in modo netto. Questa omissione potrebbe indurre a credere che l'attuale disciplina del nesso causale in materia di antitrust sia già sufficiente a risarcire tutti i danni. In realtà il nesso causale “rischia di essere il punto di caduta dell'intera impalcatura sul private antitrust enforcement” (E. CAMILLERI, Il trasferimento del sovrapprezzo anticoncorrenziale nella direttiva 2014/104/UE, in AIDA, 2015, p. 37). Una recente sentenza del Tribunale di Torino ha rigettato la domanda di risarcimento di un acquirente indiretto, benché tale domanda fosse supportata da una decisione dell'AGCM sull'accertamento dell'illecito, proprio in ragione della mancata dimostrazione del nesso causale (si tratta di Trib. Torino, 31 marzo 2015, in Contratti, 2015, 12, p. 1109 ss. con nota di F. MEZZANOTTE, Sul private enforcement del diritto antitrust (in vista del recepimento della dir. 2014/104/UE) – Il commento). Un illecito antitrust causa danni a una vasta cerchia di soggetti. Poniamo l'esempio di un cartello di fissazione del prezzo che crei un sovrapprezzo. In questo caso vengono danneggiati i clienti del cartello, che pagano il sovrapprezzo. Vengono danneggiati gli acquirenti indiretti su cui viene trasferito il sovrapprezzo. Vengono danneggiati gli acquirenti diretti e indiretti che non acquistano il bene a causa del sovrapprezzo o che ne acquistano una minore quantità. Vengono danneggiati i clienti di imprese che, pur non facendo parte del cartello, abbiano alzato il proprio prezzo sfruttando l'altrui condotta illecita. Vengono danneggiati i produttori di beni o servizi complementari al prodotto su cui è stato applicato il sovrapprezzo: ciò in quanto quando il prezzo si alza la domanda diminuisce, e diminuendo la domanda del prodotto su cui è stato applicato il sovrapprezzo diminuisce anche la domanda di tutti i prodotti complementari. Vengono danneggiati anche i dipendenti e gli azionisti di tutte le imprese che operano a valle dell'autore dell'illecito. Nel giudizio per il risarcimento dei danni antitrust si pongono due problemi: provare che il danno (in ipotesi il sovrapprezzo) sia stato causato dall'illecito antitrust e non da altre circostanze (causalità naturale o materiale); verificare se il danno sia risarcibile, ossia se esso sia effetto normale e regolare del fatto del danneggiante (causalità giuridica). Nella giurisprudenza italiana attualmente prevale la regola della preponderanza dell'evidenza o “del più probabile che non” (Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 581). Quanto al nesso causale del danno da sovrapprezzo per l'acquirente diretto, la presunzione che il cartello causi un danno e il valore vincolante delle decisioni delle autorità garanti della concorrenza non sono di particolare utilità. Chi scrive assume che nel nostro ordinamento giuridico non possa trovare cittadinanza un danno in re ipsa, per il cui risarcimento sarebbe sufficiente accertare l'illecito; né potrebbe soccorrere la liquidazione equitativa, che rappresenta comunque una rinuncia al risarcimento integrale. Resterebbe allora in primo luogo da dimostrare l'entità del danno, la cui esistenza è presunta; e in secondo luogo si dovrebbe isolare la parte di danno causata dall'illecito da quella originata da altri fattori. In queste attività siamo facilitati dal fatto che il più delle volte gli stessi strumenti utilizzati per calcolare l'entità del danno possono essere utilizzati per isolare l'incidenza dell'illecito antitrust: si tratta delle analisi controfattuali o “but-for tests”. L'acquirente diretto si trova peraltro nella posizione migliore per dimostrare il danno e il nesso causale, essendo a diretto contatto con l'autore dell'illecito. Per l'acquirente diretto l'attuale sistema potrebbe già essere sufficiente per ottenere il risarcimento del danno. Non possiamo dire lo stesso per gli acquirenti indiretti. Allontanandosi dal fatto generatore del danno aumentano i fattori che potrebbero aver inciso sul prezzo, e così diventa più difficile per l'attore dimostrare il nesso causale. Questa difficoltà era stata presa in considerazione dalla proposta di direttiva dell'11 giugno 2013. In questa sede l'art. 12 prevedeva che l'autore della violazione non potesse sollevare l'eccezione di trasferimento quando i danneggiati ai livelli successivi della catena di commercializzazione si fossero trovati “nell'impossibilità giuridica di chiedere un risarcimento”. Questa norma è stata eliminata nella direttiva 2014/104/UE, ma nessuna soluzione alternativa è stata prospettata. Il problema quindi resta. Il problema è peraltro tanto più serio se si riconosce che il sovrapprezzo viene nella maggior parte dei casi trasferito agli acquirenti indiretti, e sono quindi proprio gli acquirenti indiretti a subire la maggior parte del danno, benché per essi la prova del nesso causale sia particolarmente onerosa. Quanto ad azionisti e dipendenti, il risarcimento dovrebbe essere escluso in applicazione delle regole sulla causalità giuridica. Alla stessa conclusione dovrebbe condurre la teoria dello scopo della norma violata, che seleziona i soggetti che hanno diritto al risarcimento tra quelli che la norma è finalizzata a proteggere. Lo scopo delle norme antitrust è proteggere la competitività nel mercato, non invece eliminare i rischi connessi al mercato del lavoro. Poiché la direttiva non interviene sul punto, questi soggetti sono destinati a subire un danno che non verrà risarcito. Quanto ai produttori di beni complementari si presentano criticità sia sul piano della causalità naturale, sia su quello della causalità giuridica. Sotto il primo profilo, l'attore dovrebbe provare che, in assenza dell'illecito, i suoi clienti avrebbero acquistato una quantità maggiore dei propri beni. Sotto il secondo profilo, occorre chiedersi se i danni in discorso possano considerarsi “conseguenza immediata e diretta” dell'illecito, così come esige l'art. 1223 c.c.. Queste criticità rischiano di escludere il risarcimento dei produttori di beni complementari. Di particolare interesse è il danno causato dalle imprese che, pur non facendo parte del cartello, abbiano approfittato dell'illecito antitrust per alzare il prezzo dei propri prodotti: si parla a riguardo di “umbrella effect”. Siamo in effetti in presenza del medesimo danno causato dagli aderenti al cartello. L'imprenditore che non faccia parte del cartello, non commettendo alcun illecito, non può però essere condannato al risarcimento. Ci si deve chiedere allora se la vittima possa agire direttamente contro i membri del cartello. Nonostante il silenzio della direttiva, la dottrina ha ben argomentato in favore della risarcibilità: in assenza dell'illecito antitrust l'umbrella effect non si sarebbe potuto verificare, quantomeno in un mercato concorrenziale; il danno concretizza il rischio che la norma intende prevenire, ossia la lesione del carattere competitivo del mercato; e in ogni caso lo sfruttamento dell'illecito da parte degli altri concorrenti rappresenta un evento facilmente prevedibile (L. CASTELLI, La causalità giuridica nel campo degli illeciti anticoncorrenziali, in Danno e Resp., 2013, 11, p. 1049 ss.). Questa tesi trova oggi l'avallo della Corte di giustizia. Così la sentenza Kone: «La vittima di un prezzo di protezione (‘umbrella pricing') può ottenere il risarcimento del danno subito ad opera degli aderenti ad un'intesa, ancorché non abbia intrattenuto vincoli contrattuali con loro, laddove risulti accertato che, alla luce delle circostanze di specie e, segnatamente, delle peculiarità del mercato interessato, detta intesa fosse tale da poter incidere sull'applicazione di un prezzo di protezione da terzi agenti autonomamente e che tali circostanze e peculiarità non potessero essere ignorate dai membri dell'intesa medesima» (C.G.UE, 5 giugno 2014, C-557/12). In conclusione possiamo ritenere che l'attuale disciplina del nesso causale non favorisca l'integrale risarcimento del danno. Gli acquirenti diretti, in ipotesi anche quelli che siano rimasti vittima dell'umbrella effect, potrebbero dimostrare il nesso causale e quindi ottenere un risarcimento. Tuttavia la maggior parte del danno viene attualmente riversata sugli acquirenti indiretti, che incontrano notevoli difficoltà nel dimostrare il nesso causale. La direttiva e il decreto legislativo, dopo averne legittimato l'azione, non agevolano in alcun modo questi soggetti nella dimostrazione del nesso causale. Conseguenza di questo sistema è che l'autore dell'illecito non sia condannato al risarcimento integrale del danno. La soluzione dell'impasse potrebbe risiedere in una più complessa riforma della responsabilità civile, che prenda le mosse dal riconoscimento della “tipicità” dell'illecito antitrust: non mancano in dottrina i primi spunti a riguardo (v. l'ampia dissertazione di G. ALPA, Illecito e danno antitrust. Un dialogo tra le corti nazionali e la Corte di giustizia dell'Unione europea, in Contratto e Impr., 2015, 6, p. 1227 ss.).
d) Il deadweight loss
Si è già osservato che, in caso di innalzamento del prezzo in conseguenza di un illecito antitrust, alcuni soggetti patiscano un danno poiché non sono più disposti ad acquistare il bene. Per gli acquirenti indiretti che siano a loro volta imprenditori il mancato acquisto di un bene si traduce in una perdita di profitto e dunque in un lucro cessante. Per i consumatori invece, che per definizione non lucrano sul bene che acquistano, il mancato acquisto del bene si traduce in una perdita di benessere. Questa perdita viene definita come “deadweight loss”. Sinora l'Unione europea non si è occupata del risarcimento di tale tipologia di danno. Se ne può trovare solamente una menzione nella Guida pratica della Commissione sul risarcimento del danno antitrust (che non è però vincolante); e in modo più generico nell'illustrazione della proposta di direttiva, laddove si precisa che nella nozione di danno sia compreso ogni “tipo di danno (materiale o immateriale)”. Gli studi dimostrano che questa tipologia di danno sia pressoché ignorata anche dai tribunali: il consumatore che non abbia acquistato il prodotto perché troppo costoso non viene oggi risarcito (cfr. C.R. LESLIE, Antitrust damages and deadweight loss, in The Antitrust Bulletin, 2006, p. 527 ss.). Eppure i consumatori che non acquistano il bene sono danneggiati tanto quanto i consumatori che acquistano il bene pagando il sovrapprezzo, anzi lo sono forse in misura addirittura maggiore. Inoltre questo danno colpisce le fasce sociali più deboli, che potrebbero non essere in grado di trovare alcun prodotto sostitutivo. Nonostante ciò, la direttiva e il d.lgs. n. 3/2017 si occupano principalmente di sovrapprezzo (come la giurisprudenza), trascurando una tipologia di danno non meno offensiva. Incidentalmente può osservarsi che anche il danno da pratiche escludenti e da lucro cessante non sia oggetto di particolari attenzioni nella direttiva e nel d.lgs. n. 3/2017, nonostante il peso che questi danni occupino nella realtà degli illeciti antitrust.
B) La deterrenza
Il considerano n. 3 della direttiva 2014/104/UE chiarisce che l'effettività del diritto al risarcimento del danno antitrust avrebbe per corollario anche un effetto deterrente, stimolando il rispetto dei divieti di cui agli artt. 101 e 102 TFUE. Appare quindi doveroso domandarsi se il d.lgs. n. 3/2017 riesca a perseguire un obiettivo di deterrenza. In effetti potrebbe anche sostenersi che norme deterrenti prevengano in radice il danno, conseguentemente riducendo l'esigenza di risarcimento. Negli Stati Uniti il private enforcement assolve primariamente una funzione deterrente. La dottrina statunitense si è lungamente interrogata su come raggiungere un obiettivo di ottimale deterrenza. E' stata in particolare teorizzata da Landes una formula per individuare l'entità ottimale delle sanzioni. Secondo questa formula la sanzione dovrebbe essere pari al danno netto subito da tutti i soggetti diversi dall'autore della violazione. Il danno netto comprenderà solitamente (almeno) il sovrapprezzo e il deadweight loss, e dovrà essere moltiplicato per l'inverso della probabilità che l'illecito venga scoperto: più bassa è la probabilità che l'illecito venga scoperto, più alta dovrà essere la sanzione (cfr. W.M. LANDES, Optimal Sanctions for Antitrust Violations, in The University of Chicago Law Review, 1983, p. 656). D'altra parte la stessa dottrina penalistica ci insegna che l'efficacia generalpreventiva della pena sia il prodotto della certezza e della severità della sanzione: laddove diminuisca la certezza della sanzione, questa dovrà essere compensata da una sanzione più elevata. Si noti che la sanzione non debba essere né inferiore né superiore al risultato ottenuto dalla formula di Landes. Nel primo caso avremmo una deterrenza insufficiente; nel secondo caso avremmo però una deterrenza eccessiva altrettanto indesiderabile, poiché verrebbero scoraggiate condotte che, sebbene illecite e sebbene sanzionate, apportano alla comunità benefici superiori rispetto ai danni arrecati. La distanza tra il modello americano e quello europeo in materia di trasferimento del sovrapprezzo suggerisce già in partenza che l'obiettivo della deterrenza non venga raggiunto dal d.lgs. n. 3/2017. Gli argomenti che confermano questa ipotesi sono i seguenti. Un primo argomento può essere tratto dalla formula di Landes che abbiamo sopra illustrato. Per l'art. 1 del d.lgs. n. 3/2017 il risarcimento deve comprendere il danno emergente, il lucro cessante e gli interessi, ma non deve determinare sovracompensazioni. La disciplina del d.lgs. n. 3/2017 non solo non dedica alcuna attenzione al deadweight loss, che ordinariamente oggi la giurisprudenza ignora, ma neppure prevede alcun meccanismo per parametrare il danno alla probabilità che l'illecito sia scoperto. La dottrina illustra chiaramente il problema: «Se il risarcimento fosse pari ai danni causati, per le imprese sarebbe infatti conveniente violare le norme antitrust, dato che non tutte le infrazioni vengono scoperte e sanzionate. Nella peggiore delle ipotesi esse sarebbero tenute a pagare quanto guadagnato con l'infrazione scoperta» (G.T. ELMI, Il risarcimento dei danni antitrust tra compensazione e deterrenza. Il modello Americano e la proposta di direttiva UE del 2013, in Concorrenza e mercato, 2014, pp. 191-192, nt. 23). Un secondo argomento è fornito dalla giurisprudenza americana nella Illinois Brick rule, che ha escluso la legittimazione attiva degli acquirenti indiretti. La Suprema Corte ha sostenuto che questa legittimazione dovesse essere esclusa perché è eccessivamente difficile quantificare e ripartire i danni lungo tutta la catena distributiva e perché si aumenta il rischio di esporre l'autore dell'illecito a una moltiplicazione dei danni. Tali ragioni inducono a concludere che la soluzione del d.lgs. n. 3/2017 determini due distorsioni rispetto alla formula di Landes: da un lato sarebbe difficile quantificare il sovrapprezzo distribuito sugli acquirenti indiretti e quindi condannare l'autore dell'illecito al risarcimento dell'intero danno, con conseguente insufficienza di deterrenza; dall'altro lato si rischierebbe di esporre l'autore dell'illecito a una moltiplicazione dei danni, con conseguente eccesso di deterrenza. Un terzo argomento attiene alla posizione del legittimato attivo. Come si è più volte ripetuto negli Stati Uniti vi è chi ritiene che l'acquirente diretto si trovi nella posizione migliore per chiedere il risarcimento del danno. Le ragioni di questa tesi sono che l'acquirente diretto, avendo rapporti commerciali con l'autore della violazione, sarebbe in grado di comprendere prima e più facilmente la ragione dell'aumento del prezzo, nonché di dare prova dell'illecito. Inoltre l'acquirente indiretto dovrebbe sostenere notevoli costi per verificare prima se via stato un illecito (l'incremento del prezzo potrebbe essere dovuto a un legittimo innalzamento dei costi del fornitore) e poi per individuare a quale anello della catena a monte sia stato compiuto l'illecito (si ricorderà che il sovrapprezzo potrebbe incidere anche su un fattore della produzione non incorporato nel bene finale). Occorre rimarcare che ai fini della deterrenza non rileva che il risarcimento vada a chi ha patito da ultimo il danno, bensì rileva che il sistema incentivi l'esercizio dell'azione risarcitoria, a prescindere dall'identità del soggetto attore. Il d.lgs. n. 3/2017, consentendo l'eccezione di trasferimento, scoraggia però le azioni degli acquirenti diretti, a vantaggio dei meno efficienti acquirenti indiretti. Non solo: l'eccezione di trasferimento potrebbe costringere l'acquirente diretto a rivelare informazioni riservate alla base della propria politica di prezzi, compromettendone le future negoziazioni. L'acquirente diretto preferirà non esporsi a questo rischio. Così aumentano le probabilità che nessuna azione risarcitoria venga esercitata o che il danno non venga integralmente liquidato: l'effetto deterrente è allora ridotto. Un quarto argomento si ricollega al terzo. La scelta di avvantaggiare gli acquirenti indiretti a discapito di quelli diretti diminuisce le probabilità che l'azione venga esercitata anche per la “rational apathy” di cui abbiamo già discorso. Infatti gli acquirenti indiretti avrebbero pochi incentivi ad agire, poiché i costi dell'azione risarcitoria sarebbero superiori al ristoro atteso, per quanto nel nostro ordinamento valga il principio della soccombenza ex art. 92 c.p.c. in ordine alle spese legali. L'assenza di azioni collettive opt-out, sul modello americano, aggrava il quadro. Così nuovamente l'effetto di prevenzione sarebbe trascurabile. Un quinto argomento concerne la previsione per cui il giudice potrebbe tenere conto delle decisioni relative ad attori collocati su altri livelli della catena di approvvigionamento nel valutare l'assolvimento dell'onere della prova (art. 13 del d.lgs. n. 3/2017). Non è chiaro come il giudice potrebbe attuare questa norma, non esistendo ad oggi strumenti processuali adeguati. In ogni caso la disposizione in argomento avrebbe l'effetto di scoraggiare l'iniziativa degli acquirenti diretti, per il timore che gli acquirenti indiretti, su cui è solitamente riversato il sovrapprezzo, abbiano già avviato o possano avviare procedimenti per il risarcimento del danno. Ancora una volta quindi il sistema disincentiva l'azione del soggetto meglio posizionato per ottenere il risarcimento, comprimendo la portata deterrente del private enforcement. In conclusione il d.lgs. n. 3/2017 non sembra avere un adeguato effetto deterrente. Occorre però considerare che nell'Unione europea la deterrenza sia già perseguita dal public enforcement, cosicché gli insuccessi del d.lgs. n. 3/2017 su questo fronte non compromettono irrimediabilmente il sistema. Del resto questa distribuzione delle funzioni potrebbe giudicarsi persino desiderabile. Da un lato infatti le sanzioni, al fine della deterrenza, dovrebbero poter essere modulate in modo da considerare la gravità dell'offesa. Vi sono infatti condotte, come gli sconti, che si trovano al confine con condotte illecite, come i prezzi predatori. L'imprenditore potrebbe essere dissuaso dal praticare i primi, laddove temesse di poter essere sanzionato come se avesse posto in essere i secondi. Il risarcimento del danno è però strutturalmente inidoneo alla modulazione. Il risarcimento è di tipo “on/off”: una volta accertato l'illecito, tutti i danni devono essere risarciti (F. DENOZZA – L. TOFFOLETTI, Compensation function and deterrence effects of private actions for damages: The case of antitrust damages suits, in http://ec.europa.eu/competition/antitrust/actionsdamages/white_paper_comments/unimil_it.pdf, pp. 18-19). Dall'altro lato il public enforcement non solo può graduare le sanzioni, ma ha altresì a sua disposizione l'autorità dello Stato, da cui derivano penetranti poteri investigativi, nonché la capacità di imporre sanzioni di natura non monetaria (ad esempio la revoca di autorizzazioni).
In conclusione
Il presente lavoro ha mostrato che obiettivo principale del d.lgs. n. 3/2017 sia quello di favorire l'integrale risarcimento delle vittime degli illeciti antitrust, in linea con la funzione assegnata in Europa al private enforcement. Sul piano della disciplina del trasferimento del sovrapprezzo, il d.lgs. n. 3/2017 non introduce modifiche particolarmente rilevanti al nostro ordinamento giuridico. Non risolve in particolare i problemi legati alla disciplina del nesso causale, che rendono difficoltose, quando non aleatorie, le azioni dei danneggiati. Il d.lgs. n. 3/2017 non sembra neppure in grado di raggiungere un livello ottimale di deterrenza, quantomeno attraverso le norme dettate in materia di sovrapprezzo. La funzione deterrente resta quindi affidata in modo pressoché esclusivo al public enforcement. Si è così persa l'occasione per valorizzare l'iniziativa privata in materia di antitrust in Italia. Si dovranno attendere dunque ulteriori sviluppi, magari proprio sul fronte delle azioni collettive oppure con l'introduzione di un meccanismo di retroversione degli utili (“disgorgement of gains”), già previsto per il diritto industriale dall'art. 125, comma 3 c.p.i. In tale occasione occorrerà però considerare che il coordinamento tra private enforcement e public enforcement operi anche sul piano dell'interrelazione tra l'entità dei risarcimenti e l'entità delle sanzioni. Incrementando la prima, potrebbe essere necessario ridurre la seconda, al fine di conservare al sistema un livello di deterrenza ottimale e così evitare una deterrenza eccessiva.
G. AFFERNIi, La traslazione del danno nel diritto antitrust nazionale e comunitario, in Concorrenza e mercato, 2008, p. 494 ss.; G. ALPA, Illecito e danno antitrust. Un dialogo tra le corti nazionali e la Corte di giustizia dell'Unione europea, in Contratto e Impr., 2015, 6, p. 1227 ss.; G. BRUZZONE – A. SAIJA, Verso il recepimento della direttiva sul private enforcement del diritto antitrust, in Concorrenza e mercato, 2014, p. 257 ss.; E. CAMILLERI, Il trasferimento del sovrapprezzo anticoncorrenziale nella direttiva 2014/104/UE, in AIDA, 2015, p. 32 ss.; M. CARPAGNANO, Le regole (proposte) sul passing-on e azione degli acquirenti indiretti, in Concorrenza e mercato, 2014, p. 273 ss.; L. CASTELLI, La causalità giuridica nel campo degli illeciti anticoncorrenziali, in Danno e Resp., 2013, 11, p. 1049 ss.; B. CAVALLONE, Azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie: problemi dell'istruzione probatoria, in http://ec.europa.eu/competition/antitrust/actionsdamages/white_paper_comments/unimil_it.pdf; F. DENOZZA – L. TOFFOLETTI, Compensation function and deterrence effects of private actions for damages: The case of antitrust damages suits, in http://ec.europa.eu/competition/antitrust/actionsdamages/white_paper_comments/unimil_it.pdf; J. DREXL – B. CONDE GALLEGO – S. ENCHELMAIER – M.O. MACKERODT – R. PODSZUN, Comments of the Max Planck Institute for Intellectual Property, Competition and Tax Law on the White Paper by the Directorate-General for Competition of April 2008 on Damages Actions for Breach of the EC Antitrust Rules, in http://ec.europa.eu/competition/antitrust/actionsdamages/white_paper_comments/maxpl_en.pdf; G.T. ELMI, Il risarcimento dei danni antitrust tra compensazione e deterrenza. Il modello Americano e la proposta di direttiva UE del 2013, in Concorrenza e mercato, 2014, p. 183 ss.; R.G. HARRIS – L.A. SULLIVAN, Passing On the Monopoly Overcharge: a Comprehensive Policy Analysis, in University of Pennsylvania Law Review, 1979, p. 269 ss.; H. HOVENKAMP, The Indirect Purchaser Rule and Cost-plus Sales, in Harvard Law Review, 1990, p. 1717 ss.; W.M. LANDES, Optimal Sanctions for Antitrust Violations, in The University of Chicago Law Review, 1983, p. 652 ss.; W.M. LANDES – R.A. POSNER, Should Indirect Purchasers Have Standing To Sue Under The Antitrust Laws? An Economic Analysis of the Rule of Illinois Brick, in The University of Chicago Law Review, 1979, p. 602 ss.; C.R. LESLIE, Antitrust damages and deadweight loss, in The Antitrust Bulletin, 2006, p. 521 ss.; M. SCUFFI, Riflessioni a margine della dir. 104/2014 (e del d.lgs. 3/2017) sull'azione di classe, in Dir. Ind., 2017, 1, p. 5 ss.; G. VILLA, La direttiva europea sul risarcimento del danno antitrust: riflessioni in vista dell'attuazione, in Corriere Giur., 2015, 3, p. 301 ss.
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