La caduta in condominio e l'incidenza del comportamento del danneggiato
30 Marzo 2015
Massima
«La responsabilità del Condominio, ex art. 2051 c.c., in relazione ai danni cagionati dalla cosa in custodia, risulta esclusa solo dal caso fortuito, che può concretarsi anche nel comportamento colposo del danneggiato, che abbia efficacia tale da interrompere il rapporto causale tra cosa ed evento. Il concorso di colpa del danneggiato rileva invece ai fini della limitazione del risarcimento, ex art. 1227, comma 1, c.c.» Sintesi del fatto
Tizia, scendendo la scala dello stabile ove abitava, cadeva riportando lesioni per cui chiedeva il risarcimento al Condominio, prospettando la scarsa illuminazione del presidio, l'assenza del corrimano, la consunzione degli scalini e la scivolosità degli stessi per la presenza di acqua. Il Condominio si costituiva contestando le deduzioni attoree, sia in fatto, che in diritto, ma il Tribunale di Monza - ritenendo che la caduta fosse effettivamente ascrivibile a colpa esclusiva del convenuto, ex art. 2051 c.c., accoglieva la pretesa di Tizia. La sentenza veniva impugnata dal Condominio, che lamentava il mancato apprezzamento del comportamento colposo di Tizia, integrante il caso fortuito, atto ad escludere ogni responsabilità del custode ex art. 2051, 1227, comma 2, c.c., o comunque da giustificare una diminuzione del risarcimento, ex art. 1227, comma 1 c.c. La Corte d'Appello di Milano accoglieva parzialmente l'appello.
In motivazione «Nel caso di specie la conformazione del luogo, pur non a norma e pericolosa, costituiva ostacolo superabile con la dovuta attenzione, di modo che l'evento lesivo in concreto verificatosi deve di certo causalmente ascriversi al dinamismo proprio della condizione assunta dalla cosa nella custodia del condominio (ovvero alla mancanza di un corrimano ed alla scarsa illuminazione), ma non interamente ad esso, bensì anche - una volta escluso che la scala condominiale fosse bagnata od altrimenti scivolosa - alla disattenzione od imperizia della stessa danneggiata». Nella fattispecie, pertanto, la Corte d'appello riformava la sentenza impugnata ritenendo che il comportamento colposo della danneggiata, pur non essendo stato tale da integrare il caso fortuito, escludente ogni responsabilità del custode, ex art. 2051 c.c., avesse concorso alla produzione dell'evento dannoso, con conseguente diminuzione del risarcimento dovutole, ex artt. 2056, 1227, comma 1, c.c., e condanna alla restituzione della metà di quanto percepito. La questione
In ipotesi di responsabilità ex art. 2051 c.c., come deve essere valutato il comportamento del danneggiato, rispetto all'esimente del caso fortuito? Le soluzioni giuridiche
La fattispecie in esame, negli ultimi anni, è stata oggetto di ampia evoluzione giurisprudenziale, all'esito della quale la Suprema Corte (v. Cass. civ., sez. III, 5 febbraio 2013, n. 2660), ha fatto proprio l'orientamento già da tempo espresso del Tribunale di Milano, secondo cui la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione del verificarsi dell'evento e del suo rapporto di causalità con il bene, così che il custode, per andarne esente, ha l'onere di provare il caso fortuito, ossia l'esistenza di un fattore estraneo alla cosa tale da interrompere il nesso causale con il danno; la Suprema Corte ha appunto confermato che detto fattore può essere integrato anche dal comportamento imprudente del danneggiato, tale da escludere la responsabilità del custode e che ove questo non sia del tutto assorbente, così da integrare il caso fortuito, dovrà - comunque - essere considerato, ex art. 1227, comma 1, c.c., ai fini della limitazione del risarcimento. Il precedente indirizzo giurisprudenziale (v. Cass. civ., sez. III, 17 marzo 1998, n. 595), secondo cui i danni “da caduta” - che rappresentano la maggioranza del contenzioso sul tema - rientrassero nella disciplina di cui all'art. 2043 c.c., con necessità per il danneggiato di provare la ricorrenza del duplice requisito dell'invisibilità ed imprevedibilità dell'insidia, era eccessivamente penalizzante per il danneggiato. Tale impostazione, infatti, consentiva al danneggiante di opporre al leso le più disparate difese, laddove, soprattutto il concetto di invisibilità della cosa prestava il fianco ad ogni possibile interpretazione, posto che anche la più piccola buca non è invisibile, come non lo è un gradino consunto, o l'assenza del corrimano su una scala. Per contro, il successivo inquadramento di tali fattispecie nella disciplina di cui all'art. 2051 c.c., ha inizialmente comportato un'eccessiva indulgenza nella concessione dei risarcimenti, spesso avulsa dalla valutazione del caso concreto, con enorme incremento del contenzioso, dovuto ad aspettative e pretese pretestuose. Invero, la presunzione di cui all'art. 2051 c.c., recepita in modo acritico, portava a ritenere impegnata la responsabilità del custode per il solo fatto dell'accadimento dell'evento, in assenza della prova - sostanzialmente diabolica - che lo stesso fosse eccezionale ed inevitabile. Ne è conseguito un evidente ribaltamento delle posizioni, laddove, questa volta al leso, era consentito avanzare pretese risarcitorie opponendo al custode ogni tipo di addebito, posto che i concetti di eccezionalità ed inevitabilità consentivano una discrezionalità interpretativa troppo ampia. Ciò posto, la giurisprudenza di merito, ed in primis il Tribunale di Milano, ha ritenuto necessario un correttivo a tale orientamento che consentisse al Giudice di valorizzare gli elementi sostanziali del caso concreto restando nell'ambito del quadro normativo di riferimento ed a tal fine ha elaborato il principio secondo cui il caso fortuito può essere rappresentato anche dal fatto del leso, avente efficacia tale da interrompere il nesso causale tra cosa e danno (v. Trib. Milano, Sez. X, 27 maggio 2009, n. 7111); principio questo ormai recepito dalla Suprema Corte, secondo cui, nel caso in cui l'evento dannoso sia ascrivibile esclusivamente alla condotta del danneggiato si verifica appunto un'ipotesi di caso fortuito con effetto liberatorio per il custode (v. Cass. civ., Sez. III, 17 gennaio 2012, n. 537). Ebbene, tornando alla sentenza in commento, proprio in base a tali indicazioni e sulla scorta degli esiti dell'istruttoria, la Corte d'appello - rilevato, da un lato, che la scala ove l'attrice era caduta era priva di corrimano e poco illuminata, ma dall'altro, che la stessa non era viscida, né scivolosa, che i gradini non erano consunti e che la danneggiata ne conosceva perfettamente lo stato, abitando nel medesimo stabile - ha riformato l'impugnata sentenza, ritenendo sussistente un suo concorso di colpa nella produzione dell'evento, rilevante ex art. 1227, comma 1, c.c.. Posto quanto precede e richiamata l'evoluzione giurisprudenziale sul tema non si può che osservare come l'attuale indirizzo sia quello più idoneo a garantire il rispetto dei contrapposti interessi delle parti, cioè quello del danneggiato ad ottenere il giusto risarcimento in ipotesi di incuria del custode, ma anche quello di quest'ultimo a non veder strumentalizzata ogni minima - e certe volte inevitabile - pericolosità della cosa, che avrebbe potuto essere superata prestando quel minimo di attenzione che deve pretendersi da ognuno, nel rispetto del basilare principio di autoresponsabilità richiamato dalla Corte costituzionale (C. Cost., sent., n. 156/1999). Osservazioni
Per una corretta formulazione della domanda di risarcimento, in ipotesi quali quella in esame, è necessario, in primis, qualificare l'azione come tale, con specifico riferimento all'art. 2051 c.c., ricordando che sul danneggiato grava comunque la prova dell'accadimento del fatto storico e della sussistenza del nesso causale tra cosa ed evento dannoso, che è particolarmente rilevante nei casi in cui il danno non sia l'effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura, o dal suo funzionamento, ma richieda che al modo di essere di questa si unisca l'agire umano (Trib. Milano, Sez. X, 8 gennaio 2014, n. 164), posto che in tal caso sarà necessario dimostrare che l'ostacolo non fosse facilmente evitabile e che l'evento si sia verificato nonostante l'attenzione prestata. Pur dovendosi, ovviamente, preferire la prospettazione di una responsabilità ex art. 2051 c.c. è poi prudenziale che l'attore non rinunci ad indicare, alternativamente, quella di cui all'art. 2043 c.c., per il caso in cui il rapporto di custodia possa essere posto in discussione, in ragione - ad esempio - dell'impossibilità di un effettivo controllo sul bene da parte del soggetto preposto; non solo, ove la domanda per responsabilità extracontrattuale sia cumulabile con quella contrattuale è opportuno far valere anche tale titolo, stante il minor onere probatorio gravante in tal caso sul danneggiato. Per contro, il custode dovrà dimostrare che il comportamento negligente ed imprudente del leso sia stato tale da assorbire interamente il rapporto causale, o concorrere alla determinazione del danno giustificando una diminuzione del risarcimento ex art. 1227, comma 1, c.c. ed a tal fine sarà necessario valorizzare gli elementi di fatto che portino a tale conclusione; per determinate categorie di beni (in particolare quelli di grande estensione territoriale) è poi opportuno che il convenuto non rinunci a contestare la sussistenza di una effettiva possibilità di custodia della cosa che consentisse di evitare il danno, posto che la presunzione di responsabilità di cui all'art. 2051 c.c., per i danni subiti dagli utenti dei beni demaniali, postula la sussistenza di un effettivo potere sulla cosa (Cass. civ., sez. VI, 23 ottobre 2014, n. 22528). Ove il danno sia invece conseguenza di situazioni contingenti (l'ipotesi tipica è quella della caduta dovuta a macchia d'olio, o materiale edile, persi da veicolo in transito) il custode potrà, inoltre, opporre al danneggiato il fatto del terzo, integrante il caso fortuito, purché dimostri di non averne avuto tempestiva conoscenza e che la condizione di pericolo non sia rimasta tale per sua inerzia. Al di là della presunzione di cui all'art. 2051 c.c. e della residualità che un'interpretazione troppo restrittiva dell'esimente del caso fortuito comporterebbe, è necessario che l'accertamento della responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. sia quanto più possibile ancorato ad una valutazione sostanziale dell'evento dannoso e delle sue concrete modalità di verificazione. |