Opzione per l'indennità sostitutiva della reintegrazione e termine di decadenza: la comunicazione del deposito della sentenza ammette equipollenti
31 Marzo 2016
Massima
Il termine di decadenza di 30 giorni ai fini dell'opzione per l'indennità sostitutiva della reintegrazione di cui all'art. 18 Stat. lav. decorre dal momento in cui il lavoratore ha conoscenza – effettiva e completa – della sentenza di illegittimità del licenziamento, a prescindere dalla comunicazione di avvenuto deposito della stessa da parte della cancelleria, potendosi ritenere a tal fine sufficiente anche la notificazione – operata dallo stesso lavoratore – della sentenza, ai fini esecutivi della stessa nel capo relativo al risarcimento del danno da licenziamento illegittimo. Il caso
La pronuncia in esame scaturisce dal ricorso per decreto ingiuntivo con cui un lavoratore chiedeva il pagamento di una somma a titolo di indennità sostitutiva della reintegrazione ex art. 18, comma 5, L. n. 300/1970 (testo vigente ratione temporis). In seguito all'emissione del decreto, il Tribunale accoglieva l'opposizione del datore di lavoro, attribuendo rilievo al mancato assolvimento, da parte del lavoratore, dell'onere della prova in ordine alla comunicazione del deposito della sentenza che aveva dichiarato l'inefficacia del licenziamento nonché intimato la reintegrazione, elemento dal quale desumeva la mancata tempestività dell'esercizio del diritto di opzione (che deve essere esercitato, a pena di decadenza, entro 30 giorni dal predetto dies a quo). La Corte d'Appello rigettava l'impugnazione del lavoratore, ravvisando anch'essa la tardività dell'esercizio del diritto d'opzione, basandola, tuttavia, su un motivo differente rispetto alle argomentazioni del Tribunale, illustrate supra. In particolare, la Corte, prescindendo da ogni giudizio sull'eventuale assolvimento dell'onere probatorio, ha ritenuto che, a fini del decorso del termine, alla formale comunicazione della sentenza prevista dalla norma andasse equiparata l'effettiva conoscenza che il lavoratore ne avesse comunque acquisito, conoscenza che nel caso di specie era da ritenersi provata in ragione della notificazione a fini esecutivi della sentenza di reintegrazione. Il lavoratore presentava, quindi, ricorso per Cassazione, lamentando il vizio di falsa interpretazione dell'art. 18, comma 5, Stat. lav., laddove la sentenza impugnata aveva attribuito importanza, ai fini del decorso del termine di decadenza per l'esercizio dell'opzione per l'indennità sostitutiva della reintegra, al fatto che il ricorrente fosse a conoscenza della sentenza che dichiarava l'illegittimità del licenziamento a prescindere da una comunicazione formale della stessa. La questione
Il quesito giuridico al vaglio della Suprema Corte si può così sintetizzare: è possibile ammettere equipollenti della comunicazione del deposito della sentenza di illegittimità del licenziamento ai fini del decorso del termine di decadenza di 30 giorni per l'esercizio del diritto di opzione per l'indennità di 15 mensilità sostitutiva della reintegrazione? Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte condivide la soluzione della Corte d'Appello, ritenendo, dunque, che ai fini del decorso del termine di decadenza in esame sia sufficiente l'effettiva conoscenza del provvedimento di reintegrazione, a prescindere dalla sua comunicazione formale. Muovendo dalla ricostruzione dell'istituto in esame in termini “sostanziali”, con la conseguenza della sua piena autonomia rispetto all'ordine giudiziale di reintegrazione ed al relativo provvedimento, la Corte sottolinea il carattere negoziale della scelta del lavoratore. Da un lato, quindi, l'esercizio del diritto di opzione per l'indennità sostitutiva della reintegrazione segue le sorti dell'accertamento dell'illegittimità del licenziamento, che ne rappresenta un presupposto; dall'altro, tuttavia, il diritto del lavoratore di scegliere tra la prosecuzione del rapporto e la sua estinzione esula dagli effetti espansivi dell'eventuale sentenza di riforma: il diritto, una volta esercitato, non sarebbe più suscettibile di revoca né di reviviscenza. Secondo la pronuncia in commento, la ricostruzione del diritto di opzione in chiave sostanziale rileva nella fattispecie concreta in quanto la scelta del lavoratore deve essere necessariamente consapevole, vale a dire deve presupporre l'effettiva conoscenza del provvedimento reintegratorio, mentre assumono minor rilievo gli aspetti formali, inerenti la comunicazione del deposito del provvedimento. Ai fini del decorso del termine di decadenza in esame, pertanto, è necessaria – e al contempo sufficiente - la conoscenza effettiva della sentenza di illegittimità del licenziamento, con ciò dovendosi intendere una presa di conoscenza certa, senza che, inoltre, possano esservi dubbi in relazione alla data cui essa risale. In tale ottica, si comprende perché la completezza ed esattezza della conoscenza del provvedimento di reintegrazione possa dirsi comprovata in un caso, come quello in esame, in cui il lavoratore stesso abbia provveduto a notificarlo a fini esecutivi del risarcimento del danno da licenziamento illegittimo. A partire dalla data di tale notifica, quindi, può senz'altro ritenersi che decorra il termine di decadenza di 30 giorni ai fini dell'opzione per l'indennità sostitutiva, diritto dal cui esercizio il lavoratore può dirsi, nel caso di specie, decaduto proprio per il mancato rispetto di tale termine, a nulla rilevando la circostanza della mancata comunicazione di avvenuto deposito da parte della cancelleria. La Suprema Corte osserva come, più in generale, già dal momento della lettura del dispositivo della sentenza contenente l'ordine di reintegrazione sia possibile per il lavoratore esercitare il diritto di scelta tra la ripresa del lavoro e l'indennità sostitutiva (cfr. Cass. civ., sez. lav.,14 maggio 2008, n. 12100; Cass. civ., sez. lav., 23 aprile 2008, n. 10526). Da ultimo, la Corte non manca di evidenziare come l'ordinamento preveda varie ipotesi in cui la notifica del provvedimento è equiparata alla sua comunicazione al fine del decorso di termini, come ad esempio in materia di impugnazioni. O, ancora, sempre ai fini dell'avvenuta consegna e della precisa individuazione del destinatario, la pronuncia in commento non manca di ricordare che già altre volte si è attribuita rilevanza alla conoscenza di un provvedimento che un soggetto si trovi ad avere in conseguenza dello svolgimento di un'attività istituzionale di cancelleria idonea a non lasciare dubbi in ordine al se e al quando della presa visione: in particolare, l'estrazione di copia autentica di un provvedimento impone l'individuazione del soggetto che richiede la copia, di chi la ritira, nonché l'annotazione della data di rilascio, rappresentando, quindi, una forma equipollente alla comunicazione di cancelleria (cfr. Cass. civ., sez. lav.,11 giugno 2012, n. 9421). Osservazioni
La facoltà di opzione per l'indennità sostitutiva della reintegrazione è stata introdotta nel quinto comma dell'art. 18 Stat. lav. ad opera della L. 11 maggio 1990, n. 108. Secondo il testo vigente ratione temporis, la norma prevedeva la sanzione della reintegrazione nel posto di lavoro in ogni ipotesi di licenziamento ingiustificato (ciò, come noto, per i datori di lavoro che presentavano i requisiti dimensionali indicati dalla norma stessa). Al lavoratore che non desiderasse riprendere servizio presso il medesimo datore che lo aveva licenziato era concessa la facoltà di optare per un'indennità pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, con l'onere di presentare tale eventuale richiesta entro determinati termini previsti a pena di decadenza dal beneficio. In tal caso, peraltro, rimaneva fermo il diritto del lavoratore al risarcimento del danno, commisurato alle retribuzioni medio tempore maturate dal licenziamento sino alla richiesta dell'indennità sostitutiva. Il dibattito sulla norma si è prevalentemente focalizzato sulla questione se, a seguito dell'opzione del lavoratore, il rapporto di lavoro avrebbe dovuto considerarsi risolto già al momento della scelta oppure solo con la corresponsione dell'indennità al lavoratore. In proposito, si ricorda che la Corte Costituzionale, poco dopo l'entrata in vigore della disposizione in esame, ritenne che in essa andava ravvisata un'obbligazione con facoltà alternativa dal lato del creditore: la facoltà di pretendere, al posto della reintegrazione, una prestazione diversa di natura pecuniaria – secondo la Corte – determina la cessazione del rapporto di lavoro per sopravvenuta mancanza dello scopo, ma tale effetto non consegue alla dichiarazione del creditore (che, così, avrebbe la valenza di una dichiarazione di recesso), bensì solo al momento e per l'effetto del pagamento dell'indennità sostitutiva (cfr. Corte cost. 4 marzo 1992, n. 81). Tale pronuncia non ha però placato il dibattito sul tema: un più recente orientamento della Cassazione, avallato dalle stesse Sezioni Unite, infatti, ha affermato che l'opzione per l'indennità sostitutiva estingue il rapporto di lavoro nel momento in cui viene manifestata (Cass. civ., Sez. Un., 27 agosto 2014, n. 18353). Tale orientamento è stato poi consacrato dal legislatore, che, riformulando il testo dell'art. 18 Stat. lav. mediante la legge n. 92/2012 (cd. legge Fornero), ha previsto, al terzo comma, che la richiesta dell'indennità sostitutiva (ovviamente configurabile solo nel novero ristretto di casi in cui permane la tutela reintegratoria) «determina la risoluzione del rapporto di lavoro». La L. n. 92/2012 ha inoltre introdotto, nel testo dell'art. 18 Stat. Lav., un'ulteriore specificazione riguardo all'opzione per l'indennità sostitutiva della reintegrazione, prevedendo in particolare che la relativa richiesta deve essere «effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione». Anche in questo caso, peraltro, il legislatore non ha fatto altro nella sostanza che recepire l'orientamento giurisprudenziale maggioritario, secondo il quale, già in base alla disciplina previgente, il termine per la scelta dell'indennità sostitutiva decorreva, alternativamente, o dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro a riprendere servizio o dalla comunicazione del deposito della sentenza, a seconda che l'invito del datore fosse o meno precedente a tale comunicazione (cfr., ad es., Cass. civ., sez. lav., 6 novembre 2000, n. 14441). In forza di tale previsione è stata definitivamente superata la tesi, invero minoritaria, che non reputava alternativi i due termini di decadenza e che, quindi, per l'ipotesi in cui l'invito del datore di lavoro a riprendere il servizio fosse stato formulato prima della comunicazione del deposito della sentenza, considerava esercitabile la facoltà di opzione sino al decorso dei trenta giorni successivi alla comunicazione del provvedimento (cfr., ad. es., Cass. civ., sez. lav., 16 giugno 1998, n. 6005). L'orientamento affermatosi, del resto, appare maggiormente in sintonia con le esigenze di certezza sottese all'istituto dell'indennità sostitutiva e, in particolare, rispetto all'esigenza del datore di lavoro di conoscere, in tempi brevi e certi, la definitiva sorte del rapporto di lavoro. Da questo punto di vista, non stupisce pertanto come la medesima formulazione dell'art. 18 Stat. lav. novellato dalla legge Fornero sia stata riproposta, sul punto, dalla nuova disciplina sanzionatoria del licenziamento illegittimo di cui al d.lgs. n. 23/2015 (c.d. Jobs Act), che si applica, come noto, ai rapporti di lavoro instaurati a decorrere dal 7 marzo 2015 (sulla nuova disciplina v., per un quadro riassuntivo, F. Meiffret, Il nuovo regime risarcitorio dei licenziamenti alla luce del jobs act, in Ri.Da.Re.). Sul piano testuale, dunque, al di là del caso in cui il datore formuli antecedentemente l'invito a riprendere servizio, il termine di decadenza previsto per l'esercizio dell'opzione per l'indennità sostitutiva decorre dalla comunicazione del deposito della sentenza di condanna. In seguito alla comunicazione del provvedimento giudiziale si presume, infatti, che il lavoratore acquisisca un'effettiva conoscenza dei contenuti della sentenza e possa pertanto scegliere, con consapevolezza, se optare o meno per la soluzione indennitaria in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro. Il prestatore, pertanto, non potrebbe a rigore considerarsi decaduto dalla scelta se, in assenza dell'invito del datore a riprendere servizio, non sia stato destinatario della comunicazione del provvedimento pronunciato in suo favore. Come visto, tuttavia, la sentenza in esame, sulla scia di quanto osservato in dottrina già all'indomani dell'entrata in vigore della L. n. 108/1990 (R. Foglia, L'«opzione» economica del lavoratore reintegrato, Dir. Lav., 1991, I, 20; D. Napoletano, La nuova disciplina dei licenziamenti individuali, Napoli, 1990, 206), ha precisato che, ai fini del decorso del termine decadenziale dei trenta giorni, possa, in talune ipotesi, prescindersi dalla formale comunicazione della sentenza. In particolare, valorizzando la ratio della previsione e svalutando il dato letterale della stessa, la Cassazione ha osservato che il requisito della comunicazione non risulta necessario allorquando il lavoratore abbia acquisito altrimenti un'effettiva conoscenza del provvedimento di reintegra. Infatti, posto che il requisito della comunicazione è previsto, in ultima analisi, ai fini di assicurare una scelta consapevole da parte del prestatore di lavoro – il che presuppone appunto la conoscenza della sentenza pronunciata in suo favore – la comunicazione può essere sostituita da forme ad essa equipollenti, idonee, in quanto tali, ad assicurare il medesimo risultato. La Suprema Corte ha cura di precisare che la comunicazione non può essere surrogata da una semplice conoscenza aliunde del provvedimento giudiziale, in quanto deve comunque essere garantita una conoscenza qualificata della sentenza. In proposito, la pronuncia in commento porta gli esempi della lettura integrale della sentenza resa in udienza, giusto il disposto di cui all'art. 429 c.p.c., e della notificazione del provvedimento effettuata al lavoratore dal datore di lavoro. A maggior ragione, nessun dubbio in ordine all'effettiva e completa conoscenza della sentenza poteva sussistere nel caso di specie, posto che la stessa era stata oggetto di notificazione, effettuata addirittura dallo stesso lavoratore. Al riguardo è appena il caso di osservare che non si tratta certamente della prima volta in cui la Cassazione, anche al di fuori dell'ambito lavoristico, opta per una lettura antiformalistica delle regole processuali in esame. In questo senso, la Suprema Corte, attraverso una ragionevole interpretazione della disposizione dell'art. 136 c.p.c., anche in altre occasioni ha ammesso l'esistenza di mezzi equipollenti alla comunicazione, peraltro sempre sottolineando che, per poter sostituire la formale comunicazione del provvedimento giudiziale, le diverse forme utilizzate devono essere idonee, in concreto, al raggiungimento dello scopo di assicurare una conoscenza qualificata dell'atto, ossia la certezza in ordine all'informazione della parte circa l'esistenza ed il contenuto del provvedimento (cfr., ex multis, Cass. civ., sez. lav., 2 ottobre 2008, n. 24418; Cass. civ., sez. I., 23 febbraio 2000, n. 2068; Cass. civ., sez. I, 15 febbraio 1996, n. 1140). In ogni caso, una lettura siffatta della normativa processuale pare doversi ritenere, nella sostanza, più coerente con l'assetto complessivo del sistema di tutela dei diritti, impedendo risultati che, come emblematicamente dimostra il caso in esame, potrebbero ben definirsi paradossali. |