Risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale: si applicano i criteri praticati al momento della liquidazione
11 Agosto 2017
Massima
Il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale va valutato sulla base dei criteri praticati al momento della liquidazione. Il caso
La Suprema Corte, senza ripercorrere i fatti che hanno originato le vicende processuali di primo e secondo grado, esaminata brevemente la questione pregiudiziale dell'ammissibilità del ricorso secondo il disposto di cui all'art. 366, comma 1, n. 3 c.p.c., ritenuto idoneo; ripercorsa la normativa e la giurisprudenza di riferimento in materia di prescrizione, affronta il tema principale della statuizione concernente i criteri utilizzati al momento della liquidazione del risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale. La Cassazione richiama la statuizione della Corte d'Appello che, aveva ritenuto del tutto congrue le somme corrisposte a favore degli eredi del defunto a titolo di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ritenendo non dovute le maggiori somme riconosciute a tale titolo dal Giudice di primo grado. La questione
Quali sono i criteri di liquidazione applicabili ratione temporis per il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale?La Cassazione ha esaminato le doglianze proposte nel Ricorso sotto un duplice profilo: - violazione o falsa applicazione delle norme di diritto per avere la Corte d'Appello ritenuto congrue le somme versate al momento della liquidazione del danno (nell'anno 2006) in quanto ricomprese nel range medio previsto dalle tabelle del Tribunale di Milano dell'epoca, senza tenere conto che per una valutazione equitativa del pregiudizio effettivamente subito il danno avrebbe dovuto essere stimato in misura superiore anche alla soglia massima di dette tabelle; - violazione o falsa applicazione delle norme di diritto per avere applicato le tabelle di liquidazione vigenti al momento dell'offerta risarcitoria senza tenere conto delle esigenze di attualizzazione del danno.
Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso formulando il seguente principio di diritto: «in tema di risarcimento danni per equivalente, la stima e la determinazione del pregiudizio da ristorare (…) vanno operate alla stregua dei criteri praticati al momento della liquidazione in qualsivoglia maniera compiuta, cioè secondo i parametri vigenti alla data della pattuizione convenzionale stipulata tra le parti, del pagamento spontaneamente effettuato dal soggetto obbligato o della pronuncia (anche non definitiva) resa sulla domanda risarcitoria formulata in sede giurisdizionale o arbitrale, restando preclusa, una volta quantificato il danno con una modalità, l'applicazione di criteri di liquidazione (se del caso più favorevoli al danneggiato) elaborati in epoca successiva». La Corte si è preliminarmente soffermata sulla natura del pregiudizio derivante dalla rottura o dalla lesione del rapporto parentale integrante un danno non patrimoniale iure proprio (nel caso di specie del congiunto della vittima), inteso come sconvolgimento dell'esistenza, rivelato da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, conseguente al decesso del congiunto, secondo le caratteristiche e le connotazioni esposte nelle precedenti pronunce di legittimità sul tema (Cass. civ., 20 agosto 2015 n. 16992; Cass. civ., 16 febbraio 2012 n. 2228; Cass. civ., 13 maggio 2011 n. 10527), non rilevando all'uopo i meri disagi, fastidi, ansie e disappunti.Ribadisce la Corte che si tratta di un danno che non può considerarsi in re ipsa, sussistente per il solo fatto del vincolo parentale venuto meno, ma richiede secondo i principi di diritto, l'allegazione precisa e circostanziata atta a dimostrare l'effettivo sconvolgimento della vita patito (per un maggiore approfondimento, vedi anche D. SPERA, Risarcimento del danno non patrimoniale, in Ridare.it). Fatta questa premessa, la Suprema Corte ha evidenziato che il ristoro di tale danno, imprescindibilmente rimesso ad una valutazione equitativa del Giudicante, deve essere correlato a criteri idonei a consentirne la personalizzazione onde «dare concretezza alla nozione di liquidazione equitativa come adeguatezza e proporzione al caso concreto e, al contempo, trattamento uguale di casi uguali»; per l'effetto l'apprezzamento del Giudice dovrà tener conto della gravità del fatto, dell'entità del dolore patito, delle condizioni soggettive della persona, dell'età della vittima e dei congiunti all'epoca del fatto, del grado di sensibilità dei danneggiati superstiti e della situazione di convivenza o meno con il deceduto (Cass. civ., 15 ottobre 2015 n. 20895; Cass. civ., 20 maggio 2015 n. 10263; Cass. civ., 8 luglio 2014 n. 15491; Cass. civ., 16 febbraio 2012 n. 2228). Tali criteri sono stati individuati nelle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano connotati da una vera e propria “vocazione nazionale” per l'utilizzo costante e per aver raccolto i parametri più idonei ad evitare eventuali ingiustificate disparità di trattamento (Cass. civ., 15 ottobre 2015 n. 20895; Cass. civ., 7 giugno 2011 n. 12408). La Corte ha ritenuto di precisare che il Giudice nell'effettuare la personalizzazione del danno in base alle caratteristiche specifiche del caso concreto, possa anche superare i limiti massimi e minimi previsti dalle citate Tabelle - trattandosi comunque di criteri elaborati in astratto - purché siano allegate circostanze di cui la tabella non possa aver già tenuto conto – dovendo in ogni caso il giudicante dare conto nella motivazione di tali circostanze e di come esse siano state considerate ai fini della decisione (Cass. civ., 23 febbraio 2016 n. 3505; per un maggiore approfondimento, vedi anche REDAZIONE SCIENTIFICA, Tabelle Milanesi: disapplicazione possibile solo se motivata, in Ridare.it). Conseguentemente, in difetto di circostanze in concreto idonee a giustificarne la disapplicazione e ricorrendo altresì determinate condizioni, la mancata adozione da parte del giudicante in favore di altro criterio integra violazione di norma di diritto censurabile in Cassazione ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. (Cass. civ., 7 settembre 2016 n. 17678; Cass. civ., 16 giugno 2016 n. 12397; Cass. civ., 13 novembre 2014 n. 24205; Cass. civ., 7 giugno 2011 n. 12408). Su tali basi la Corte precisa che la liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale è sindacabile in sede di legittimità, sub specie, ex art. 360, comma 1, n. 5: - quando l'ammontare quantificato si prospetti palesemente non congruo rispetto al caso concreto, in quanto irragionevole e sproporzionato per difetto o per eccesso rispetto a quello previsto dalle tabelle milanesi; - quando il giudice di merito non espliciti i criteri assunti a base del procedimento valutativo adoperato; - quando, nell'individuare la somma concretamente attribuibile nel range tra il minimo ed il massimo stabiliti in via astratta e generale dalle tabelle, non espliciti i parametri di giudizio e le circostanze che abbia considerato per addivenire alla quantificazione (Cass. civ., 20 aprile 2017 n. 9950; Cass. civ., 30 maggio 2014 n. 12265; Cass. civ., 17 aprile 2013 n. 9231). Sulla scorta di tali premesse la Suprema Corte ha individuato i motivi di rigetto del ricorso che hanno giustificato la conferma della statuizione della Corte d'Appello: - il danno liquidato dalla Corte d'Appello agli eredi, per la perdita della congiunta, è stato calcolato con corretto riferimento alle Tabelle di Milano, e con l'individuazione di un importo risarcitorio attribuito a ciascun danneggiato, nella fascia medio-alta dei valori, minimo e massimo, previsti dalle richiamate tabelle (circostanza che esclude la violazione di legge prospettata nel ricorso). Inoltre la Corte d'Appello, conformemente ai principi stabiliti nel pressoché costante orientamento di legittimità sul punto, ha dato conto sia delle circostanze di fatto sia delle allegazioni delle parti relativamente al rapporto tra i familiari prima e dopo l'evento luttuoso, superando così ogni eventuale censura in punto di carenza di motivazione; - in secondo luogo, quanto all'individuazione delle tabelle applicabili ratione temporis al caso concreto, la Suprema Corte ricorda come la principale difficoltà nell'operazione di liquidazione del danno da ristorarsi per equivalente sia rappresentata dallo scarto temporale tra il momento dell'evento e quello della sua liquidazione (con la distinzione tra la c.d. aestimatio, ossia la determinazione dell'astratto valore del bene leso, e la c.d. taxatio, ovvero la traduzione, in espressione pecuniaria, di siffatto valore). Ritenendo fallace il richiamo alle pronunce di legittimità favorevoli all'utilizzo dei parametri tabellari vigenti al momento della decisione, operato dal ricorrente, la Cassazione precisa che si tratta di un canone di valenza generale destinato ad operare “in ogni ipotesi di liquidazione del danno, nozione da intendersi, cioè, in una accezione estesa e comprensiva non soltanto della determinazione dell'importo risarcitorio in via convenzionale (ad esempio, per un accordo transattivo tra le parti) o giudiziale (all'esito di una controversia) ma anche del pagamento spontaneo della somma ad opera della parte obbligata…”. Diversamente, si rischierebbe una locupletazione del danno potendo il danneggiato, già risarcito, beneficiare in un momento successivo ed anche a notevole distanza di tempo, di criteri di liquidazione più favorevoli.Osservazioni
La Suprema Corte ribadisce, ancora una volta, la “vocazione nazionale” delle tabelle milanesi evidenziandone, come nelle precedenti pronunce, la peculiare funzione di concreta risposta alla necessità di attuare liquidazioni equitative intese come adeguatezza e proporzione al singolo caso concreto, garantendo nel contempo, parità di trattamento a parità di condizioni. Ciò in ragione sia della maggiore diffusione e del costante utilizzo a livello nazionale, sia perché idonee a consentire una corretta applicazione del parametro equitativo ex art. 1226 c.c. La sentenza in commento si inserisce nell'ambito delle pronunce connesse al tema del danno da perdita del rapporto parentale con particolare riferimento ai criteri di liquidazione applicabili ratione temporis.La Corte torna ad affrontare il tema legato “all'ontologico iato temporale” tra il momento di verificazione dell'evento lesivo e quello della sua liquidazione ed alla conseguente valutazione da parte dell'organo giudicante dei criteri di liquidazione da applicare.Sul punto la Suprema Corte aveva avuto modo di pronunciarsi in relazione alla modifica sopravvenuta delle tabelle, nelle more della pubblicazione della sentenza, dovendo dunque valutarne l'applicabilità con riferimento ad un intervallo di tempo più contenuto quale quello individuabile dopo la deliberazione della decisione ma prima della sua pubblicazione. La Corte aveva ritenuto di escludere che l'organo giudicante avesse l'obbligo di procedere ad una nuova operazione di liquidazione del danno non essendo in alcun modo sostenibile la sussistenza di una fattispecie di “retrocessione” della fase decisoria, avendo cura di soffermarsi sulla particolare natura e sulla rilevanza nel mondo giuridico delle note tabelle (Cass. civ., 11 ottobre 2016 n. 20381; Cass. civ., 10 maggio 2016 n. 9367). Con la pronuncia in esame, la Suprema Corte ridefinisce il contenuto di “liquidazione del danno” chiarendo la portata del principio per il quale la stima e la determinazione del danno vanno compiute secondo i criteri praticati al momento della liquidazione con la precisazione di assoluto rilievo che tale canone, debba esser applicato in ogni ipotesi di liquidazione del danno - da intendersi in una accezione estesa - sia in forza di un accordo transattivo, sia all'esito di una controversia, ed infine anche in forza del pagamento spontaneo della somma da parte del soggetto obbligato come nel caso di specie.Correttamente dunque secondo la Suprema Corte il Giudice d'Appello ha valutato la congruità della somma versata dal responsabile civile alla stregua delle tabelle milanesi vigenti all'epoca del pagamento.
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