Abuso del processo da frazionamento della domanda giudiziale e del credito unitario

30 Aprile 2014

Definizione di abuso di processo da frazionamento di domanda e di credito unitario. Tutto su abuso nel frazionamento credito e riferimenti normativi.
Nozione

Il tema dell'abuso del processo è stato recentemente oggetto di una rinnovata attenzione dottrinale e giurisprudenziale, con l'evidente finalità di affrontare il problema della durata dei processi civili, sanzionando la strategia processuale ritenuta strumentale.

Il divieto di frazionamento del credito unitario è forse la più nota, pur se non l'unica, applicazione giurisprudenziale del principio: vi sono infatti ulteriori ipotesi in cui, sempre a livello pretorio, viene sanzionato l'abuso del processo, o impedendo ex ante alcune attività processuali, ovvero negando efficacia ex post ad altre attività.

Inoltre, pur in assenza di una previsione generale di divieto di abuso del processo, il Legislatore ha più volte disciplinato e sanzionato specifiche ipotesi di abuso, in alcuni casi anche con una norma di grande impatto sistematico ed applicativo come l'art. 96, comma 3, c.p.c.

L'applicazione dell'istituto nel nostro diritto processsuale

Manca, nel nostro ordinamento, una definizione normativa di abuso processuale.

Né soccorre la normativa sovranazionale, poiché l'articolo 54 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, recepita dal Trattato di Lisbona entrato in vigore il 1 dicembre 2009 e come tale fonte di diritto comunitario primario, fa riferimento all'abuso del diritto sotto il profilo sostanziale, vietando di interpretare qualsiasi regola nel senso di “comportare il diritto di esercitare un'attività o di compiere un atto mirante alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti, o di imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste”.

Tuttavia, l'istituto in parola, per anni negletto negli studi dottrinali (tra le poche eccezioni: F. De Stefano, Note sull'abuso del processo, in RDPr, 1964, 582; M. Taruffo, Elementi per una definizione di abuso del processo, AA.VV., L'abuso del diritto, Padova, 1998, 435; F. Cordopatri, L'abuso del processo, Padova, 2000; L.P. Comoglio, Abuso del processo e garanzie costituzionali, in RPDr, 2008, 319; A. Dondi, Manifestazioni della nozione di abuso del processo, in RPDr, 2008, 319) e nelle applicazioni giurisprudenziali, è stato di recente oggetto di rinnovata attenzione, certamente anche al fine di affrontare e contribuire a risolvere il problema, noto a tutti, di una giustizia civile non in grado di funzionare tempestivamente, anche perché spesso adita in modo strumentale.

Significativamente, così, al tema sono stati dedicati sia il ventottesimo convegno nazionale dei processualcivilisti svoltosi nel settembre 2011 a Urbino, sia due corsi di formazione organizzati dal CSM a Roma per la formazione dei magistrati nel 2012 (tra le pregevole relazioni ivi tenute, per una posizione favorevole alla configurabilità di una categoria generale dell'abuso del diritto, cfr. S. Benini, Abuso del processo e principio della ragionevole durata, relazione tenuta il 16/10/2012, in www.csm.it; A. Farolfi, L'abuso del processo cautelare e sommario, relazione tenuta il 15/10/2012, in www.csm.it; M.F. Ghirga, Dall'abuso del diritto all'abuso del processo e nel processo, relazione tenuta il 15/10/2012, in www.csm.it; R. Giordano, L'abuso nel processo cautelare e sommario, relazione tenuta il 21/5/2012, in www.csm.it. In posizione più critica in ordine alla configurabilità, e comunque alla reale necessità, di una categoria generale del divieto di abuso del processo, cfr. A. Scarpa, La repressione del'abuso del processo come esigenza di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti, relazione tenuta il 21/5/2012, in www.csm.it; G. Scarselli, Sul cd. abuso del processo, relazione tenuta il 15/10/2012, in www.csm.it).

Di particolare importanza, poi, è la rivitalizzazione della nozione di abuso del processo fatta dalla Suprema Corte, sul presupposto che l'esercizio del diritto di azione e difesa può, in taluni casi o con riguardo a determinate modalità, ritenersi abusivo, in quanto esercitato con uno sviamento dall'interesse per il quale lo strumento processuale è stato riconosciuto (per l'esistenza di un divieto di abuso del diritto in materia processuale anche con riferimento al processo amministrativo, cfr. Cons. Stato, sent. n. 1209/2012, in Giur. It., 2013, 2, 470).

La finalità di “contenimento di azioni giudiziarie pretestuose o palesemente malevoli, intraprese, cioè, all'esclusivo fine di recare pregiudizio ad altri o contro ogni legittima ed incolpevole aspettativa altrui”, è talvolta fatta risalire alla romanistica exceptio doli generalis (Cass. civ., sent.n. 5273/2007, in Riv. Dir. Civ., 2008, 2, 2, 223, con nota di Dalla Massara); ma in ogni caso ed a prescindere dal richiamo storico, l'abuso fuoriesce dal terreno dell'etica per entrare a pieno titolo in quello della disciplina processuale.

Alla base di tale orientamento si ha, sotto il profilo dogmatico, sia il superamento dell'impostazione classica, per la quale il diritto o si esprime nella sua totalità o non è; sia la consapevolezza della necessità di individuare una categoria generale che possa consentire il bilanciamento e l'equilibrio tra i diversi valori ed interessi in gioco, non potendo essi risultare tutti puntualmente tipizzati nelle loro possibili articolazioni dal diritto positivo.

Sotto il profilo pratico, poi, detto orientamento, che presuppone il rafforzamento dei poteri direttivi del Giudice, si fa carico di cercare di garantire la ragionevole durata del processo, divenuta canone costituzionale, e di salvaguardare la funzionalità del processo, inteso quale bene pubblicistico collettivo connotato da scarsità delle risorse.

L'abuso nel frazionamento del credito

La prima, più rilevante applicazione di tale principio, è stata operata dalla Cassazione nell'ambito del cosiddetto credito frazionato.

In un filone giurisprudenziale inaugurato nel 2007, la Suprema Corte ha infatti statuito che non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, frazionare e disarticolare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento contestuali o scaglionate nel tempo, in assenza di una particolare giustificazione: ciò integra infatti una scissione del contenuto dell'obbligazione operata dal creditore per sua esclusiva utilità e con unilaterale modificazione peggiorativa della posizione del debitore, tanto sotto il profilo del prolungamento del vincolo coattivo, quanto sotto quello dell'aggravio delle spese.

Detto comportamento si pone in contrasto sia con il dovere di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l'esecuzione del contratto, ma anche nell'eventuale fase dell'azione giudiziale per ottenere l'adempimento; sia con il parametro costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale proprio in un abuso degli strumenti processuali che l'ordinamento offre alla parte nei limiti di una corretta tutela della sua posizione sostanziale (cfr. Cass. civ., sent. n. 8576/2013; Cass. civ., sent. n. 28286/2011, in Foro It., 2012, I, 2813, con note di Brunialti e Graziosi; Cass. civ., sent. n. 6597/2010Cass. civ., S.U., sent. n. 26961/2009Cass. civ., sent. n. 24539/2009Cass. civ., sent. n. 28719/2008Cass. civ., Sez. Un., sent. n. 23726/2007, in Foro It., 2008, I, 1514 con note di Palmieri-Pardolesi e Caponi). Inoltre, il principio di infrazionabilità del credito unitario è stato poi anche recepito a livello legislativo, sia pure settorialmente (cfr. art. 20, commi 7, 8 e 9, d.l. n. 112/2008, conv. in l. n. 133/2008, in materia previdenziale-assistenziale), e validato anche dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., sent. n. 3/2011, in Foro It., 2012, 3, 31).

In conseguenza del suddetto principio, secondo la maggioritaria, e più severa, giurisprudenza, tutte e ciascuna delle domande giudiziali aventi ad oggetto una frazione di un unico credito, sono da dichiararsi improponibili (Cass. civ., sent. n. 24539/2009, cit., e Cass. civ., sent. n. 15476/2008, in Danno e Resp., 2009, 5, 519; per la giurisprudenza di merito, Trib. Catanzaro, ord. 22 febbraio 2012, Trib. Salerno 2 dicembre 2010, Trib. Busto Arsizio sez. dist. Gallarate 23 settembre 2010); per una tesi mediana, l'improponibilità riguarda invece solo le domande successive alla prima (Cass. civ., sent. n. 28286/2011, cit.); alcune pronunce parlano di inammissibilità (Trib. Napoli 1 aprile 2008, in Danno e Resp., 2009, 5, 517); il legislatore si riferisce all'improcedibilità (cfr. art. 20, commi 7-9, l. n. 133/2008); mentre la tesi più blanda parla infine di mera incidenza sulle spese di lite (Trib. Varese 16 giugno 2010, in www.ilcaso.it).

Inoltre, per un verso a nulla vale la riserva di far valere ulteriori e diverse voci di danno in altro procedimento (Cass. civ., sent. n. 28286/2011, cit. e Cass. civ., sent. n. 28719/2008, cit.); per altro verso, irrilevante, ai fini della declaratoria di improponibilità, è il fatto che le domande siano state frazionate in un contesto storico nel quale la Cassazione non aveva ancora espresso il principio in parola (Cass. civ., sent. n. 28286/2011, cit.).

L'applicazione di tale insegnamento giurisprudenziale è avvenuta in materia di TFR (Cass. civ., sent. n. 28719/2008, cit.); di spettanze lavorative (Cass. civ., sent. n. 26961/2009, cit.); di risarcimento danni derivanti da sinistro stradale, negando la possibilità di frazionare la richiesta di danni patrimoniali e non patrimoniali davanti al Giudice di Pace ed al Tribunale (Cass. civ., sent. n. 28286/2011, cit.). Recentemente, poi, il divieto di frazionamento del credito è stato esteso anche al processo esecutivo (cfr. Cass. civ., sent. n. 8576/2013, cit., per un caso in cui, a seguito di un titolo esecutivo in origine unitario, sono stati promossi tre distinti processi esecutivi per sorte capitale, accessori e spese).

Deve peraltro osservarsi che, secondo autorevole Dottrina, le ragionevoli conclusioni cui giunge la Corte in tema di divieto di frazionamento del credito, avrebbero potuto essere raggiunte anche senza invocare l'innovativo e controverso istituto dell'abuso del processo, ma più linearmente utilizzando il più tranquillante istituto del giudicato. Infatti, atteso che il giudicato copre non solo il dedotto, ma anche il deducibile, l'obiettivo di impedire il frazionamento della domanda giurisdizionale di pagamento, è perseguibile ritenendo coperta dal giudicato la domanda astrattamente proponibile nel precedente processo (così G. Scarselli, cit., e A. Scarpa, cit.).

L'abuso colpito impedendo ex ante un'attività processuale

Ancora più in generale, è stato evidenziato che l'abuso del processo, ricollegato al canone della ragionevole durata del processo stesso, può essere colpito negando la possibilità di compiere determinate attività processuali, posto che l'interpretazione delle norme viene ad essere effettuata non solo sul piano della loro coerenza logico-concettuale, ma anche per l'impatto operativo sulla durata del processo (Cass. civ., S.U., sent. n. 20604/2008).

In particolare, si è ritenuto che “il rispetto del fondamentale diritto ad una ragionevole durata del processo, impone in concreto al giudice di evitare e di impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di energie processuali e formalità da ritenere superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo ed in particolare dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, espresso dall'

art. 101 c.p.c., da effettive garanzie di difesa ex art. 24 Cost. e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità ex art. 111 Cost., dei soggetti nella cui sfera giuridica l'atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti” (Cass. civ., S.U . n. 26373/2008, in Giur. It., 2009, 668. Negli stessi termini, Cass. civ., sent. n. 18410/2009Cass. civ., sent. n. 2723/2010.

Sulla base di tale insegnamento, non sono stati concessi i termini per la notifica di un ricorso ad una parte del giudizio (Cass. civ., S.U ., sent. n. 26373/2008) o per l'integrazione del contraddittorio al litisconsorte necessario pretermesso (Cass. civ., sent. n. 2723/2010, cit.), una volta ritenuti i ricorsi inammissibili.

Inoltre, in un notissimo ed invero controverso arresto in ordine alla chiamata del terzo da parte col convenuto al di fuori delle ipotesi di litisconsorzio necessario, le Sezioni Unite, disattendendo il proprio precedente orientamento, hanno poi ritenuto che “il giudice cui sia tempestivamente chiesta dal convenuto la chiamata in causa, in manleva o in regresso, del terzo, può rifiutare di fissare una nuova prima udienza per la costituzione del terzo, motivando la trattazione separata delle cause per ragioni di economia processuale e per motivi di ragionevole durata del processo intrinseci ad ogni sua scelta, dopo la novella dell'art. 111 della Costituzione” (Cass. civ., S.U . , sent. n. 4309/2010).

L'abuso colpito negando ex post efficacia ad un'attività processuale

Specularmente, l'abuso è stato colpito anche negando rilevanza giuridica a determinate scelte processuali.

Così, se è vero che in linea generale il criterio per la determinazione della giurisdizione e della competenza va fissato in base alla domanda attorea, la prospettazione artificiosa e prima facie infondata, preordinata alla sottrazione della controversia al giudice naturale precostituito per legge, si pone come limite sia alla configurabilità della competenza (Cass. civ., ord. n. 25891/2010; Cass. civ., sent. n. 11314/2010), sia a quella della giurisdizione (Cass. civ., S.U., sent. n. 6217/2006, in Mass. Giur. It., 2006), poiché “la deroga alla competenza territoriale determinata del cumulo di cause connesse, proposte contro più persone e radicata presso il giudice del foro generale di uno dei convenuti, non trova applicazione allorché l'evocazione in giudizio di uno di essi appaia prima facie artificiosa e preordinata allo spostamento della competenza”.

Per colpire l'abuso di eccezione, si è poi stabilito che l'eccezione manifestamente infondata e pretestuosa di esistenza di un contratto agrario al solo fine di paralizzare la richiesta di convalida di sfratto e di determinare l'allungamento dei tempi necessari alla tutela giurisdizionale, non comporta l'incompetenza del primo giudice adito (Cass. civ., sent. n. 250/2006, in Arch. Locazioni, 2006, 4, 449).

Con una decisione ancora più controversa e duramente criticata in Dottrina, stante la sostanziale disapplicazione dell'art. 37 c.p.c., si è poi ritenuto non rilevabile d'ufficio in appello il difetto di giurisdizione, in ragione del giudicato implicito a seguito del mancato gravame sul punto (Cass. civ., S.U., n. 24883/2008Cass. civ., n. 27348/2008, Cass. civ., S.U. 29531/2008).

Similmente, il Consiglio di Stato ha ritenuto che integra un abuso del processo, contravvenendo al divieto di venire contra factum proprium, la cosiddetta autoeccezione del difetto di giurisdizione, e cioè la contestazione della giurisdizione da parte del soggetto che abbia optato per quella stessa giurisdizione, soccombendo poi nel merito (Con. Stato, sent. n. 656/2012, in Corr. Giur., 2012, 3, 405), pur se, anche in tal caso, alla medesima soluzione si sarebbe potuti arrivare in forza della teorica del giudicato implicito.

Inoltre, la figura è stata espressamente utilizzata per colpire il tentativo di lucrare ingiustificatamente sulle spese di lite in tema di equa riparazione ai sensi della legge n. 89/2001, poiché “la condotta di più soggetti, che dopo aver agito unitariamente nel processo presupposto, in tal modo dimostrando la carenza di interesse alla diversificazione delle rispettive posizioni, propongano contemporaneamente distinti ricorsi per equa riparazione, con identico patrocinio legale, dando luogo a cause inevitabilmente destinate alla riunione, in quanto connesse per l'oggetto ed il titolo, si configura come abuso del processo, contrastando con l'inderogabile dovere di solidarietà, che impedisce di far gravare sullo Stato debitore il danno derivante dall'aumento degli oneri processuali, e con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, avuto riguardo all'allungamento dei tempi processuali derivante dalla proliferazione non necessaria dei procedimenti. Tale abuso non è sanzionabile con l'inammissibilità dei ricorsi, non essendo illegittimo lo strumento adottato ma le modalità della sua utilizzazione, ma impone per quanto possibile l'eliminazione degli effetti distorsivi che ne derivano, e quindi la valutazione dell'onere delle spese come se il procedimento fosse stato unico fin dall'origine” (

Cass. civ., sent. n. 10634/2010, Cass. civ., sent. n. 9962/2011).

Sempre in tema di legge Pinto, il diritto all'equa riparazione, se normalmente prescinde dall'esito del giudizio irragionevolmente protrattosi nel tempo, e quindi compete anche quando, per l'imputato, il processo penale si definisce con estinzione del reato per prescrizione, ciò non accade, e quindi il risarcimento non è dovuto, laddove l'estinzione del reato derivi dell'utilizzo, da parte dell'imputato, di tecniche dilatorie o di strategie sconfinanti nell'abuso del processo (Cass. civ., sent. n. 23339/2010).

L'abuso sanzionato legislativamente

Sono oramai divenute molteplici le ipotesi normative in cui l'abuso del processo è sanzionato legislativamente.

Da una prima angolazione, già si è detto che il principio del divieto di frazionamento del credito è stato recepito a livello legislativo, sia pure settorialmente, dagli articoli 20, commi 7, 8 e 9, d.l. n. 112/2008, conv. in l. n. 133/2008, in materia previdenziale-assistenziale.

Da una seconda angolazione, il Decreto Ministeriale n. 140/2012, che regolamenta i compensi professionali dopo l'abrogazione delle tariffe, disciplina due ipotesi tipiche in cui la condotta abusiva dell'avvocato ha conseguenze patrimoniali per lo stesso, incidendo sulla quantificazione del compenso.

In particolare, ai sensi dell'articolo 4, comma 6, “costituisce elemento di valutazione negativa, in sede di liquidazione giudiziale del compenso, l'adozione di condotte abusive tali da ostacolare la definizione dei procedimenti in tempi ragionevoli”; ed inoltre, ai sensi dell'articolo 10, “nel caso di responsabilità processuale ai sensi dell'articolo 96 c.p.c., ovvero, comunque, nei casi di inammissibilità o improponibilità o improcedibilità della domanda, il compenso dovuto all'avvocato del soccombente è ridotto di regola del 50% rispetto a quello liquidabile”.

Da una terza angolazione e con riferimento alla legge Pinto, il recente legislatore della l. n. 134/2012, introducendo l'articolo 2, comma 2-quinquies,lett. a), l. n. 89/2001, ha statuito che l'indennizzo è escluso in favore della parte condannata ex art. 96 c.p.c.; ed introducendo l'articolo 5-quater, ha previsto che, in caso di domanda risarcitoria dichiarata inammissibile o manifestamente infondata, il Giudice possa condannare il ricorrente al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad € 1.000 e non superiore ad € 10.000.

Da una quarta angolazione, l'art. 283 c.p.c. così come modificato dalla l. n. 183/2011, ha previsto che se l'istanza di sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado è inammissibile o manifestamente infondata, il Giudice di appello può condannare la parte che l'ha proposta ad una pena pecuniaria compresa tra 250 e 10.000 euro.

Da una quinta angolazione, ai sensi dell'articolo 136 , comma 2 , d.P.R. n. 115/2002, c.d.T.U. spese di giustizia, la parte che “ha agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave”, è revocata, con decreto del Magistrato, dal beneficio dell'ammissione al gratuito patrocinio disposta dal Consiglio dell'Ordine.

Infine, e si tratta certamente della innovazione legislativa più rilevante sotto il profilo qualitativo della sistematica giuridica e sotto il profilo quantitativo delle potenzialità applicative, con la notissima modifica dell'articolo 96 c.p.c. tramite l'introduzione del suo terzo comma ad opera dalla l. n. 69/2009, il Legislatore ha previsto la possibilità, da parte del Giudice, di una condanna d'ufficio della parte soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata: così facendo, si è recepito ed esteso a tutti i processi il meccanismo dell'art. 385, comma 4, c.p.c., precedentemente dettato per il solo processo di Cassazione ed ora coerentemente abrogato.

Analoga previsione è posta nel processo amministrativo dall'art. 26, comma 2, d.lgs. n. 194/2010, ove peraltro l'ammontare della condanna è determinato, in quanto, a differenza di quanto accade nell'articolo 96, comma 3, c.p.c., è indicato tra il doppio ed il quintuplo del contributo unificato.