Il nuovo redditometro: natura della presunzione e applicazione retroattiva
08 Gennaio 2016
Inquadramento
Il nuovo redditometro, introdotto per le annualità successive al 2008, si caratterizza per profonde innovazioni di carattere non solo procedurale ma soprattutto “ontologico”. Il legislatore è intervenuto, con l'articolo 22 del D.L. n. 78/2010, sull'articolo 38 del D.p.r. 600/1973, sostituendo i commi da quarto a ottavo “al fine di adeguare l'accertamento sintetico al contesto socio-economico, mutato nel corso dell'ultimo decennio, rendendolo più efficiente e dotandolo di garanzie per il contribuente, anche mediante il contraddittorio”. A ben vedere il nuovo redditometro non costituisce tanto un “adeguamento”, quanto lo strumento attuativo di una profonda innovazione, introdotta per legge sull'istituto dell'accertamento sintetico, al fine di renderlo più efficiente, dotarlo di maggiori garanzie per il contribuente e tener conto del mutato contesto socio-economico. Uno dei punti dolenti nell'applicazione della disciplina dell'accertamento sintetico e, in particolare, di quello redditometrico, ha ad oggetto la qualificazione della natura giuridica delle presunzioni utilizzate dalle metodologie di accertamento tributario testé indicate: trattasi, in altre parole, di presunzioni legali o semplici?
Nel sistema tributario attuale in cui gli accertamenti presuntivi hanno completamente surclassato quelli di tipo analitico – si pensi al moltiplicarsi di strumenti induttivi volti all'accertamento dei redditi, professionali (gli studi di settore) e non (l'accertamento sintetico, redditometro) – la qualificazione della natura delle presunzioni appare del tutto dirimente rispetto alle strategie difensive dei contribuenti. In ogni caso, atteso che le presunzioni vengono definite quali “la conseguenza che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignoto”, sembra che sia per le presunzioni semplici – quelle che la legge lascia al libero apprezzamento del giudice – che per quelle legali (quelle il cui valore probatorio è riconosciuto automaticamente dalla legge, senza che il giudice le possa valutare liberamente), valga il principio per cui o il contribuente offre una prova contraria destinata a superarle o perde il ricorso avverso l'avviso di accertamento tributario. Pertanto, considerato che i sistemi di accertamento in esame si fondano sulla presunzione per cui, individuato un certo indice di capacità contributiva (nel caso del redditometro) o quantificata una spesa di qualsiasi genere (nel caso dell'accertamento sintetico puro) si addiviene, attraverso un ragionamento induttivo, alla rideterminazione in pejus del reddito dichiarato, appare ovvio come il contribuente, ai fini della propria difesa, dovrà contestare che sia stata fornita la prova da parte dell'Ufficio del fatto utilizzato come indice di spesa, ovvero la quantificazione, in termini monetari, data a tale indice; infine, potrà contraddire in ordine alla rideterminazione del reddito rettificato.
La differenza fondamentale – ferma la possibilità dell'onere della prova del contrario fornita dal contribuente – è nel fatto che una presunzione semplice, a differenza di quella legale, potrebbe essere costituita da anche una mera illazione che potrebbe aver convinto l'Ufficio ma potrebbe benissimo, in caso di contestazione giudiziale, non convincere il Giudice anche senza che il contribuente fornisca una adeguata prova contraria. Mutatis mutandis, ove si tratti di presunzione legale, l'illazione vincolerà comunque il Giudice e, pertanto, potrebbe essere vinta solo dalla prova contraria fornita dal contribuente: ne deriva che le percentuali di vittoria per il contribuente, in caso di impugnazione di un avviso di accertamento fondato su sistema sintetico, sono sensibilmente maggiori nell'ipotesi in cui la presunzione utilizzata dall'Ufficio sia di tipo semplice anziché legale. Ad ogni buon conto, dottrina e giurisprudenza hanno spesso oscillato intorno al tema della qualificazione della natura delle presunzioni utilizzate nel sistema degli accertamenti sintetici anche se, soprattutto anteriormente alla riforma del D.L. 78/2010, l'orientamento maggioritario era piuttosto rivolto a sussumerle nell'alveo della presunzione legale relativa.
Invero, la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito più volte che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la determinazione del reddito effettuata sulla base dell'applicazione del cosiddetto “redditometro” dispensa l'Amministrazione finanziaria da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti-indici di maggiore capacità contributiva, individuati dal redditometro stesso e posti alla base della pretesa tributaria fatta valere”(cfr. Cass. civ., sez. trib., 19 aprile 2001, n. 5794).
L'arresto di cui sopra veniva peraltro confermato con una sentenza del 2007, secondo cui “è pacifico e consolidato orientamento quello secondo cui, in tema di accertamento dei redditi, la disponibilità dei beni prevista dall'art. 2 del D.P.R. 600/1973 costituisce una presunzione di capacità contributiva da qualificare “legale” ai sensi dell'art. 2728 c.c., perché è la stessa legge che impone di ritenere conseguente al fatto certo di tale disponibilità l'esistenza di una capacità contributiva» di modo che «il giudice tributario, una volta accertata l'effettività fattuale degli specifici elementi indicatori di capacità contributiva esposti dall'ufficio, non ha il potere di togliere a tali elementi la capacità contributiva presunta che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati nella norma”(cfr. Cass. civ., sez. trib., n. 22574/2007; conf. Cass. civ., sez. trib., 7 aprile 2008, n. 8845).
Se questo è l'affresco che si presentava anteriormente alle modifiche legislative 2010, la portata radicalmente innovativa del D.L. 78/2010 non poteva non incidere in ordine alla qualificazione delle natura delle presunzioni de quibus.
In primis, non possono affatto sottacersi gli effetti in tal senso determinati dall'introduzione dell'obbligatorietà del preventivo contraddittorio endoprocedimentale, in ordine ai periodi di imposta per gli anni 2009 e seguenti. Il novellato art. 38, sesto comma, del D.P.R. n. 600/1973 prevede, infatti, che l'ente impositore “ha l'obbligo di invitare a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti” il contribuente al fine “di fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento”: è evidente la ratio di tale innovazione, ovvero quella di adattare le presunzioni dell'Ufficio alla reale ed effettiva situazione economico-reddituale del contribuente, nell'attuazione del principio di collaborazione tra contribuente ed ente impositore di cui all'art. 10 della Legge n. 212/2000, cd. “Statuto del Contribuente”. Orbene, atteso che l'inottemperanza dell'Ufficio finanziario all'obbligo del contraddittorio preventivo comporta addirittura la nullità dell'atto di accertamento, è evidente che il legislatore ritenga che, sia le spese di qualsiasi genere che abbia acclarato essere state effettuate dal contribuente (comma 4), sia gli indici del redditometro di cui al D.M. 24 dicembre 2012 costituiscano presunzioni legittimanti la rettifica sintetica del reddito solo e soltanto se l'Ufficio ne abbia ponderato positivamente, in tale sede, l'efficacia presuntiva, di tal guisa che è da escludere che gli elementi indicati assurgano, per espressa disposizione di legge, al rango della presunzione legale che consentirebbe la rettifica sintetica della dichiarazione e quindi l'assolvimento, per ciò solo, dell'onere probatorio da parte dell'Agenzia.
In subiecta materia la giurisprudenza, nel solco della riforma ex D.L. 78/2010, ha confermato che “l'accertamento effettuato in base al redditometro rientra tra quelli «standardizzati» mediante l'applicazione di parametri o studi di settore, i quali, in base alle sentenze delle Sezioni Unite della stessa Corte 18 dicembre 2009, n. 26635, n. 26636, n. 26637 e n. 26638, costituiscono un sistema di presunzioni semplici” (Cass. civ., sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13289).
Inoltre, nella sentenza n. 23554 del 2012, la Cassazione, ancor più chiaramente, ha mutato orientamento affermando che l'accertamento sintetico, “già nella formulazione anteriore a quella successivamente modificata” dal D.L. n. 78/2010, “tende a determinare, attraverso l'utilizzo di presunzioni semplici, il reddito complessivo presunto del contribuente mediante i cd. elementi indicativi di capacità contributiva stabiliti dai decreti ministeriali con periodicità biennale”. Tuttavia, a pochi mesi di distanza dalle sentenze testé indicate, si è registrato un nuovo cambio di rotta da parte della Corte di Cassazione, la quale ha riaffermato la natura di presunzione legale relativa delle risultanze del redditometro, con conseguenze notevoli, in termini di prova, per il contribuente: nelle sentenze 6 agosto 2012, n. 14168, 5 settembre 2012, n. 14896 e 29 ottobre 2012, n. 18604, la giurisprudenza della Corte ha ritenuto che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la determinazione del reddito effettuata sulla base dell'applicazione del cosiddetto “redditometro” dispensa l'Amministrazione finanziaria da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti-indici di maggiore capacità contributiva, individuati dal redditometro stesso e posti a base della pretesa tributaria fatta valere, e pone a carico dei contribuente l'onere di dimostrare che il reddito presunto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore”.
L'Agenzia delle Entrate ha aderito a tale orientamento precisando, nella Circolare 12 marzo 2010, n. 12/E, esplicativa del D.L. 78/2010, che l'accertamento effettuato mediante l'utilizzo del “redditometro” si fonda su una presunzione legale relativa, che può essere contrastata con vari elementi di prova contraria.
Ma un nuovo recente revirement era dietro l'angolo: con l'ordinanza n. 2806/2013, la Corte di Cassazione ha nuovamente definito lo strumento redditometrico quale mera presunzione semplice. Anche la recentissima giurisprudenza di merito appare inserita nel medesimo solco (cfr. sentenza 209/63/2013 della CTR Lombardia): i Giudici Tributari hanno precisato che il redditometro costituisce un accertamento di natura statistica come affermato, tra l'altro, dalla sentenza 23554/2012 della Cassazione, di guisa che valgono le stesse considerazioni più volte espresse in ordine a parametri e studi di settore, per i quali la motivazione dell'atto non può esaurirsi nel semplice scostamento dalle risultanze del metodo statistico.
L'avviso del Fisco deve contenere l'esito del contraddittorio, necessario per adattare lo strumento al caso concreto. Inoltre nella motivazione devono emergere le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente, facendo comparire la gravità, precisione e concordanza a sostegno della presunzione operata. Le modifiche apportate allo strumento, prima in via interpretativa (ad opera della Circolare n. 6/E del 2014), poi in via normativa (per effetto del D.M. 16 settembre 2015), che tengono conto delle osservazioni del Garante della Privacy, hanno ancorato sempre di più il redditometro all'esistenza di spese ed elementi certi, riducendo la discrezionalità dell'Amministrazione finanziaria, slegata dalla necessità di provare ulteriori elementi.
In altri termini, l'Agenzia delle Entrate confronterà i redditi dichiarati con le spese di qualsiasi genere sostenute nello stesso anno, tenendo conto di: spese certe (risultanti da dati disponibili o presenti in Anagrafe tributaria); spese per elementi certi; quota di incremento patrimoniale imputabile al periodo d'imposta; quota di risparmio formatasi nell'anno.
Se questa è la premessa, sembrano logiche le conclusioni cui è giunta di recente la Cassazione con la sentenza n. 20649 del 14 ottobre 2015 secondo cui nell'accertamento da “redditometro”, la motivazione dell'avviso può esaurirsi nell'indicazione dei fatti indice di capacità contributiva gravando sul contribuente la prova documentale che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.
Secondo la CTR l'Ufficio aveva sufficientemente motivato l'accertamento sintetico, specificando gli indici di ricchezza e dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata. La Cassazione ha confermato tale verdetto osservando che “in presenza di dati certi ed incontestati, considerati indici di capacità contributiva, non è consentito pretendere una motivazione specifica dei criteri in concreto adottati per pervenire alle poste di reddito fissate in via sintetica nel cosiddetto redditometro, in quanto esse, proprio per fondarsi su parametri fissati in via generale, si sottraggono all'obbligo di motivazione, secondo il principio stabilito dall'art. 3, comma 2, L. 7 agosto 1990, n. 241”; pertanto l'Amministrazione finanziaria “resta dispensata da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti indicativi di capacità contributiva, individuati dal redditometro stesso e posti a base della pretesa tributaria, gravando sul contribuente l'onere di dimostrare che il reddito presunto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore”.
Si tratta di una problematica complessa, che necessita di ulteriori approfondimenti ed in ordine alla quale si ritiene inevitabile l'intervento delle Sezioni Unite della Cassazione al fine di risolvere il menzionato contrasto giurisprudenziale.
Il nuovo redditometro ha apportato delle innovazioni così profonde da incidere, al di là dei mutamenti procedimentali, nella sfera patrimoniale del contribuente nella sostanza. Si pensi alle conseguenze sul piano sostanziale che già la circostanza per cui risultano mutati i requisiti per accedere allo strumento redditometrico (è sufficiente lo scarto del 20% per un anno) ha comportato, ovvero alla eliminazione del riferimento ai cd. Fatti certi giacché, attualmente, assumono rilievo le spese di qualsiasi genere. Si rammenti, ancora, l'abolizione, nel computo del calcolo redditometrico, dell'incremento patrimoniale in misura pari ad 1/5, o al mutato paniere di beni e servizi posto a base del calcolo induttivo: in tal caso al contribuente sarà imposto di fornire prove attinenti al passato, che all'epoca non erano richieste, oppure da istruire in maniera completamente differente.
Oltre ai principi costituzionali dell'affidamento del contribuente e della certezza del diritto, viene violato anche l'art. 3 dello Statuto del Contribuente che prevede espressamente che “le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. Relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono”. Ne deriva che il D.L. del 2010, nella parte in cui fa riferimento “agli accertamenti relativi a redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto”, sembra violare anche la disposizione testé indicata.
Il nuovo redditometro ha introdotto innovazioni e parametri (si pensi al riferimento alle condizioni familiari) radicalmente diversi da quelli previsti in precedenza, di guisa che il contribuente avrebbe dovuto essere edotto, sin dal momento della predisposizione della dichiarazione dei redditi, dei fatti, degli indizi, delle modalità e degli strumenti attraverso i quali l'Amministrazione può procedere alla rettifica in pejus della dichiarazione stessa. Lo prevede, del resto, anche l'art. 5, comma 2, dello Statuto del contribuente, ove dispone che “l'Amministrazione finanziaria deve portare a conoscenza dei contribuenti tempestivamente con mezzi idonei tutte le circolari e le risoluzioni da essa emanate, nonché ogni altro atto o decreto che dispone sulla organizzazione, sulle funzioni e sui procedimenti”.
In definitiva, le modifiche apportate al sistema di accertamento da redditometro, ai sensi del combinato disposto di cui all'art. 22 D.L. n. 78/2010 e D.M. 24 dicembre 2012, in ragione degli effetti incisivi e deteriori apportati alla sfera giuridica del contribuente, sono tutt'altro da considerarsi quali mere norme di carattere procedimentale, non potendo qualificarsi tout court come un'evoluzione dello strumento precedente. A favore di una tale tesi vi sono diverse argomentazioni, alcune basate anche sull'interpretazione letterale delle norme. In primo luogo è necessario sottolineare che lo stesso legislatore ha precisato l'ambito temporale di applicazione del “nuovo redditometro”.
L'art. 22, comma 1, del citato D.L. n. 78/2010 stabilisce, infatti, che le modifiche apportate all'art. 38 del D.P.R. n. 600/1973 hanno effetto “per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto” (vale a dire con esclusione degli accertamenti relativi a periodi d'imposta anteriori al 2009). Inoltre, nel sistema attualmente vigente, come delineato dal D.M. 24 dicembre 2012, non si riscontra una disposizione analoga a quella prevista – sempre in tema di accertamento sintetico – dall'art. 5, comma 3, ultimo periodo del D.M. 10 settembre 1992, il quale – nel far salvi gli accertamenti emanati sulla base del precedente D.M. 21 luglio 1983 – ha previsto che “Il contribuente può, tuttavia, chiedere, qualora l'accertamento non sia divenuto definitivo, che il reddito venga rideterminato sulla base dei criteri indicati nell'art. 3 del presente decreto”.
Al contrario, anche il D.M. 24 dicembre 2012 – emanato in attuazione delle nuove norme in materia di accertamento sintetico – ribadisce che le disposizioni in esso contenute “si rendono applicabili alla determinazione sintetica dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni d'imposta a decorrere dal 2009”. In definitiva, sia il limite temporale individuato dallo stesso D.L. n. 78/2010, sia l'assenza di una previsione analoga a quella contenuta nel D.M. del 1992 inducono di per sé ad escludere un'applicazione retroattiva del “nuovo redditometro”.
Non possono essere applicati al nuovo redditometro, inoltre, i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità sull'applicazione retroattiva dei provvedimenti che modificano gli studi di settore. Invero, la possibilità di un utilizzo retroattivo di studi di settore “evoluti” e di quelli “integrati” è stata indicata anche al punto 4 della circolare n. 30/E dell'11 luglio 2012, laddove si è chiarito che il presupposto per un'applicazione retroattiva dello strumento di accertamento dello studio di settore è comunque rappresentato dall'esistenza di una metodologia analoga, che consenta quindi di ritenere sostanzialmente comparabili le procedure adottate.
Di contro, a fronte di sostanziali differenze nella metodologia e nella base dati di riferimento, lo strumento non può essere utilizzato in via retroattiva. Al riguardo va evidenziato che, ai sensi dell'art. 1, comma 1, del D.M. del 1992, “La disponibilità di beni e servizi…descritti nella tabella allegata che fa parte integrante del presente decreto, è valutata, ai fini della determinazione sintetica del reddito complessivo netto delle persone fisiche ai sensi dell'art. 38, quarto comma, del predetto decreto…secondo le modalità indicate nel presente decreto”, ossia sulla base della mera disponibilità del bene o servizio indice di capacità contributiva.
Come noto, a ciascuno dei beni e servizi elencati nella tabella allegata al citato D.M. del 1992 corrisponde un valore predefinito, da moltiplicare per il rispettivo coefficiente. Il valore così ottenuto è indicativo non della spesa sostenuta in relazione al possesso dello specifico bene o servizio, quanto piuttosto del reddito complessivo induttivamente espresso dalla disponibilità del medesimo bene o servizio.
Con l'introduzione del “nuovo redditometro”, invece, il reddito complessivo viene sinteticamente determinato sulla base di elementi indicativi di capacità contributiva, affatto diversi dalla disponibilità di beni o servizi: ai sensi dell'art. 1, comma 2 del decreto ministeriale 24 dicembre 2012, “per elemento indicativo di capacità contributiva si intende la spesa sostenuta dal contribuente per l'acquisizione di servizi e di beni e per il relativo mantenimento”. Il reddito complessivo accertabile del contribuente è, quindi, determinato quale somma dell'ammontare di ciascuna tipologia di spesa, considerando l'ammontare più elevato tra le spese effettivamente sostenute come risultanti dalle informazioni presenti in Anagrafe Tributaria e le spese medie rilevate dall'ISTAT sulla base dei consumi medi annuali delle famiglie ovvero desunte da analisi e studi socio economici, cui si aggiungono le quote degli incrementi patrimoniali e di risparmio.
Tra “vecchio” e “nuovo” redditometro emerge, in sintesi, una sostanziale disomogeneità, sia nell'approccio metodologico alla determinazione del reddito complessivo sia nella base dati di riferimento ossia negli indicatori sintetici di reddito, che, conseguentemente, giustifica la scelta del legislatore di non attribuire valenza retroattiva al “nuovo redditometro”.
Sul punto si sottolinea il recentissimo intervento della Cassazione che , con ordinanza n. 22744 del 6 novembre 2015, accogliendo il ricorso dell'Agenzia delle Entrate, ha ricondotto la questione nell'alveo di una problematica di diritto intertemporale: secondo la pronuncia, infatti, con disposizione di diritto transitorio, l'art. 22, comma 1, del D.L. n. 78/2010 statuisce che le modifiche apportate all'art. 38 del D.P.R. n. 600/1973 producono effetti "per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto", ossia per l'accertamento del reddito relativo a periodi d'imposta successivi al 2009. La Commissione Tributaria Regionale del Veneto aveva parzialmente accolto l'impugnazione del contribuente avendo ritenuto applicabile alla fattispecie, in luogo dei parametri previsti dal D.M. 10 settembre 1992 quelli del D.M. del 24 dicembre 2012 (intervenuto in corso di causa), e ciò in ragione della natura procedimentale delle norme regolamentari e della necessità di applicare la disciplina più favorevole al contribuente.
La Corte Suprema, censurando la decisione di secondo grado, ha evidenziato “che il richiamo alla retroattività è inconferente, giacché la giurisprudenza della Corte, nell'affermare l'applicabilità degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992 ai periodi d'imposta precedenti alla loro adozione, non sulla retroattività ha fatto leva, bensì sulla natura procedimentale delle norme dei decreti, che ne comporta l'applicabilità in rapporto al momento dell'accertamento (vedi, fra varie, Cass. civ. 19 aprile 2013, n. 9539)”. Allo stesso modo inconferente è l'invocazione del principio del favor rei, “perché l'applicazione di tale principio è predicabile unicamente al cospetto di norme sanzionatorie, non già allorquando si tratti dei poteri di accertamento oppure della formazione della prova, che sono appunto i piani coinvolti dal redditometro. Ed ancor prima, ad ogni modo, va rilevato che la questione su quale sia la norma applicabile è questione di diritto intertemporale che, appunto, va a identificare, nella successione fra più norme, quella da dover applicare; ma il diritto intertemporale necessariamente recede a fronte di esplicita previsione di diritto transitorio, che esso stesso identifica la norma applicabile. E nel nostro caso, con disposizione di diritto transitorio, il D.L. n. 78/2010, art. 22, comma 1, statuisce che le modifiche apportate al D.P.R. n. 600/1973, art. 38, producono effetti ‘per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto', ossia per l'accertamento del reddito relativo a periodi d'imposta successivi al 2009 (Cass. civ., sez. VI-T, 6 ottobre 2014, n. 21041)”.
In conclusione
La giurisprudenza di merito ha spesso ritenuto il nuovo redditometro applicabile anche retroattivamente: è stato infatti ritenuto che il nuovo redditometro, come introdotto dal D.L. 78/2010, sia applicabile anche ai periodi d'imposta antecedenti al 2009, in sostituzione del vecchio procedimento, in quanto costituisce, in analogia con gli studi di settore, uno strumento presuntivo che è stato perfezionato nel tempo, fino a pervenire alla attuale formulazione (cfr. sentenze della Comm. trib. prov. Rimini 21 marzo 2013, n. 41/02/13, e della Comm. trib. prov. Reggio Emilia 18 aprile 2013, n. 74/02/13).
In particolare, la Commissione Tributaria di Rimini ha stabilito che “le modifiche proposte intendono pertanto innovare profondamente questo importante strumento di contrasto alla evasione dell'imposta sul reddito delle persone fisiche”. Parimenti, con la sentenza n. 74/02/13, la Comm. Trib. Prov. Di Reggio Emilia stabiliva che “la revisione (più che l'aggiornamento) dell'accertamento sintetico, operata con il D.L. n. 78/2010, non può rappresentare un intervento di natura sostanziale, perché non introduce nuove fattispecie impositive, sicché, per chi condivide l'impostazione, attuata più volte dalla giurisprudenza e dalla prassi dell'Agenzia delle Entrate, della distinzione tra norme sostanziali e procedimentali, l'intervento operato con il D.L. n. 78/2010 va catalogato tra quelli riguardanti norme procedimentali, con la conseguenza che il contribuente può sostenere l'applicazione retroattiva delle nuove disposizioni, se più favorevoli, anche per le annualità precedenti al 2009”.
In altre parole, i Giudici Tributari hanno ritenuto di dover assimilare l'accertamento sintetico di cui all'art. 38 a quello compiuto sulla scorta degli studi di settore, in relazione al quale le Sezioni Unite (cfr. ss.uu. sentenza n. 26635/2009, hanno chiarito che "il sistema delineato è frutto di un processo di progressivo affinamento degli strumenti di rilevazione della normale redditività, che giustifica la prevalenza in ogni caso dello strumento più recente su quello precedente con la conseguente applicazione retroattiva dello standard più affinato e, pertanto, più affidabile") avevano già avuto modo di statuire che la forma più evoluta di accertamento standardizzato dovesse prevalere sulla precedente, in quanto maggiormente affinata rispetto a quest'ultima. Il predetto orientamento muove da un presupposto fondamentale, ovvero quello di considerare il redditometro quale norma di carattere procedimentale che, come tale, risulta di immediata applicazione e perciò si applica anche ai rapporti sorti prima dell'entrata in vigore delle stesse, senza violare il principio di irretroattività: le norme procedimentali, invero, quali atti della procedura che conducono all'imposizione e alla esazione del tributo, per loro natura non possono che essere applicate dalla data di entrata in vigore, anche in relazione a fattispecie impositive verificatesi precedentemente, a differenza delle norme sostanziali in cui la retroattività non è consentita.
Tale impostazione, alla luce delle considerazioni svolte in precedenza, non è condivisibile: contro di essa depongono argomentazioni sia di tipo letterale che di tipo sistematico, per essere il nuovo redditometro ontologicamente e funzionalmente diverso dalla “vecchia versione”. Ne consegue che il contribuente non potrebbe invocarne gli effetti, nemmeno in melius, in relazione ad annualità antecedenti a quella a partire dalla quale le legge ne prevede l'utilizzo (ovvero il 2009).
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