Nell'ambito della legge delega per la realizzazione di un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita (legge 11 marzo 2014, n. 23) una parte rilevante è rivestita dal restyling dell'istituto dell'interpello nell'ottica di realizzazione della cd. tax compliance.Motivo questo che ha indotto, nel contesto delle misure volte a rafforzare la cooperazione tra amministrazione e contribuenti e nel quadro della costruzione di un rapporto sempre più fondato sul dialogo e sulla reciproca collaborazione, ad una rivisitazione del predetto istituto.
Interpello e consulenza giuridica
Come noto per interpello si intende l'istanza che il contribuente rivolge all'Agenzia delle Entrate prima di attuare un comportamento fiscalmente rilevante, per ottenere chiarimenti in merito all'interpretazione di una norma obiettivamente incerta, relativa a tributi erariali, da applicare a casi concreti e personali.
Al contrario, la consulenza giuridica si occupa invece dell'individuazione del corretto trattamento fiscale di fattispecie riferite a problematiche di carattere generale, prospettate anche nel corso di attività di controllo o in sede di esame di istanze di rimborso o di autotutela. Il legislatore è tuttavia intervenuto solo in merito all'istituto dell'interpello potenziandone lo strumento con l'introduzione di altre fattispecie. Pertanto, tale strumento è stato oggetto di un adeguamento a quelli che sono divenuti gli attuali obiettivi anche in coerenza con la profonda trasformazione del ruolo e delle funzioni della Pubblica Amministrazione rispetto alla quale la predetta legge delega intende segnare un ulteriore passo avanti tenuto conto che il legislatore è sempre più spesso intervenuto per sostituire al modello tradizionale ed autoritativo dell'amministrazione “controllore” quello, più moderno ed avanzato, di un'amministrazione collaborativa, propensa al dialogo coi cittadini ed incline a supportarli nell'adempimento dei loro obblighi tributari.
La "rivoluzione" degli interpelli
La “rivoluzione” dell'istituto dell'interpello passa attraverso il coinvolgimento di tre decreti e più esattamente:
quello recante misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario (D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156), che ha rimodulato le tipologie di interpello nel rispetto delle linee guida dettate dal legislatore delegato di cui all'art. 6 del D.Lgs. Quest'ultime in particolare si sono focalizzate:
sulla tendenziale eliminazione delle forme di interpello “obbligatorio”;
sull'omogeneità nell'ambito della tutela giurisdizionale nonché delle regole procedurali applicabili;
nella maggiore celerità nella redazione dei pareri;
quello recante misure per la crescita e l'internazionalizzazione delle imprese (D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147), che introduce nell'ordinamento una nuova tipologia di interpello preventivo indirizzato alle società che effettuano nuovi investimenti, con un termine per la risposta di 120 giorni;
quello recante disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente (D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128), che al titolo III contiene la disciplina del regime dell'adempimento collaborativo, istituito con la finalità di promuovere l'adozione di forme di comunicazione e di cooperazione rafforzate basate sul reciproco affidamento tra l'Amministrazione finanziaria e le società di maggiori dimensioni, nonché di favorire la prevenzione e la risoluzione delle controversie in materia fiscale. In tale ambito, l'art. 6 prevede la possibilità di accedere ad una procedura abbreviata di interpello preventivo, con un termine per la risposta di 45 giorni.
Tipologie e caratteristiche
Il primo Decreto, quello sulla revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario introduce all'articolo 1, una rivisitazione della disciplina complessiva dell'interpello, andando a modificare l'articolo 11 dello Statuto del Contribuente, che contempla quattro diverse tipologie di interpello:
ordinario (comma 1, lettera a)), riguardante l'applicazione delle disposizioni tributarie, quando vi sono condizioni di obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni a cui si aggiunge quello qualificatorio (comma 1, lettera a)), in relazione alla corretta qualificazione di fattispecie, ove ricorrano condizioni di obiettiva incertezza e non siano comunque attivabili le procedure relative all'accordo preventivo per le imprese con attività internazionale e all'interpello sui nuovi investimenti, introdotte rispettivamente dagli articoli 1 e 2 del citato decreto legislativo sull'internazionalizzazione (D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147). Al riguardo, la Relazione illustrativa del D.Lgs. in esame chiarisce che, a differenza dell'interpello ordinario interpretativo, oggetto dell'istanza qualificatoria non è la norma e la sua applicazione, ma la qualificazione della fattispecie. Ne deriva che quest'ultima fattispecie esclude le ipotesi già rientranti nell'applicativo sia della nuova procedura di ruling internazionale prevista dal cd. decreto internazionalizzazione che di quelle ipotesi costituenti “nuovo investimento” nell'accezione prevista dal medesimo decreto, per le quali è possibile attivare la procedura di interpello speciale “dedicata” ivi prevista. Si precisa inoltre che la facoltà di presentare istanze di interpello del predetto tipo presuppone, in ogni caso, l'esistenza di una obiettiva incertezza sulla qualificazione delle fattispecie, con la conseguenza che quelle ricorrenti, se non caratterizzate da elementi di peculiarità o, comunque, di complessità, non possono costituire oggetto dell'istanza;
probatorio (comma 1, lettera b)), concernente la sussistenza delle condizioni e la valutazione della idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per l'adozione di specifici regimi fiscali nei casi espressamente previsti. In questa categoria vi rientrano quelle istanze di interpello:
attualmente previste dall'art. 11, c.13 della Legge n. 413/91 volte a fornire, in relazione alle operazioni intercorse con imprese residenti o localizzate in Paesi black list, la dimostrazione delle condizioni esimenti previste dall'art. 110 del TUIR;
cd. Controlled Foreign Companies(CFC) ai sensi dell'art. 167 del TUIR volte a fornire la dimostrazione delle condizioni previste dal comma 5 del predetto articolo;
ai sensi dell'art. 113 del TUIR dagli enti creditizi che scelgano di non applicare il regime proprio delle partecipazioni di cui all'art. 87 del TUIR a quelle acquisite nell'ambito degli interventi finalizzati al recupero di crediti o derivanti dalla conversione in azioni di nuova emissione dei crediti verso imprese in temporanea difficoltà finanziaria, nel rispetto delle disposizioni di vigilanza per le banche emanate da parte di Banca d'Italia;
per la continuazione del consolidato di cui all'art. 124 del TUIR, presentate in occasione della effettuazione di operazioni di riorganizzazione generalmente interruttive del medesimo, volte a constatare che, anche dopo l'effettuazione di tali operazioni, permangono tutti i requisiti previsti dalle disposizioni di cui agli artt. 117 e seguenti ai fini dell'accesso al regime;
per l'accesso al consolidato mondiale di cui all'art. 132 del TUIR;
presentate dalle società che presentano i requisiti per essere considerate “non operative” ai sensi e per gli effetti della disciplina di cui all'art. 30 della Legge n. 724/94;
ai fini del riconoscimento del beneficio ACE di cui all'art. 1 del D.L. n. 201/2011 in presenza di operazioni potenzialmente suscettibile di comportare indebite duplicazioni di benefici, ai sensi dell'art. 10 del decreto ministeriale 14 marzo 2012;
antiabuso (comma 1, lettera c)), sull'applicazione della disciplina sull'abuso del diritto ad una specifica fattispecie. Debbono pertanto considerarsi ricomprese quelle fattispecie di interpello antielusivo di cui all'art. 21 della Legge n. 413/91 nonché quelle ai sensi del comma 3 dell'art. 37 del D.P.R. n. 600/73;
disapplicativo (comma 2), per la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta, o altre posizioni soggettive del soggetto passivo altrimenti ammesse dall'ordinamento, fornendo la dimostrazione che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non possono verificarsi. Tale ultima tipologia è di carattere obbligatorio, ferma restando la possibilità per il contribuente, qualora non sia stata resa risposta favorevole, di fornire la richiesta dimostrazione anche nelle successive fasi dell'accertamento in sede amministrativa e contenziosa. In altri termini ne consegue che, la presentazione dell'istanza ovvero la mancata presentazione non pregiudicano, in alcun caso, la possibilità per il contribuente di fornire la dimostrazione della spettanza della disapplicazione anche nelle successive fasi dell'accertamento amministrativo e del contenzioso. Motivo per cui il legislatore ha previsto, nell'ipotesi di risposta negativa, la possibilità per il contribuente della sua impugnazione “differita” (cd. tutela differita), ossia unitamente al ricorso avverso l'atto di accertamento.
Non può che essere apprezzabile l'intento del legislatore di ricondurre a sostanziale unità, perlomeno con riferimento ai profili procedurali, delineando, salvo specifiche puntualizzazioni, un procedimento tipo che riprende sostanzialmente, uniformandola, la struttura dell'”attuale” modello dell'interpello ordinario. Tuttavia, questa scelta, nonché esigenza, di uniformare l'istituto dell'interpello sembra però contrastare con l'indirizzo di “maggiore uniformità” espressamente previsto dall'art. 6, comma 6, della legge delega nel momento in cui vengono introdotte due nuove fattispecie contemplate nel decreto internazionalizzazione e in quello sulla certezza del diritto che appaiono destinate a seguire regole loro proprie dettate dalle rispettive norme istitutive che differiscono da quei principi comuni caratterizzanti le altre forme di interpello.
La nuova articolazione dell'interpello
Tempi ed efficacia nella risposta
Il comune impianto normativo con cui il legislatore ha voluto disciplinare le varie tipologie di interpello prevede espressamente:
la perentorietà dei tempi di risposta dell'Amministrazione finanziaria da fornire in forma scritta e motivata rispettivamente entro 90 giorni nell'ipotesi di istanze ordinarie o qualificatorie, e 120 giorni negli altri casi. Così operando si è tentato di perseguire l'obiettivo della “maggiore tempestività” benché non sempre ciò sembrerebbe avvenire. Infatti, stando al tenore letterale della norma, in caso di richiesta di integrazione della documentazione, che potrà essere fatta una sola volta, la risposta dell'Agenzia dovrà essere resa entro 60 giorni dalla ricezione della documentazione, ricordando altresì che, la mancata produzione entro un anno dalla richiesta, determina la rinuncia all'interpello il quale, tuttavia, potrà essere ripresentato, qualora ne ricorrano ancora tutti i presupposti, compresa la condizione di preventività. Alla luce di quanto esposto si potranno pertanto verificare per assurdo ipotesi in cui il termine di risposta possa essere inferiore ai 90/120 giorni o di gran lunga superiori nel caso in cui la richiesta sia avanzata in prossimità della richiesta;
l'efficacia della risposta anche in relazione ai comportamenti successivi del contribuente a condizione che siano riconducibili alla medesima fattispecie oggetto di interpello;
che l'iter procedimentale sia ora disciplinato a livello normativo e non più a quello di prassi così come nel recente passato.
Ciò nonostante alcune scelte operate dal legislatore, ad avviso di chi scrive, restano ancora criticabili tra le quali quella del termine di risposta. A riguardo, il far ripartire in caso di integrazione della documentazione, il conteggio del termine sempre da zero sembra “eludere” una delle linee guida declinate all'interno della legge delega. Ma il punto su cui si ritiene che non si siano fatti passi avanti è quello inerente la vexata quaestio dell'impugnabilità o meno delle risposte negative alle istanze d'interpello. In questo ambito, infatti, il concetto di “tutela differita” sembra, solo in parte, far propri quelli che erano gli orientamenti della giurisprudenza più recente. Motivo questo che ha indotto il legislatore a prendere una posizione chiara confermando l'impossibilità all'impugnabilità del diniego d'interpello.
In conclusione
In conclusione, si ritiene che, così operando, possa essere compresso il diritto alla difesa soprattutto, in quei casi in cui, ad esempio, una società abbia attuato politiche aziendali forte di un interpello favorevole che solo a distanza di anni sia stato revocato. Pertanto, se da un lato appare condivisibile la scelta operata dal legislatore, dall'altro sarebbe stato opportuno riconoscere in modo altrettanto esplicito la possibilità ad impugnare l'eventuale revoca dell'interpello che, ad avviso di chi scrive, resta ancora una via percorribile potendosi ritenere ascrivibile nell'ambito dei dinieghi di cui all'art. 19, c. 1 lett. h) D.Lgs. n. 546/92.
Vuoi leggere tutti i contenuti?
Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter continuare a
leggere questo e tanti altri articoli.