Esenzione IMU enti ecclesiastici: privilegio o diritto accordato per un fine di particolare rilevanza sociale?
Luisa Amoretti
29 Settembre 2017
L'articolo propone, in materia di imposta municipale propria (IMU) per gli immobili di proprietà della Chiesa, una disamina degli aspetti normativi e della concreta applicazione dell'esenzione dall'imposta per particolari tipologie di fabbricati e delle loro pertinenze destinati all'esercizio di attività quali, ad esempio, quelle di religione o di culto e quelle aventi particolare rilevanza sociale, evidenziando, anche mediante un rapido confronto con la giurisprudenza di merito più recente, le possibili criticità interpretative scaturenti dalla concreta applicazione delle norme che regolano l'esenzione.
Le norme concordatarie e le agevolazioni fiscali
L'art. 7, comma 3 e comma 4, dell'Accordo Stato – Chiesa del 18 febbraio 1984, prevede, espressamente, che agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione e, di converso, che le attività diverse da quelle di religione o di culto, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato e al regime tributario previsto per le medesime attività. Ai sensi dell'art. 15 della L. 20 maggio 1985, n. 222, inoltre, gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti sono autorizzati a svolgere attività diverse da quelle di religione o di culto, alle condizioni stabilite dall'art. 7, n. 3, comma 2, dell'Accordo Stato – Chiesa del 18 febbraio 1984. Precisazione estremamente importante in questo contesto è che ai sensi dell'art. 16 della stessa L. 20 maggio 1985, n. 222, sono considerate attività di religione o di culto anche quelle dirette all'esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all'educazione cristiana, mentre sono attività diverse quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro.
Il regime delle esenzioni dall'imposta nell'ordinamento italiano alla luce del D.Lgs. n. 504/1992 e della L. n. 222/1985
Lo speciale regime di favore accordato dallo Stato agli Enti ecclesiastici nella forma dell'esenzione dall'imposta per taluni immobili destinati a ben determinate attività trova la sua legittimazione in una serie di disposizioni le quali, ancorché sparse in una pletora di provvedimenti, che si son susseguiti nel tempo, forniscono, unitariamente lette, un quadro dogmatico che seppur completo risulta, alla luce dell'evidenza, insufficiente ad evitare contrasti giurisprudenziali.
Anzitutto, va detto che la norma che fonda l'esenzione dall'imposta per tali immobili è data dall'art. 7 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, istitutivo dell'ICI. Successivamente, con l'introduzione dell'imposta municipale propria (IMU), l'esenzione è stata confermata, anche per tale imposta, dall'art. 91-bis del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, a sua volta modificato dall'art. 9, comma 6, del D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito nella L. 7 dicembre 2012, n. 213 che ha previsto, altresì, nel caso di utilizzazione mista dell'immobile, vale a dire, quando l'attività commerciale e quella non commerciale vengano esercitate congiuntamente, l'esenzione si applichi alla sola frazione dell'unità immobiliare in cui si svolge l'attività di natura non commerciale.
Con preciso riguardo agli enti ecclesiastici, l'art. 7, comma 1, lett. d) del D.Lgs. n. 504/1992, esenta da imposta i fabbricati destinati esclusivamente all'esercizio del culto e le loro pertinenze, mentre la lett. i) esenta da imposta gli immobili che gli enti ecclesiastici destinino allo svolgimento, con modalità non commerciali, di attività ritenute di particolare rilevanza sociale, quali quelle assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive. Parimenti esentati dall'imposta sono gli immobili che l'ente ecclesiastico destini allo svolgimento delle attività indicate nell'art. 16, lettera a), della L. 20 maggio 1985, n. 222. Richiamo, quest'ultimo, di non poco rilievo, poiché la lettura combinata delle norme consente di includere nelle attività che valgono ad esentare da imposta gli immobili alle quali vengono destinati non solo quelle di religione e di culto, propriamente tali, ma, altresì, quelle dirette all'esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all'educazione cristiana.
L'esenzione dall'imposta dei fabbricati pertinenziali ai luoghi di culto
S'è visto che l'art. 7, comma 1, lett. d), del D.Lgs. n. 504/1992, espressamente, esenta da imposta non solo i fabbricati destinati all'esercizio del culto, ma, altresì, le loro pertinenze.
Orbene, se per il concetto di esercizio del culto non paiono sussistenti grosse incertezze definitorie, anche in forza dell'interpretazione autentica data dal legislatore attraverso l'art. 16, della L. n. 222/1985, nondimeno, pare il caso di interrogarsi circa il concetto di pertinenze, alla luce del rilievo che anch'esse, exart. 7, comma 1, lett. d) del D.Lgs. n. 504/1992, godano dell'esenzione, al pari dell'edificio principale cui afferiscono. A riguardo, mancando, nel D.Lgs. n. 504/1992 una definizione di tale concetto, occorre, ricorrere all'ambito civilistico, in particolare, occorre fare riferimento all'art. 817 c.c., secondo cui sono pertinenze le cose destinate in modo durevole (vale a dire non occasionale né estemporaneo) a servizio o ad ornamento di un'altra cosa. Il concetto di pertinenza così inteso, nel caso esemplificativo e maggiormente ricorrente nella pratica delle parrocchie, vale certamente a includere tra gli immobili esentati anche le case parrocchiali, ossia le abitazioni dei sacerdoti che in quella stessa parrocchia dimorano e dove svolgono il loro servizio, come, peraltro, confermato dalla Risoluzione 3 marzo 2004, n. 1/DPF del Ministero delle Finanze nonché gli immobili destinati alle attività di oratorio e similari, come espressamente stabilito dall'art. 2 della L. 1° agosto 2003, n. 206.
In proposito, estremamente rilevante pare essere quella pronuncia della Commissione Tributaria Regionale della Liguria, la quale ha osservato, testualmente, che «[omissis] la legge ha assicurato il beneficio dell'esenzione fiscale non riduttivamente agli edifici in cui vengono celebrati i riti religiosi, ma a tutti gli immobili nei quali vengono esplicate le attività anche indirettamente rivolte all'affermazione dei principi su cui si fonda la religione stessa» (CTR Liguria, n. 1217/07/2015).
La questione dell'esenzione dall'imposta delle pertinenze dei fabbricati adibiti a esercizio del culto era stata affrontata e chiarita, peraltro, fin dal 1992, in costanza di ISI (Imposta straordinaria sugli immobili, antesignana dell'ICI), allorché il Ministro delle Finanze, con la Risoluzione 12 dicembre 1992, n. 1178 aveva precisato, peraltro, in via solo esemplificativa, che l'oratorio e l'abitazione del parroco, nonché i locali utilizzati per le attività parrocchiali, sempreché mancasse il fine commerciale, dovessero essere esenti da imposta sulla base dell'evidenza che anch'essi costituiscono pertinenze dei detti fabbricati, potendo considerarsi durevolmente al loro servizio, in forza di un rapporto di strumentalità e di complementarietà funzionale.
Con riguardo alla natura del vincolo, va registrato l'importante contributo della Corte di Cassazione, la quale ha avuto modo di precisare che lo stesso è un vincolo che si crea tra due beni a prescindere dalla persona fisica che in quel momento svolge le funzioni di parroco. Interessante è la conclusione cui perviene la Corte a partire dall'osservazione che precede. Essa ha affermato, infatti, in un caso concreto, come fosse irrilevante che il parroco, nel periodo dell'accertamento, avesse la residenza anagrafica in altro comune, essendo il vincolo pertinenziale collegato ai beni e non alle persone che si trovano ad operare in quei fabbricati. (Cass. civ., 17 ottobre 2005, n. 20033).
Ancora, con riguardo al concetto di pertinenzialità, inteso quale vincolo intercorrente tra l'edificio ove si celebra il culto e la casa parrocchiale, deve essere, anche, registrata quella successiva pronuncia, della stessa Corte di Cassazione, secondo cui il rapporto pertinenziale tra la chiesa parrocchiale e una casa sita nei pressi della stessa e destinata ad abitazione del parroco non è desumibile esclusivamente dall'esistenza di un risalente atto di destinazione dell'autorità ecclesiastica, occorrendo altresì una verifica in ordine alla persistenza dell'effettiva destinazione, in quanto il rapporto pertinenziale può ben essere risolto anche da comportamenti concludenti (Cass. civ. 12 maggio 2010, n. 11437).
La questione dello scopo non commerciale delle attività dell'ente ecclesiastico ai fini dell'esenzione dall'imposta
S'è visto che gli enti ecclesiastici godono di un regime fiscale privilegiato dacché le norme concordatarie, espressamente, prevedono che, agli effetti tributari, essi, come pure le attività dirette a scopo di religione o di culto, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione. S'è visto, anche, come l'art. 7, comma 1, lett. i), del D.lgs. n. 504/1992, esenti dall'imposta gli immobili utilizzati dagli enti ecclesiastici destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché, ancor prima, alle attività di religione e di culto, nell'accezione ampia di cui all'art. 16 della L. n. 222/1985, sempreché non siano svolte con modalità commerciali, ciò che a ben vedere, è proprio l'elemento dirimente ai fini dell'esenzione.
A tale riguardo, va segnalato che il Ministero dell'Economia e delle Finanze, con propria Circolare 26 gennaio 2009, n. 2/DF, ha chiarito come l'esenzione regolata dall'art. 7, comma 1, lett. i), del D.lgs. n. 504/1992, vada riconosciuta solo all'ente non commerciale che, oltre a possedere l'immobile, lo utilizza direttamente per lo svolgimento delle attività ivi elencate (Cass. civ. 8 marzo 2004, n. 4645), e che, in conseguenza, l'immobile deve essere, di fatto, destinato alle attività legittimanti l'esenzione (Cass. civ., 24 marzo 2010, n. 7091).
Nella pratica, però, può verificarsi che attività che, pure, sarebbero, ex lege, idonee a esentare da imposta l'immobile in cui esse vengono esercitate siano esercitate da un soggetto apparentemente terzo, di norma una ONLUS che l'ente ecclesiastico istituisce a tale scopo e alla quale concede in comodato gli spazi necessari all'attività. In casi come questo, i Comuni tendono, non di rado, a negare l'esenzione per carenza del requisito soggettivo, sulla base del presupposto che l'attività, che pure sarebbe potenzialmente idonea ad esentare da imposta, è esercitata da soggetto carente della veste di ente ecclesiastico.
A questo proposito, di estremo interesse pare il principio espresso in due distinte sentenze della CTP di Genova, in entrambe le quali la non corrispondenza formale tra il soggetto proprietario degli immobili (ente ecclesiastico) e il soggetto utilizzatore (ONLUS) non è stata ritenuta ostativa alla concessione dell'esenzione, beninteso, laddove siano ricorrenti i presupposti generali ex art. 7, comma 1, lett. i), D.Lgs. n. 504/1992 con riguardo alla natura dell'attività e all'assenza del fine commerciale (cfr. CTP Genova, n. 578/04/2015 e n. 431/02//2016 nonché CTR Liguria n. 975/06/2017), in tal modo, accogliendosi il principio espresso da quella recente sentenza della Corte di Cassazione la quale, contrariamente ad altre precedenti pronunce, in ipotesi di immobili concessi in comodato gratuito ed utilizzati dal comodatario per attività rientranti tra quelle istituzionali del concedente, ha confermato la esenzione ICI considerando la natura non commerciale del comodante e del comodatario, i compiti e gli scopi realizzati, ricompresi tutti nella tipologia delle attività che il legislatore ha ritenuto meritevoli di esenzione. Ad opposte conclusioni si deve pervenire, secondo i giudici della legittimità, laddove l'immobile venga concesso in locazione anziché in comodato, atteso che in tal modo la finalità della cessione diventerebbe economica produttiva di reddito, incompatibile con la ratio della norma che stabilisce l'esenzione (Cass. civ., 18 dicembre 2015, n. 25508).
In conclusione
Avuto riguardo al quadro sopra sommariamente delineato, l'ente ecclesiastico può, in definitiva, godere dell'esenzione dall'imposta per i seguenti, distinti ordini di motivi, peraltro solo esemplificativi e non esaustivi:
laddove si tratti di immobile destinato all'esercizio del culto (si pensi all'edificio chiesa, ossia quello in cui viene celebrato il culto);
laddove si tratti di immobile che sia pertinenza di quello destinato all'esercizio del culto e a questo strumentale (si pensi alla casa del parroco, all'episcopio, alle rettorie);
laddove si tratti di immobile destinato alle attività già proprie degli enti no profit, vale a dire quelle benefiche (si pensi a un immobile adibito a magazzino in cui vengano stoccati e distribuiti generi alimentari o di vestiario raccolti sul territorio e destinati a popolazioni del terzo mondo o, anche, a famiglie bisognose della zona) o quelle didattiche (si pensi a una scuola per l'infanzia abbandonata tenuta da un ordine monacale), a cagione dell'equiparazione concordataria tra ente ecclesiastico e ente di beneficenza o di istruzione; o, anche, le attività sportive (si pensi alla palestra o al campetto di calcio di una parrocchia) o quelle ricettive (si pensi a un ostello per la gioventù universitaria che studi lontano dalla propria casa), le quali, beninteso, secondo la più recente giurisprudenza di merito e di legittimità, possono, come si è visto, essere esercitate anche non direttamente dall'ente ecclesiastico, a patto che permangano le condizioni alle quali la legge accorda l'esenzione;
laddove si tratti di immobile destinato all'esercizio dell'attività di religione o di culto ovvero ad attività a quella equiparate ex lege, vale a dire quelle dirette all'esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all'educazione cristiana (si pensi all'immobile ove una parrocchia tiene corsi di catechesi o, anche, a un immobile adibito a convento di suore di clausura o, ancora, a un complesso immobiliare adibito a seminario).
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Il regime delle esenzioni dall'imposta nell'ordinamento italiano alla luce del D.Lgs. n. 504/1992 e della L. n. 222/1985
L'esenzione dall'imposta dei fabbricati pertinenziali ai luoghi di culto
La questione dello scopo non commerciale delle attività dell'ente ecclesiastico ai fini dell'esenzione dall'imposta