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Violenza sessuale

Emilia Conforti
03 Ottobre 2017

La fattispecie in esame è stata introdotta con la legge 15 febbraio 1996, n. 66 che ha riformato i reati in materia di violenza sessuale: nel codice Rocco questi erano collocati nella categoria dei reati contro la moralità pubblica ed il buon costume – a tutela della morale sessuale – mentre oggi hanno assunto la dignità di reati contro la persona. Tale passaggio è stato decretato dalla consapevolezza che la libertà sessuale costituisce corollario della libertà individuale trovando, pertanto, tutela la disponibilità della sfera sessuale da parte della persona che ne è titolare ed assumendo minor rilievo l'indagine dell'impatto di tali atti nel contesto sociale e culturale in cui avvengono.
Inquadramento

La fattispecie in esame è stata introdotta con la legge 15 febbraio 1996, n. 66 che ha riformato i reati in materia di violenza sessuale: nel codice Rocco questi erano collocati nella categoria dei reati contro la moralità pubblica ed il buon costume – a tutela della morale sessuale – mentre oggi hanno assunto la dignità di reati contro la persona.

Tale passaggio è stato decretato dalla consapevolezza che la libertà sessuale costituisce corollario della libertà individuale trovando, pertanto, tutela la disponibilità della sfera sessuale da parte della persona che ne è titolare ed assumendo minor rilievo l'indagine dell'impatto di tali atti nel contesto sociale e culturale in cui avvengono.

Le fattispecie di cui agli artt. 609-bis e seg. c.p. sanzionano, dunque, sotto vari aspetti gli atti di violenza sessuale, ritenendoli lesivi dell'intimità personale, del senso del pudore e della decenza e della disponibilità del proprio corpo, attribuita solo ed esclusivamente alla parte, e quindi alla lesione della libertà sessuale, oltre che alle conseguenze fisiche, psichiche e morali per la persona costretta a subire tale violenza.

Bene giuridico

Il passaggio da una concezione pubblicistica dei reati contro la libertà sessuale – finalizzati a reprimere quei comportamenti idonei a turbare il bene interesse della moralità pubblica e del buon costume – a quella di matrice privatistica della libertà individuale ha determinato, come visto, il passaggio alla tutela di un diverso bene interesse tutelato, quale quello della libertà di determinazione della sfera sessuale, intesa come libertà dell'individuo di poter compiere atti sessuali in assoluta autonomia, senza condizionamenti di ordine fisico o morale.

In particolare, giova precisare che il bene della libertà sessuale afferisce alla sfera personale più intima dell'individuo ed al nucleo intangibile dei sui diritti personalissimi e, pertanto, si è precisato, (Cass. pen., Sez. III, 12 maggio 2015, n. 50435) ha il medesimo valore sia che appartenga a persona che intenda farne un uso misurato, sia che sia riferito a persona che ne disponga con leggerezza ed anche in maniera prezzolata (vedi infra, Soggetto passivo).

Minoritaria è, dunque, l'interpretazione, pure avallata da alcune pronunce della Suprema Corte (Cass. pen., Sez. III, 27 aprile 1998,n. 6651), secondo cui la libertà sessuale sarebbe da intendersi non nella libertà di scelta sessuale quanto nell'impedire che l'essere umano possa essere ridotto ad oggetto di possesso sessuale.

Soggetto attivo

Trattasi di reato comune che può essere commesso da chiunque.

Tale interpretazione vale anche in ordine alla fattispecie della violenza sessuale mediante abuso rispetto alla quale fin dai primi commenti si è escluso potersi parlare di reato proprio visto che la norma identifica il soggetto passivo e non quello attivo.

In evidenza

Dalla natura di reato comune ne deriva la configurabilità anche in relazioni interpersonali durevoli che comprendono il compimento di atti sessuali.

In tal senso, dunque, risulta pacifico in giurisprudenza che l'esistenza di un rapporto di coniugio – o paraconiugale – accompagnato da effettiva convivenza non esclude, di per sé, la configurabilità del reato (Cass. pen., Sez. III, 12 luglio 2007, n. 36962) non esistendo all'interno di tali rapporti un diritto all'amplesso né, di conseguenza, il potere di esigere od imporre una prestazione sessuale.

Fino agli anni ‘70, infatti, secondo la previgente disciplina, la violenza carnale non si configurava fra i coniugi e ciò anche nel caso in cui il marito avesse coartato la moglie a rapporti sessuali con violenza o minaccia e sempreché questi rapporti potessero considerarsi normali, considerato il modo di vita sessuale dei coniugi ed avuto riguardo alle condizioni di luogo, tempo e natura dei rapporti.

A partire da pronunce più risalenti – che già prima della novella hanno escluso che il rapporto di coniugio possa in sé degradare la persona di un coniuge ad oggetto di possesso dell'altro coniuge (Cass. pen., Sez. III, 16 novembre 1988, n. 11243) – si è, con il tempo, precisato che alla luce di quanto stabilito dall'art. 143 c.c. in materia di diritti e doveri dei coniugi, non sussiste un diritto assoluto del coniuge al compimento di atti sessuali come mero sfogo dell'istinto sessuale anche contro la volontà dell'altro coniuge, posto che il rapporto sessuale è espressione dei sentimenti di rispetto, affiatamento e solidarietà che permeano il vincolo matrimoniale.

In tale contesto, e proprio perché il diritto alla libertà sessuale è diritto assoluto ed inviolabile insuscettibile di indebite compressioni si è, altresì, chiarito (Cass. pen., Sez. III, 5 maggio 2015, n. 37364) che risultano irrilevanti ai fini della configurazione del reato eventuali giustificazioni dovute alle diversità culturali nella concezione del rapporto coniugale che, altrimenti, determinerebbero oltre ad un affievolimento del diritto alla libertà sessuale anche alla sovversione del principio dell'obbligatorietà della legge penale, art. 50 c.p.p.

Soggetto passivo

Il pronome taluno in danno del quale si possono commettere le condotte in esame può essere delineato nel suo concreto significato sulla scorta dell'abrogato art. 519 c.p. che indicava l'uomo, la donna, la donna sposata e quella nubile e la donna virtuosa e quella “moralmente corrotta.”

In evidenza

A tale ultimo riguardo deve precisarci che la giurisprudenza anche quella più risalente considerava penalmente rilevante anche condotte violente o minacciose poste in danno di prostituta (Cass. pen., Sez. II, 16 dicembre 1966, n. 1868).

Sul punto, considerato che non necessariamente il diritto coincide con l'etica, si tenga presente che sebbene costituiscono reato le sole condotte di induzione alla prostituzione, favoreggiamento ovvero sfruttamento di essa, la prostituzione di per sé non è illecita.

Questo non vuol dire, però, che le persone dedite al meretricio siano nella libera disponibilità di chiunque, in quanto il principio dell'autodeterminazione vale per tutti, dunque anche per le prostitute, le uniche cui spetta la volontà di vendere il proprio corpo, e non alle altrui decisioni, per cui integra il reato costringerla ad avere rapporti sessuali senza il suo consenso.

In tal senso si è, di recente, precisato che il diritto al rispetto della libertà sessuale prescinde da condizioni e qualità personali, dal motivo e dal numero dei rapporti avuti in passato con persone più o meno conosciute. (Cass. pen., Sez.II, 14 dicembre 2016, n. 2469).

Elemento oggettivo

La nuova norma riunisce in una unica previsione normativa due condotte che nella previgente previsione erano disciplinate separatamente, la congiunzione carnale (art. 519 c.p.) e gli atti di libidine violenta (art. 521 c.p.).

Nelle intenzioni del Legislatore la nuova formulazione avrebbe dovuto evitare alla vittima invasive indagini processuali rendendo meno penoso per la vittima il racconto della violenza subita, atteso che il giudice non avrebbe più dovuto, proprio in base al racconto, individuare la fattispecie applicabile in ragione dell'atto compiuto.

È, dunque, il concetto di atto sessuale che costituisce una delle più importanti innovazioni della novella.

Attualmente la fattispecie di cui all'art.609-bisc.p. è struttura sul concetto di atti sessuali, la cui rilevanza penale, come vedremo, è stata nel tempo delineata dalla giurisprudenza sulle modalità di sopraffazione attraverso cui si realizza la lesione del bene interesse del diritto alla autodeterminazione sessuale.

La norma, infatti, contempla due tipi di condotte la c.d. violenza per costrizione (comma 1), che si integra mediante atti di violenza, minaccia o abuso di autorità e la c.d. violenza per induzione (comma 2), che si realizza abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto, o mediante inganno della vittima che il colpevole ottiene sostituendosi ad altra persona.

In evidenza. La nozione penalmente rilevante di atto sessuale

Fin dall'entrata in vigore della norma, in assenza di una definizione legislativa dell'espressione atti sessuali, concetto per sua natura elastico, la giurisprudenza è intervenuta a delineare il concetto penalmente rilevante di atto sessuale partendo dal presupposto che questo non potesse coincidere ed essere limitato agli atti che coinvolgessero le parti esclusivamente genitali della persona offesa .

La giurisprudenza ha individuato una serie di criteri validi per un'adeguata determinazione della fattispecie legale e, fin dai primi commenti, al concetto di parti genitali si è, pertanto, affiancato quello di parti erogene intese in quelle parti del corpo che, di norma, si prestano ad essere prodromiche al conseguimento dell'eccitazione o dell'orgasmo ed, in generale, che, sotto l'aspetto fisiologico, psicologico e sociologico e antropologico, esprimono l'istinto sessuale.

La condotta vietata dall'art. 609-bis c.p. ricomprende, dunque, oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, ancorché fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo, ovvero in un coinvolgimento della corporeità sessuale di quest'ultimo, sia idoneo e finalizzato a porne in pericolo la libera autodeterminazione della sfera sessuale.

A tal fine il giudice dovrà compiere una approccio interpretativo di tipo sintetico senza limitarsi solo alle parti anatomiche aggredite ed al grado di intensità fisica del contatto instaurato ma dovrà considerare anche l'intero contesto in cui il contatto si è realizzato ed la dinamica intersoggettiva esistente fra le parti (Cass. pen., Sez. III, 2 luglio 2004, n. 37395).

In linea di principio, può ritenersi penalmente indifferente la manifestazione della libertà sessuale quando non tocca la libertà altrui mentre risulta riconducibile alla nuova espressione delittuosa, oltre al coito di qualsiasi natura, anche qualsiasi atto diretto e idoneo a compromettere la libertà della persona attraverso l'eccitazione o il soddisfacimento dell'istinto sessuale dell'agente, sicché gli atti sessuali giungono a ricomprendere tutti gli atti che, secondo il senso comune e l'elaborazione giurisprudenziale, esprimono l'impulso sessuale dell'agente con invasione della sfera sessuale del soggetto passivo.

In buona sostanza, ai fini della configurabilità del reato appare necessaria la contestuale presenza di un requisito soggettivo – il fine di concupiscenza, ravvisabile anche nel caso in cui non si ottenga il soddisfacimento sessuale – e di un requisito oggettivo, consistente nella concreta idoneità della condotta a compromettere la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale e a suscitare o a soddisfare la brama sessuale dell'agente.

Di conseguenza, rientrano fra gli atti sessuali «i toccamenti palpeggiamenti e sfregamenti sulle parti intinte delle vittime, suscettibili di eccitare hi concupiscenza sessuale anche in modo non complete e/o di breve durata, essendo irrilevante, ai fini della consumazione del reato, che il soggetto attivo consegua la soddisfazione erotica» (Cass. pen. Sez. III, n. 44246/2005, Borselli).

Risultando, inoltre, necessario il coinvolgimento della corporeità sessuale della persona offesa non possono qualificarsi come atti sessuali, nel senso richiesto dalla suddetta norma incriminatrice, tutti quegli atti, i quali, pur essendo espressivi di concupiscenza sessuale, siano però inidonei ad intaccare la sfera della sessualità fisica della vittima, comportando soltanto offesa alla libertà morale di quest'ultima o al sentimento pubblico del pudore, tali ad esempio sono stati ritenuti gli atti di esibizionismo, di autoerotismo praticato in presenza di altri costretti ad assistervi o di voyeurismo.

Di contro, il toccamento non casuale dei glutei, ancorché sopra i vestiti, si ritiene configurare il reato in esame.

Quanto ai baci ed agli abbracci – che oltre ad essere la prima forma di approccio sessuale nei confronti del partner ben possono essere anche un'effusione amicale – si ritiene che possano essere considerati atti di violenza sessuale punibile ai sensi degli artt. 609-bis e ss. c.p. all'esito di una valutazione del giudice del merito, che tenga conto della condotta nel suo complesso, del contesto sociale e culturale in cui l'azione è stata realizzata, della sua incidenza sulla libertà sessuale della persona offesa, del contesto relazionale intercorrente tra i soggetti coinvolti e di ogni altro dato fattuale qualificante.

In tal senso, il gesto compiuto ioci causa o con finalità di irrisione – tale è lo schiaffo e il palpeggiamento sulla natica, accompagnati da esclamazione in apparenza galante e da successivo atteggiamento irridente – è stato ritenuto atto sessuale punibile ai sensi dell'art. 609-bis c.p. nel caso in cui, per le caratteristiche intrinseche dell'azione, ha rappresenta un'intrusione violenta nella sfera sessuale della vittima (Cass. pen.,Sez. III, 1 luglio 2014, n. 1709).

Si è precisato, inoltre, che se non è possibile delineare aprioristicamente una categoria generale alla quale ricondurre i casi di minore gravità (vedi infra, La fattispecie di minore gravità : circostanza attenuante o fattispecie autonoma di reato) ma deve, altresì, rilevarsi che la loro individuazione è rimessa, volta per volta, alla razionale discrezionalità del giudice di merito.

Tra i casi di minore gravità potranno annoverarsi comportamenti di molestia sessuale consistenti in atti concludenti, mentre si ritiene ne rimangano esclusi quei comportamenti che si risolvono, ad esempio, in ossessivi corteggiamenti o in assillanti proposte, ove "lo sfondo sessuale" costituisce soltanto un motivo e non un elemento della condotta

Il reato di molestia sessuale, art. 660 c.p., è invece integrato solo in presenza di espressioni volgari a sfondo sessuale ovvero di atti di corteggiamento invasivo ed insistito diversi dall'abuso sessuale.

Infine, si è ritenuto che se dalle espressioni verbali a sfondo sessuale si passa ai toccamenti a sfondo sessuale si realizza il delitto di abuso sessuale consumato o tentato a seconda della natura del toccamento e delle circostanze del caso (Cass. pen.,Sez. III, 12 maggio 2010, n. 27042).

(Segue). La violenza sessuale per costrizione

Contemplata al comma 1, la fattispecie si integra mediante atti di violenza, minaccia o abuso di autorità.

La giurisprudenza ha chiarito trattarsi di modalità alternative di attuazione della condotta incriminata e, pertanto, per l'integrazione della fattispecie è sufficiente il verificarsi di una sola delle condotte.

In particolare, quanto alla violenza o alla minaccia la giurisprudenza ha da tempo abbandonato il ricorso a criteri astratti ed aprioristici ritenendo necessaria la valorizzazione di qualsiasi circostanza soggettiva ed oggettiva e considerando, in una ampia accezione tecnico – giuridica – rilevante anche forme di violenza morale o di intimidazione psicologica idonei a compromettere sensibilmente , pur senza annullarla, la libertà di autodeterminazione della persona offesa.

Per la violenza si è, pertanto, abbandonato il ricorso alla c.d. vix atrox che richiedeva l'instaurarsi di una lotta fra vittima ed autore della violenza di entità tale da lasciare segni visibili.

Non è, dunque, più richiesto che il soggetto passivo resista e che la violenza ne annulli la volontà ma è sufficiente che la volontà del soggetto passivo risulti coartata.

Rileva anche la costrizione di tipo ambientale dunque, l'approfittamento dello stato di prostrazione, di angoscia o diminuita resistenza della vittima che in tale clima acconsenta o non si opponga in maniera esplicita a rapporti sessuali.

La connotazione così elastica dei suddetti requisiti consente di affermare che non è necessario che l'uso della violenza o della minaccia si protragga per tutta la durata dell'aggressione o che sia contestuale al rapporto sessuale per tutto il tempo, dall'inizio sino al congiungimento.

È, infatti, sufficiente che il dissenso della vittima sussista all'inizio della condotta antigiuridica e che quindi il rapporto non voluto sia consumato anche solo approfittando dello stato di minore resistenza in cui la vittima si è ridotta.

Si è, pertanto, affermata la sussistenza del reato anche nel caso in cui la vittima, rassegnata alla violenza, collabori al fine di evitare o limitare danni o pericoli ulteriori (tale ad esempio la necessità di evitare di turbare i figli minori).

Al contempo, affinché il consenso al rapporto sessuale elimini la tipicità del fatto deve sussistere per tutto il tempo del rapporto, essendo possibile che la vittima dissenta anche in itinere rispetto all'origine consensuale e ben potendo accadere che il partner rifiuti pratiche sessuali non gradite.

In tal senso si è anche rilevato in giurisprudenza che gesti repentini e silenziosi integrano la violenza di cui all'art.609 c.p. perché non consentono al soggetto passivo di potere esprimere tempestivamente il proprio dissenso.

Il giudice deve valutare la situazione e le condotte per come esistenti al momento iniziale e, pertanto, anche l'eventuale "infatuazione" maturata dalla vittima dopo il primo rapporto non può essere apprezzata retrospettivamente come prova del suo consenso a subire e compiere atti erotici (Cass. pen.,Sez. III, 4 dicembre 2013, n. 7767).

(Segue). Abuso di autorità

In relazione alla modalità di consumazione della violenza in esame va preliminarmente chiarito che, a differenza della violenza sessuale commessa con violenza o minaccia, qualora la costrizione della vittima a subire gli atti sessuali avvenga mediante abuso di autorità non è sufficiente il solo fatto che il soggetto attivo rivesta una posizione autoritativa ma è necessario che tale posizione venga strumentalizzata al punto che la vittima viene subordinata psicologicamente e costretta al rapporto sessuale.

Discussa è la natura dell'autorità e, in particolare, se rileva solo una autorità di tipo formale pubblicistico o anche una autorità privata di cui l'agente abusi.

Sul punto la giurisprudenza, nonostante talune oscillazioni anche recenti, di fatto ha applicato la disposizione tanto al pubblico ufficiale – come accadeva in passato con il previgente art. 520 c.p. – che al privato cittadino, ritenendo sufficiente un mero nesso di occasionalità fra la congiunzione e la posizione rivestita dal P.U.

In particolare, la posizione contraria ad un potere di tipo formale ha osservato che il concetto di autorità riferito al reato di violenza sessuale non può essere inteso nel senso formale di appartenenza ad un potere pubblico come, invece, enunciato nelle pronunce di segno opposto, atteso che, a differenza del previgente art. 520 c.p. che faceva riferimento all'abuso di qualità del pubblico ufficiale, la nuova fattispecie delineata al primo comma dell'art. 609-bis c.p. ha un significato più ampio, comprendendo tra i soggetti attivi ogni persona rivestita di un'autorità senza particolari inflessioni – quindi anche privata – che costituisce il mezzo di dominio sul soggetto passivo tale da coartarne la volontà e/o condizionarne il comportamento, e.g. vincerne la resistenza.

Secondo tale posizione, questa lettura sarebbe avvalorata dal testo dell'art. 609-quater c.p., comma 2 (atti sessuali con minorenne) in cui si fa un chiaro cenno all'uso di potere da parte di soggetto che si trova in una posizione di supremazia rispetto alla vittima minore e che non necessariamente riveste una funzione pubblica.

Ciò che rileva è, dunque, ogni potere di supremazia anche di natura privata, di cui l'agente abusi per costringere il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali e rilevando non solo il potere legalmente conferito ma anche quello proveniente da una posizione soggettiva di preminenza (Cass. pen., Sez. III, 8 marzo 2016, n. 33042).

In tal senso, si è estesa, dunque, la nozione di autorità anche al rapporto di subordinazione relativo all'ambito lavorativo (Cass. pen., Sez. III, 27 marzo 2014, n. 36704).

Quanto, infine, all'abuso delle condizioni di inferiorità fisica e psichica del soggetto passivo la giurisprudenza ha precisato che la legge 66 del 1996, ha proceduto ad una differente valutazione e tutela dei rapporti sessuali di persona affetta da menomazioni fisiche o psichiche.

La nuova previsione ha abrogato la fattispecie autonoma del delitto di violenza carnale presunta e ha previsto la possibilità che questi soggetti intrattenessero rapporti sessuali da considerare leciti se non connotati da induzione ed abuso delle condizioni di menomazione.

La nuova legge, in buona sostanza, nel mediare fra le due opposte esigenze di consentire a soggetti menomati psichicamente e fisicamente di avere una propria vita sessuale e quella di impedire che tali soggetti "deboli" siano "utilizzati" come oggetti di piacere da altri, mediante approfittamento del loro stato, ha incentrato la nuova fattispecie criminosa sui requisiti della induzione e dell'abuso all'interno del fatto tipico, inquadrandola in una delle due sottospecie di violenza sessuale per induzione.

Di conseguenza, deve ritenersi venuta meno la presunzione assoluta di invalidità del consenso prestato da soggetti portatori di handicap fisico o psichico e, pertanto, ai fini della configurazione della fattispecie non è più sufficiente verificare la piena consapevolezza da parte del soggetto attivo della condizione di inferiorità psichica della vittima, ma occorre accertare che i soggetti portatori di handicap siano grado di intendere e volere l'atto sessuale e che l'agente abbia indotto all'atto sessuale abusando di tale condizione.

(Segue). La violenza sessuale per induzione

A differenza dell'abuso, che si verifica quando le condizioni di menomazione sono strumentalizzate per accedere alla sfera intima della persona che, versando in situazione di difficoltà, viene ad essere ridotta al rango di un mezzo per il soddisfacimento della sessualità altrui, l'induzione si realizza quando, con un'opera di persuasione spesso sottile o subdola, l'agente spinge o convince il “partner” a sottostare ad atti che diversamente non avrebbe compiuto.

In tal caso, la condotta punibile risulta essere realizzata con la piena consapevolezza, da un lato, della condizione di inferiorità della vittima e, dall'altro, del fatto che l'azione sia conseguente ad induzione ed abuso.

Non è necessario che la condizione di inferiorità configuri una patologia per cui la giurisprudenza ha sostenuto che rientrano tra le condizioni di inferiorità psichica, previste dall'art. 609-bis, comma 2, n. 1, c.p., anche quelle conseguenti all'ingestione di alcolici o all'assunzione di stupefacenti.

In tale ipotesi, si è osservato, si integra comunque la ratio della norma perché si realizza quel doloso sfruttamento, da parte dell'autore del reato, delle condizioni di menomazione della vittima, la quale viene così strumentalizzata con l'obiettivo di accedere alla sua sfera intima a fini di soddisfacimento degli impulsi sessuali (Cass.pen., Sez. III, n. 38059del 2013).

Quanto alla ipotesi prevista al n. 2 del comma 2 dell'art. art. 609-bis c.p., consistente nella induzione a compiere o subire atti sessuali con l'inganno per essersi il reo sostituito ad altra persona, la giurisprudenza ha precisato che la fattispecie è integrata anche dalla falsa attribuzione di una qualifica professionale, rientrando quest'ultima nella nozione di sostituzione di persona di cui all'art. 609-bis c.p. (Cass. pen.,Sez.III, 6 maggio 2010,n. 20578).

La fattispecie di minore gravità : circostanza attenuante o fattispecie autonoma di reato

La natura della previsione in esame è stata a lungo dibattuta sebbene la posizione prevalente sia in dottrina che in giurisprudenza appaia orientata nel ritenerne la natura di circostanza attenuante ad effetto speciale ed indefinita, di conseguenza, il suo riconoscimento è ininfluente ai fini del calcolo dei termini di prescrizione ex art. 157, comma 2, c.p.

Inoltre, in relazione alle modalità di accertamento la giurisprudenza ha chiarito che tale circostanza trova applicazione in tutte quelle fattispecie in cui, avuto riguardo ai mezzi, alle modalità esecutive ed alle circostanze dell'azione, sia possibile ritenere che la libertà sessuale, personale della vittima sia stata compressa in maniera non grave, richiedendo la necessità di una valutazione globale del fatto, non limitata alle sole componenti oggettive del reato ma estesa anche a quelle soggettive ed a tutti gli elementi menzionati nell'art. 133 c.p. (Cass. pen., Sez.IV, 12 aprile 2013, n. 18662).

Tuttavia, si è esclusa la applicabilità della attenuante in esame nel caso di condotte reiterate nel tempo commesse in danno della stessa vittima, laddove, invece, si è ritenuto non vi sia motivo di non applicarla nel caso in cui i singoli fatti sono stati compiuti nei confronti di soggetti passivi diversi e sono fra loro indipendenti (Cass. pen., Sez. III, 22 settembre 2015, n. 25434).

Elemento psicologico

Sotto il profilo della colpevolezza trattasi di fattispecie a dolo generico essendo sufficiente la coscienza e volontà di compiere un atto invasivo della liberà sessuale di persona non consenziente.

Risulta irrilevante l'eventuale fine ulteriore dell'agente e l'eventuale soddisfacimento dei suoi desideri che non assumono alcun rilievo ai fini del perfezionamento del reato che richiede la semplice coscienza e volontà dell'offesa.

Consumazione e tentativo

In relazione alla consumazione del reato in commento la fattispecie si realizza con la commissione di un qualsiasi atto sessuale la cui gravità rileva ai fini della eventuale configurazione della ipotesi attenuata di minore gravità, apprezzabile nei termini sopra illustrati.

Dunque, a prescindere dalla sua intensità, il compimento di qualsiasi atto sessuale integra una fattispecie consumata, essendo a tal fine sufficiente che il colpevole raggiunga le parti intime della persona offesa, zone genitali o comunque erogene, e risultando, come illustrato, indifferente che il contatto corporeo sia di breve durata, che la vittima sia riuscita a sottrarsi all'azione dell'aggressore o che questi abbia conseguito la soddisfazione erotica.

Di conseguenza, si ritiene configurabile il tentativo di violenza sessuale in tutte le ipotesi in cui la condotta violenta o minacciosa non abbia determinato una immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima, poiché l'agente non ha raggiunto le zone intime (genitali o erogene) della stessa, non ha provocato un contatto di quest'ultima con le proprie parti intime.

Rilevanti anche i casi di contatti superficiali o fugaci per la reazione della vittima o per altri fattori indipendenti dalla volontà dell'agente.

Profili processuali

Automatismo cautelare. Prima dell'intervento della Corte costituzionale del 2010, sentenza n. 265anche la fattispecie in esame rientrava fra quelle che, unitamente ai delitti di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. e ad altre fattispecie testualmente previste, il d.l. 11/2009 convertito in legge 38/2009 intervenendo sull'art. 275, comma 3, c.p.p. – derogando al criterio della residualità della misura cautelare della custodia in carcere – aveva introdotto una presunzione di adeguatezza della misura di massimo rigore prevendendo anche per la fattispecie in commento una presunzione assoluta di massima pericolosità sociale per il soggetto gravemente indiziato di avere commesso una violenza sessuale.

Tale presunzione operava automaticamente in tutti i casi in cui il fatto non apparisse di minore gravità e non potesse farsi luogo alla sospensione condizionale della pena rendendo, di fatto, irrilevante per il caso concreto elementi positivi da cui desumere la sufficienza di misure diverse dalla custodia in carcere a salvaguardare le esigenze cautelari desumibili dalla fattispecie concreta di cui sussistevano i gravi indizi.

La disposizione – di cui nelle prime applicazioni si affermò la natura processuale – con evidenti ricadute sul regime successorio regolato dal principio tempus regit actum di cui all'art. 11 delle preleggi – è, tuttavia, caduta sotto la scure del giudice delle leggi che, con sentenza n. 265/2010, ne ha dichiarato la illegittimità costituzionale nel suo carattere assoluto affermando la ragionevolezza dell'esistenza di una presunzione di adeguatezza di tipo relativo.

In particolare, la Corte costituzionale ha ritenuto che la previsione normativa di una presunzione assoluta di adeguatezza della misura cautelare della custodia in carcere si risolve in una indiscriminata negazione del principio del minor sacrificio necessario anche nel caso in cui emergano concretamente elementi che permettano di salvaguardare le esigenze cautelari del caso concreto con misure diverse e meno afflittive della custodia in carcere.

Tale soluzione – si è osservato – se poteva risultare ragionevole rispetto ai delitti di associazione mafiosa in relazione ai quali l'esperienza ha dimostrato che le esigenze cautelari possono essere adeguatamente salvaguardate solo con la misura di massimo rigore, non altrettanto poteva apparire per i reati sessuali per i quali potevano essere acquisiti specifici elementi nel procedimento dai quali risulta che le esigenze possono essere soddisfatte con altre misure.

La disposizione, in particolare, si è ritenuto, viola l'art. 3 Cost. – nella parte in cui parifica sotto il profilo del regime cautelare procedimenti relativi a ipotesi delittuose comuni ai delitti di mafia - l'art. 13 Cost. e l'art. 27, comma 2, Cost. laddove finisce con l'attribuire alla misura cautelare i tratti tipici della pena.

Patteggiamento allargato”. A seguito della riforma dell'art. 444, comma 1-bis, c.p.p. intervenuta con la legge 38/2006 gli autori dell'ipotesi delittuosa in commento, così come per gli artt. 609-ter, 609-quater e 609-octies c.p., non possono beneficiare del c.d. patteggiamento allargato ma potranno patteggiare solo nel caso in cui il giudice in concreto potrà infliggere una pena non eccedente i due anni.

Costituzione parte civile. Il coniuge della persona offesa del reato di violenza sessuale è legittimato alla costituzione di parte civile in relazione alla lesione del diritto all'intangibilità del rapporto coniugale e dell'onore e dignità familiare.

Si è, sul punto, osservato che la condotta integrante il reato in parola possa ledere, oltre che direttamente la parte lesa, anche il coniuge della vittima, perché incide in maniera concomitante non solo sulla sofferenza e sul turbamento d'animo transeunte, determinati da un fatto illecito integrante il reato, ma anche per l'ingiusta lesione di un valore inerente al rapporto di coniugio cui consegua un pregiudizio non suscettibile di valutazione economica.

Di conseguenza, il coniuge è un vero e proprio danneggiato dal reato, cui è consentito azionare l'art. 74 c.p.p. per il ristoro del danno subito (Cass. pen., Sez.III, 24 giugno 2010, n. 28732)

Benefici penitenziari. A seguito della modifica intervenuta con d.l. 11/2009 (conv. l. 38/2009) dell'art. 4-bis, comma 1-quater, l. 354/1975 – avente natura processuale perché relativa alla esecuzione della pena – il condannato per il delitto di violenza sessuale può accedere ai benefici ivi contemplati, quali l'assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio, e le misure alternative alla detenzione , solo nel caso in cui abbia beneficiato dell'attenuante per i casi di minore gravità, laddove negli altri casi può accedervi solo sulla scorta dei risultati dell'osservazione scientifica della personalità condotta per almeno un anno svolta collegialmente anche con la partecipazione degli esperti di cui al 4 comma dell'art. 80 ord. pen.

Tale valutazione, si è precisato in giurisprudenza, non ammette equipollenti essendo l'unica che consente il superamento della presunzione di pericolosità prevista per determinate categorie di delitti (Cass. pen., Sez. I, 14 maggio 2015, n. 13210).

Rapporti con altri reati

Maltrattamenti in famiglia. Il delitto di violenza sessuale concorre con quello di maltrattamenti in famiglia qualora, attesa la diversità dei beni giuridici offesi, le reiterate condotte di abuso sessuale, oltre a cagionare sofferenze psichiche alla vittima, ledano anche la sua libertà di autodeterminazione in materia sessuale, potendosi configurare l'assorbimento esclusivamente nel caso in cui vi sia piena coincidenza tra le due condotte, ovvero quando il delitto di maltrattamenti sia consistito nella mera reiterazione degli atti di violenza sessuale (Cass. pen., Sez.III, 23 settembre 2015, n. 40663)

Violenza privata. Il delitto di violenza privata non concorre con quello di violenza sessuale quando la violenza fisica o morale è del tutto strumentale rispetto al compimento degli atti sessuali e non rappresenta un quid pluris che eccede il compimento dell'attività sessuale coatta. (Fattispecie in cui la condotta era consistita nel trattenere violentemente la vittima a bordo di una autovettura, somministrarle sostanza stupefacente ed immediatamente violentarla. Cass. pen., Sez.III, 6 giugno 2013, n. 37367)

Minaccia. Il reato di violenza sessuale concorre con quello di minaccia, non sussistendo alcun rapporto di assorbimento tra gli stessi, quando la condotta intimidatoria, se anche parzialmente strumentale alla realizzazione del delitto di cui all'art. 609-bis c.p., riveste una valenza in parte autonoma, svincolata dal compimento dell'attività sessuale coatta (Fattispecie in cui sono state ritenute idonee ad integrare il reato di cui all'art. 612 c.p. frasi minacciose pronunciate dall'imputato al fine di indurre la vittima a ristabilire la relazione sentimentale oltre che ad avere rapporti sessuali. Cass. pen., Sez.III, 12 marzo 2014, n. 23898 del 12/03/2014)

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