La locazione finanziaria ed autonomia negoziale nel nuovo Codice Appalti: vetera et nova in tema di allocazione del rischio

01 Giugno 2016

Il focus fa il punto sulle novità introdotte dal nuovo Codice degli Appalti in tema di leasing della Pubblica Amministrazione, con particolare riferimento al concetto di allocazione del rischio contrattuale. Partendo dal raffronto con la disciplina previgente, si evidenziano le principali conseguenze pratiche della novazione legislativa, ponendo in rilievo i margini discrezionali riconosciuti alla PA nella stipula dei contratti in partenariato e deducendo il trattamento giuridico dei negozi conseguenti.
Abstract

Il focus fa il punto sulle novità introdotte dal nuovo Codice degli Appalti in tema di leasing della Pubblica Amministrazione, con particolare riferimento al concetto di allocazione del rischio contrattuale. Partendo dal raffronto con la disciplina previgente, si evidenziano le principali conseguenze pratiche della novazione legislativa, ponendo in rilievo i margini discrezionali riconosciuti alla PA nella stipula dei contratti in partenariato e deducendo il trattamento giuridico dei negozi conseguenti.

Locazione finanziaria nel nuovo Codice degli Appalti: cosa cambia e cosa resta

Il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, “Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture” (“nuovo” Codice degli Appalti) dedica alla locazione finanziaria il solo articolo 187. Chi volesse cercare innovazioni significative nel disposto rimarrebbe deluso dalla lettura, tanta è la pedissequa corrispondenza che il legislatore ha mantenuto rispetto al previgente art. 160-bis d.lgs. n. 163 del 2006. Analiticamente, ai commi I, II, III, IV, V e VII dell'art. 187, corrispondono ad litteram i lemmi I, II, III, IV, IV-bis e IV-quater dell'abrogato art. 160-bis. L'unica discrasia di sostanziale rilevanza si rinviene al comma VI della nuova disciplina, ove è previsto sia sufficiente, ai fini dell'espletamento dell'incanto, la predisposizione di un semplice studio di fattibilità, anziché una progettazione di livello almeno preliminare. Al di là di questa regressione nei requisiti minimi dell'oggetto del bando di gara, non vi sono dunque novità da segnalare nell'articolato che si occupa precipuamente del leasing della Pubblica Amministrazione. Tant'è che il Consiglio di Stato, chiamato in sede consultiva ad esprimersi sul progetto del Codice, ha omesso di pronunciarsi puntualmente sull'art. 187 (cfr. Cons. St., Commissione speciale, n. 855/2016 d.d. 01/04/2016, affare n. 464/2016).

Le novità – che, è bene chiarire, vi sono comunque state –, debbono allora essere ricercate altrove, nell'intreccio delle disposizioni di genere afferenti il Partenariato Pubblico Privato Contrattuale (artt. 179, 180, 181 e 182) con quella di specie che riguarda la locazione finanziaria (art. 187).

L'inquadramento generale del Partenariato Pubblico Privato Contrattuale (PPPC)

L'art. 180 d.lgs. n. 50 del 2016, è rubricato “Partenariato pubblico privato”: per la prima volta si introduce nell'ordinamento un corpo normativo di carattere generale delle operazioni contrattuali in partenership della Pubblica Amministrazione. La relativa disciplina risulta, dunque, applicabile innanzitutto per tutte le ipotesi codicistiche (a mente del comma ottavo della medesima norma). Tuttavia, come ha sottolineato il Consiglio di Stato, nel licenziare il parere sul nuovo Codice, la normativa è «valevole […] anche per le figure atipiche, definite, nel comma 8, come “qualunque altra procedura di realizzazione del partenariato in materia di opere o servizi che presentino le caratteristiche» descritte nell'art. 180 (cfr. ancora C.d.S., Commissione speciale, n. 855/2016 d.d. 01/04/2016, affare n. 464/2016, cit. pag. 180).

È pertanto a queste prescrizioni generali che si deve guardare onde comprendere il reale significato ed implicazioni della novella, al fine soprattutto di stabilire la validità dei moduli amministrativi, giurisdizionali e financo contabili maturati in vigenza del d.lgs. n. 163 del 2006. Ciò consentirà, inoltre, di prevedere i possibili mutamenti della prassi e della giurisprudenza nella materia specifica che ci occupa. Giova, infatti, rimarcare come la novità costituita dal “cappello” introduttivo sia di capitale importanza specie con riferimento al leasing, che, come si è visto, permane espressamente disciplinato – al pari di quanto avveniva ex art. 160-bis d.lgs. n. 163 del 2006 – soltanto nella forma immobiliare, distinguendosi tra ipotesi di locazione in costruendo e costruito. Dunque il contratto in parola, nelle ipotesi in cui abbia ad oggetto beni mobili o servizi, (sia in forma finanziaria che operativa), risulterà disciplinato espressamente soltanto dai nuovi articoli di parte generale, rientrando nella definizione di cui all'art. 3, comma I, lett. eee), cui l'art. 180, comma I, rinvia.

Procedendo con ordine nel lumeggiare i profili salienti delle nuove norme, appare invero di capitale importanza il comma 3 dell'art. 180, ove si prescrive in linea generale che «nel contratto di partenariato […] il trasferimento del rischio in capo all'operatore economico comporta l'allocazione a quest'ultimo, oltre che del rischio di costruzione, anche del rischio di disponibilità o, nei casi di attività redditizia verso l'esterno, del rischio di domanda dei servizi resi». Tali rischi, laddove nella normativa previgente erano definiti dalla giurisprudenza e dalla prassi (cfr. deliberazione n. 19 del 31 marzo 2010 dell'AVCP e Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per l'Abruzzo, n. 12/2013/PAR, d.d. 05.04.2013, Cons. St., Sez. V, 21 luglio 2015, n. 3631), sono ora espressamente descritti in via legislativa. Infatti, si qualifica «“rischio di costruzione”, il rischio legato al ritardo nei tempi di consegna, al non rispetto degli standard di progetto, all'aumento dei costi, a inconvenienti di tipo tecnico nell'opera e al mancato completamento dell'opera»; «“rischio di disponibilità”, il rischio legato alla capacità, da parte del concessionario, di erogare le prestazioni contrattuali pattuite, sia per volume che per standard di qualità previsti»;e «“rischio di domanda”, il rischio legato ai diversi volumi di domanda del servizio che il concessionario deve soddisfare, ovvero il rischio legato alla mancanza di utenza e quindi di flussi di cassa» [cit. art. 3, comma I, lett. aaa), bbb) e ccc)]. La portata definitoria dei concetti pare nel tempo essere rimasta sostanzialmente invariata, posto che nel concetto di “rischio di costruzione dell'opera”veniva fatto rientrare “ogni aumento di costo”legato ad eventuali aumenti di prezzi dei materiali ed agli standards di regola d'arte che “non può essere a carico anche indirettamente della stazione appaltante”; mentre il “rischio di disponibilità” era fattispecie inerente la “capacità del concessionario di fornire il servizio di gestione previsto” alle condizioni contrattuali; ed, infine il “rischio di domanda” si soleva riconoscere nel “rischio dovuto alla mancanza di utenza e quindi di flussi di cassa” (deliberazione n. 19 del 31 marzo 2010 dell'AVCP, cit.).

Proprio questo pare essere il punto focale della disciplina. Come già era stato anticipato dalla più attenta giurisprudenza con riferimento alla normativa previgente, la funzione principale del PPPC è quella di consentire una allocazione del rischio differente rispetto all'ordinario contratto d'appalto, sfruttando la peculiare flessibilità delle operazioni evolutesi nella prassi. Da un lato, il privato compartecipa della gestione della cosa pubblica, venendo remunerato non – solo – dalla PA ma principalmente dalla propria attività verso l'esterno, dall'altra le pubbliche casse ottengono uno sgravio notevole – vuoi perché i costi sono direttamente ricaricati sulla collettività, vuoi perché viene delegata al privato parte della funzione amministrativa (quantomeno collaterale) nell'esecuzione dell'opera o del servizio. Di qui la valorizzazione del PPPC quale strumento di valorizzazione della sostenibilità del debito pubblico a garanzia dell'«equilibrio tra le entrate e le spese» (art. 81 Cost., cit.).

(Segue). Stringenti vincoli alle operazioni in partnership

Dalla lettura del precitato art. 180 parrebbe di primo acchito che le nuove norme introduttive alla disciplina del PPPC raggiungano lo scopo di concedere strumenti flessibili che si adattino meglio ad una realtà negoziale in continua evoluzione, in cui la spesa pubblica è vincolata ad una progressiva quanto geometrica diminuzione. Ad una lettura più attenta paiono emergere tuttavia non pochi elementi di perplessità, che richiamo l'operatore ad una attenta esegesi ed applicazione delle nuove norme.

Se da un lato, infatti, è il contratto a disciplinare i rischi che le parti intendono ripartire nell'espletamento del rapporto (art. 180, comma 3, ultimo periodo), questi ultimi debbono in ogni caso essere allocati in modo che «il recupero degli investimenti effettuati e dei costi sostenuti dall'operatore economico per eseguire il lavoro o fornire il servizio, dipenda dall'effettiva fornitura del servizio o utilizzabilità dell'opera o dal volume dei servizi erogati in corrispondenza della domanda e, in ogni caso, dal rispetto dei livelli di qualità contrattualizzati, purché la valutazione avvenga ex ante» (cit. ancora comma 3, art. 180). Parafrasando il dettato normativo, ciò implica che le parti sono certamente libere di disciplinare le rispettive spettanze (comunque nel superiore interesse della collettività), purtuttavia il contenuto dispositivo del patto impone in ogni caso l'esborso di pubblico danaro solo a fronte di un servizio effettivamente reso, secondo i requisiti qualitativi stabiliti a priori e – probabilmente – non modificabili a posteriori (se non al fine di diminuire l'esborso della PA). Concordemente, il successivo comma IV prescrive che «l'amministrazione aggiudicatrice può scegliere di versare un canone all'operatore economico che è proporzionalmente ridotto o annullato nei periodi di ridotta o mancata disponibilità dell'opera, nonché ridotta o mancata prestazione dei servizi»; per di più «ali variazioni del canone devono, in ogni caso, essere in grado di incidere significativamente sul valore attuale netto dell'insieme degli investimenti, dei costi e dei ricavi dell'operatore economico». Il meccanismo così congeniato pare in definitiva positivizzare posizioni notevolmente rigide che elevano a fine ultimo dei modelli di partnership il risparmio su scala, come dimostra ulteriormente la previsione di monitoraggi e revisioni che vengono ad incidere direttamente la fase esecutiva privatistica del rapporto (art. 182, comma II). Tant'è che la stessa istruttoria della procedura di affidamento è adeguata e modellata alla fotografia di questo precipuo fine di cassa (180, comma 3). Con il rischio connesso che gli stretti lacci imposti dalla disciplina finiscano con il frustrare la stessa flessibilità applicativa cui tendeva il rimaneggiamento.

La ragione di queste severe restrizioni si rinviene al comma 4 dell'art. 180: «l'equilibrio economico finanziario […] rappresenta il presupposto per la corretta allocazione dei rischi”. A sua volta, l'art. 3 lett. fff) definisce l'equilibrio predetto come “la contemporanea presenza delle condizioni di convenienza economic(a) e sostenibilità finanziaria. Per convenienza economica si intende la capacità del progetto di creare valore nell'arco dell'efficacia del contratto e di generare un livello di redditività adeguato per il capitale investito; per sostenibilità finanziaria si intende la capacità del progetto di generare flussi di cassa sufficienti a garantire il rimborso del finanziamento». Dunque, le concrete modalità di utilizzo dei beni oggetto del contratto da un lato ed metodo congeniato per il pagamento del corrispettivo dall'altro, vengono a costituire il bilanciamento postulato normativamente quale scopo finale del contratto. La misura di questa pervasiva ingerenza – ricordando in ogni caso come sia l'amministrazione a stabilire quale sia il livello di redditività adeguato per il privato – è data dall'art. 182, comma 2, ove ogni mutamento di opere che fruiscono di contributo statale è subordinato al preventivo assenso del NARS (in caso di finanziamento non statale il consulto è facoltativo).

La formula coniata dal legislatore – una vera e propria istituzionalizzazione del concetto di traslazione del rischio – consegna pertanto al privato tutte le incognite dell'operazione, a prescindere dalle fluttuazioni inevitabili del mercato e da eventi di forza maggiore, a fronte delle quali gli è al più consentito il diritto di recesso (art. 182, comma 3). Ne si conclude come innanzi a queste possibilità il contraente dovrà giocoforza stipulare una qualche forma di assicurazione privata al fine di minimizzare entro limiti ragionevoli la propria alea d'impresa. Ed il ricarico in danno dell'operatore economico non può che convertirsi – ai fini di sostenibilità tanto quanto dello stesso equilibrio economico assurto a scopo dell'operazione in partnership – in aumento dei costi del contratto o per la PA (qualora sia questa a remunerare pro quota il contraente) o per i terzi fruitori del servizio (qualora la sostenibilità economico finanziaria sia garantita dalla gestione attiva del bene/servizio oggetto di contratto).

In definitiva, le nuove disposizioni, se interpretate con eccessivo rigore rischiano di allontanare tanto gli enti pubblici quanto i privati da nuovi modelli di contrattazione che potrebbero invece essere forieri di economie non indifferenti (si pensi ad esempio alla necessità di rinnovo del parco auto di molte amministrazioni, che tra pochi anni diverrà vetusto ed inquinante pur a fronte di una normativa che sostanzialmente impedisci nuovi acquisti di autovetture).

Autonomia negoziale nel tempo dell'equilibrio (obbligatorio) di bilancio

Il reale baricentro intorno il quale ruota l'intera disciplina del PPPC è dunque un precetto di carattere più contabile che amministrativo: l'equilibrio economico-finanziario (che rileva in ultima istanza soprattutto per le casse pubbliche). E ciò non deve sorprendere, ove si rammenti che il criterio è stato da tempo costituzionalizzato (art. 81, 97 e 119 Cost.).

Pare tuttavia ci si trovi innanzi ad una progressiva erosione dell'autonomia negoziale: la normativa mostra una spiccata tendenza ad ascrivere l'opportunità amministrativa dell'operazione in partnership nel concetto di convenienza erariale, ricaricandone i risultati complessivi a rischio dell'imprenditore. Se nel regime previgente si era giunti ad affermare come spettasse«all'ente, in particolare, valutare l'effettiva configurabilità dell'operazione economica prescelta in relazione al regime civilistico dei beni in essa coinvolti» (cit. Cons. St., Sez. V, sentenza 30 aprile 2015, n. 2194; cfr. Cons. St., Sez. V, sentenza 28 settembre 2011, n. 5403; TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 24 agosto 2009, n. 1564), ora tale conclusione non appare così scontata.

È ben vero, tuttavia, che la traslazione del rischio in capo al solo privato, prescritta in linea generale per il PPPC, non può tradursi in maniera lineare nel caso del leasing. Infatti, è principio acquisito nella più autorevole giurisprudenza civile come la locazione finanziaria sia contratto trilatero: da una parte il produttore, dall'altra il soggetto finanziatore, all'ultimo estremo il beneficiario. Donde, negli ultimi arresti della Corte di legittimità, si è postulata conseguentemente l'indipendenza dei rapporti – rectius l'assenza di rapporto diretto – tra beneficiario e produttore (da ultimo, cfr. Corte di cassazione, Sez. Un., 5 ottobre 2015, n. 19785). Sistematicamente, ne si deduce che il locatario non ha alcuna azione diretta verso colui che ha prodotto il bene o costruito l'opera. Di converso, ad esempio in caso di vizi e/o perimento del bene, gli sarà data solamente azione verso il locatore, il quale – pena la violazione della buona fede contrattuale – dovrebbe essere tenuto ad agire nei confronti del produttore con il quale lo lega un diverso negozio.

Pare tuttavia che questa ricostruzione, per quanto corretta ai fini civilistici, comporti in definitiva il venir meno quella traslazione del rischio in capo al privato che è lo scopo finale dell'intera disciplina del PPPC. Se, infatti, il prezzo può essere corrisposto solo a fronte della effettiva fruizione del bene o servizio (art. 180, comma 4), in caso di perimento della res o di impossibilità dell'attività richiesta (ad es. per il crollo del viadotto affetto da vizi di progettazione), pare difficile che il giudice civile – la cui giurisdizione come noto si estende alla fase esecutiva dei pubblici appalti – neghi il decreto ingiuntivo (per di più tendenzialmente con formula esecutiva) al locatore che agisca per ottenere quanto gli spetti. Diversamente opinando, si sguarnirebbe di tutela il locatore stesso: da un lato obbligato a pagare per intero e subito il prezzo dell'opera, dall'altro privo di garanzia per eventi a lui indipendenti. In altre parole, ammettendo la rivalsa del finanziatore solamente sui chi ha prodotto il bene o eseguito l'opera, per di più senza privilegio del credito (prendendo ad esempio il leasing traslativo, si dovrebbe infatti riconoscere la possibilità di iscrivere ipoteca sul bene che diverrà pubblico) si rende il contratto eccessivamente azzardato per gli operatori economici, allontanandoli ulteriormente dall'istituto giuridico.

Pare quindi che la soluzione dell'antinomia possa essere proprio il recupero dell'autonomia contrattuale, soprattutto a favore della PA. Sarà cura dell'amministrazione nella predisposizione del bando – ovvero di entrambi contraenti in fase di negoziazione puntuale – disciplinare il rapporto in maniera da minimizzare questi rischi, ad esempio prevedendo espressamente il vincolo del produttore a favore del locatario circa la qualità intrinseca del bene o dell'opera oggetto di contratto. In via alternativa, si potrà pattuire la responsabilità diretta del locatore nei confronti dell'amministrazione, subordinandone l'efficacia al rilascio in suo favore di apposita fideiussione a prima richiesta da parte del produttore.

Queste proposte, tuttavia, nell'intento di recuperare l'unitarietà di una operazione giuridica complessa, quale è la locazione finanziaria, scontano evidentemente la tendenza a ricercare un collegamento tra rapporti che la Corte di Cassazione sostiene da tempo essere tra loro separati ed autonomi. Ma ciò non pare essere di per se riprovato da alcuna norma di legge o principio generale del diritto. Anzi la corretta tutela dell'interesse pubblico sotteso – che non può essere solo l'equilibrio economico-finanziario dell'operazione – pare legittimare in via generale questo tipo di operazioni/alterazioni negoziali. In definitiva, la sostenibilità del debito dell'amministrazione quale limite alla spesa pubblica, se da un lato è foriera di limiti anche significativi dell'autonomia negoziale, dall'altro è un forte elemento propulsivo di stimolo al ricorso ed allo sviluppo del Partenariato Pubblico Privato.

In conclusione

L'articolo che il nuovo Codice degli Appalti dedica specificamente alla locazione finanziaria non detta alcuna innovazione significativa della fattispecie. Diversamente, la disciplina generale prevista per il Partenariato Pubblico Privato Contrattuale introduce innovazioni di rilievo, dettando ben precisi limiti contenutistici e funzionali di tutte le operazioni amministrative in partnership. Laddove l'architettura coniata dal legislatore sembra restringere notevolmente le possibilità di autonomia negoziale della PA, imponendo l'allocazione del rischio in capo al solo privato, la peculiare costruzione giuridica del leasing porta a concludere vi sia invece spazio significativo per la disciplina autonoma del rapporto contrattuale. Proprio in tema di collocazione negoziale del rischio, infatti, le parti hanno margine per imporre la correttezza dei flussi di cassa pubblici al contempo garantendo la giustizia sostanziale e l'adeguatezza al diritto dell'operazione.

Guida all'approfondimento

R. DE NICTOLIS, Il nuovo codice dei contratti pubblici, in Urbanistica e appalti, n. 5/2016

A. PETRETTO, Costituzionalizzazione dell'equilibrio di bilancio, stabilità e crescita, in R. BIFULCO-O. ROSELLI (a cura di), Crisi economica e trasformazioni della dimensione giuridica: La costituzionalizzazione del pareggio di bilancio tra internazionalizzazione economica, processo di integrazione europea e sovranità nazionale, Torino, 2013, 207 ss.

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