Sulla natura non vincolante dei pareri espressi dall’ANAC ex art. 6, comma 7, d.lgs. n. 163/2006 e sulla non risarcibilità dei danni evitabili con la diligente utilizzazione degli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento

Giusj Simone
06 Maggio 2016

Con la sentenza n. 5019, scaturita dalla iniziativa giurisdizionale di una stazione appaltante volta a contestare il contenuto di due pareri di precontenzioso resi dalla allora AVCP, ora ANAC, sulla gara bandita dalla stazione appaltante medesima, l'adito TAR ha modo di ribadire, per un verso, l' “incontroverso quadro normativo e giurisprudenziale” sulla mancanza di valore cogente dei pareri resi dall'ANAC nell'esercizio del potere consultivo di cui all'art. 6, comma 7, lett. n), del d.lgs. n. 163/2006, e, per altro verso, il canone ermeneutico della non risarcibilità dei danni evitabili con l'impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli strumenti di tutela previsti dall'ordinamento.

Innanzitutto, il giudice di prime cure si sofferma sulla tempestività del ricorso principale proposto avverso pareri di precontenzioso emessi dall'ANAC e non anche avverso gli atti della procedura di gara (indetta e svolta dalla medesima ricorrente). Al riguardo, si evidenzia l'applicabilità del rito di cui all'art. 119 c.p.a. che, per i soli atti delle Autorità amministrative indipendenti (comma 1, lettera b) non fa salva l'applicazione del successivo art. 120 (come invece fa alla lettera “a” del comma 1 in tema di procedure di affidamento) e, dunque, non prevede deroga all'ordinario termine d'impugnazione pari a 60 giorni (la dimidiazione del termine di impugnazione è, cioè, riferibile solo ai pareri resi dall'ANAC allorché essi vengano impugnati unitamente agli atti della procedura selettiva cui afferiscono).

Seppure tempestivo, il ricorso principale viene dichiarato inammissibile per difetto di interesse, non ravvisando il TAR ragioni per discostarsi dall'incontroverso quadro normativo e giurisprudenziale secondo cui l'ANAC si connota per la sua natura di Autorità indipendente risultando, come tale, dotata di piena autonomia rispetto al potere esecutivo ed avente funzioni di “vigilanza e garanzia”, con poteri di natura ispettiva strumentali allo svolgimento delle predette funzioni (già previsti dalla L. n. 109 del 1994 e ribaditi dall'art. 6, comma 7, del d.lgs. n. 163/2006). Ed è proprio la lettera di quest'ultima norma a rendere palese la mancanza di valore cogente dei pareri resi dall'ANAC per le Amministrazioni consultanti, stante la dichiarata natura “non vincolante” di tali atti e il loro naturale sbocco, costituito da “ipotesi di soluzione” di possibili controversie che le parti sono libere di percorrere o, al contrario, di non adottare. Trattasi, invero, di pareri che costituiscono attività consultiva, la quale non sospende né surroga la funzione giurisdizionale, né la stessa funzione amministrativa attiva (cfr. Corte Cost., n. 482/1995; TAR Lazio, Roma, sez. I, n. 1730/2012; TAR Abruzzo, Pescara, sez. I, n. 102/2014).

È evidente, quindi, come non si potesse ravvedere in capo alla ricorrente principale alcun interesse alla impugnazione di pareri di precontenzioso che non hanno espresso alcun potere di eteroderminazione della stazione appaltante in sede di individuazione delle imprese da ammettere o da escludere dalla procedura di affidamento, e, di conseguenza, non hanno avuto, né avrebbero potuto avere, alcuna parte nella formazione della graduatoria che ha condotto all'aggiudicazione dell'appalto.

La sentenza conclude con il dichiarare in parte tardivo ed in parte infondato il ricorso incidentale proposto da uno dei concorrenti che, sebbene avesse mosso un preavviso di ricorso durante lo svolgimento della gara – gara che, si badi bene, alla data della proposizione del ricorso introduttivo della fattispecie in esame era conclusa con avvenuta esecuzione dell'appalto aggiudicato – non aveva poi concretamente impugnato le ammissioni alla stessa e i conseguenti esiti. Con ricordo incidentale proposto poi nel giudizio in esame, il medesimo concorrente si doleva del diniego di autotutela oppostogli dalla stazione appaltante (ricorrente principale) in corso di gara e chiedeva il risarcimento dei danni per la mancata aggiudicazione.

Il TAR, quindi, dopo aver rilevato la manifesta tardività delle doglianze proposte in tale ultima sede avverso atti già consolidati, ritiene di poter decidere la questione in esame sulla base dell'art. 30, comma 3, del c.p.a. il quale – come già affermato in giurisprudenza (TAR Lazio, Roma, sez. III, 5 febbraio 2015, n. 2142) – risponde al canone ermeneutico della non risarcibilità dei danni evitabili con l'impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall'ordinamento, ed è ricognitivo dei principi già contenuti nell'art. 1227 comma 2, c.c.

Ne consegue che l'omessa attivazione degli strumenti di tutela costituisce, nel comportamento complessivo delle parti, condotta valutabile alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, e non più una preclusione di rito (come si riteneva allorché si preferiva la teoria c.d. della pregiudiziale amministrativa), bensì un fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile (in tal senso cfr. Cons. Stato, sez. V, 1 dicembre 2014, n. 5917).

Infine, precisa l'adito giudice che:

-- la mancanza di una tempestiva azione di annullamento degli atti di gara, in quanto ascrivibile unicamente a scelte individuali ed incoercibili del presunto danneggiato, rileva anche sotto il profilo dell'interruzione dell'indispensabile nesso eziologico che, ai fini del sorgere del diritto al risarcimento, deve legare l'azione della stazione appaltante all'evento dannoso. Evento che, invece, in caso di consolidamento degli atti di gara per effetto dell'inerzia del presunto danneggiato, deve ritenersi riconducibile unicamente alla responsabilità di quest'ultimo ed involge, quindi, la sfera di autoresponsabilità del concorrente, che si assuma leso dalla condotta della stazione appaltante;

-- l'assenza o l'impossibilità di un giudizio di illegittimità degli atti asseritamente lesivi comporta la correlata assenza di altra componente fondamentale del diritto al risarcimento del danno, ossia del requisito dell'antigiuridicità di esso, nel senso di lesione inferta non jure e contra jus.

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