La cessione del ramo d’azienda non comporta la perdita in via automatica dell’attestazione SOA

Marco Calaresu
06 Luglio 2017

L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato condivide la tesi “sostanzialistica” in ordine agli effetti della cessione del ramo d'azienda sul possesso dell'attestazione SOA. L'Adunanza Plenaria ritiene che la cessione del ramo d'azienda non comporta automaticamente la perdita della qualificazione della ditta cedente, occorrendo procedere a una valutazione in concreto dell'atto di cessione, da condursi sulla base degli scopi perseguiti dalle parti e dall'oggetto del trasferimento.

La pronuncia in esame trae origine dall'ordinanza della III Sezione, n. 1152 del 13 marzo 2017 (cfr. New del 16 marzo 2017 a cura di R. Pappalardo), la quale, ravvisando un contrasto di giurisprudenza sugli effetti della cessione del ramo d'azienda sul possesso dell'attestazione SOA, aveva deferito all'Adunanza Plenaria due questioni. La prima riguardava la possibilità di sostenere che, ai sensi dell'art. 76, co. 11, del d.P.R. 207/2010, la cessione del ramo d'azienda comporterebbe sempre, in virtù dell'effetto traslativo, il venir meno della qualificazione, ovvero che ciò avverrebbe nei soli casi in cui il cedente si sia definitivamente spogliato dei requisiti che gli avevano consentito di ottenere la qualificazione. La seconda, connessa alla prima, era finalizzata a verificare se l'accertamento effettuato dalla SOA, su richiesta o in sede di verifica triennale, valga sempre e solo per il futuro o se l'accertamento ex post in ordine al mantenimento dei requisiti in capo al cedente, nonostante l'avvenuta cessione di una parte del compendio aziendale, possa anche valere ai fini conservazione della qualificazione senza soluzioni di continuità.

Con riferimento alla prima questione, l'Adunanza Plenaria rileva che alla tesi “formalistica” (secondo cui nel caso di cessione di ramo d'azienda il cedente perde automaticamente l'attestazione SOA), sostenuta da una parte della giurisprudenza (Cons. Stato, sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 811, 812 e 813; Id., sez. III, 7 maggio 2015, n. 2296 e 12 novembre 2014, n. 5573), si contrappone quella “sostanzialistica” (secondo cui, invece, occorre escludere in linea di principio ogni automatismo decadenziale conseguente alla cessione del ramo d'azienda, occorrendo invece aver riguardo alla causa in concreto del negozio di cessione e al sottostante regolamento di interessi voluto dalle parti), alla quale ha aderito la richiamata ordinanza di rimessione della III Sezione e la più recente giurisprudenza (Cons. Stato, sez. III, 9 gennaio 2017, n. 30; Id. sez. V, 18 ottobre 2016, n. 4347 e 4348; sez. V, 17 dicembre 2015, n. 5706).

L'Adunanza Plenaria dichiara di condividere la tesi “sostanzialistica”, ancorché sulla base di argomenti in parte diversi rispetto a quelli precedentemente prospettati dalla giurisprudenza. A tal fine l'Adunanza Plenaria sottolinea che la facoltà, prevista dall'art. 76, co. 11, secondo periodo del d.P.R. 207/2010, per l'impresa cedente di chiedere una nuova attestazione SOA per i requisiti oggetto di trasferimento non può essere trasformata nella previsione dell'automatica decadenza della stessa all'atto della cessione, essendo ben possibile che la cessione di parti dell'azienda, ancorché qualificate come ramo d'azienda, si riferisca a “porzioni prive di autonomia funzionale nel contesto dell'impresa e comunque non significative”, e che pertanto, la cessione de qua non sia tale da generare la perdita in capo al cedente (e il correlato acquisto in capo al cessionario) dei requisiti di qualificazione. L'interpretazione letterale sarebbe confermata sotto il profilo “logico-sistematico” dalla considerazione che non è possibile sostenere che la cessione di beni aziendali comporti «di per sé il trasferimento delle qualificazioni, occorrendo considerare quale sia l'interesse pratico sotteso all'operazione e il suo effettivo contenuto …».

Relativamente al primo quesito, l'Adunanza Plenaria conclude dunque nel senso che «l'art. 76, co. 11, del D.P.R. n. 207/2010 deve essere interpretato nel senso che la cessione del ramo d'azienda non comporta automaticamente la perdita della qualificazione, occorrendo procedere a una valutazione in concreto dell'atto di cessione, da condursi sulla base degli scopi perseguiti dalle parti e dell'oggetto del trasferimento». Tale conclusione incide sul tema, prospettato con il secondo quesito, dell'efficacia (ex nunc o ex tunc) della positiva verifica posteriore operata dalla SOA. Sul punto l'Adunanza Plenaria ha chiarito che verifica della SOA ha un'efficacia probatoria e non già sostanziale e che gli atti di accertamento hanno intrinseca valenza retroattiva, perché dichiarano una realtà giuridica preesistente. Ne discende che «postulare l'efficacia ex nunc della verifica positiva da parte dell'organismo SOA sarebbe in contrasto con la sua natura». Viene a tal fine valorizzato anche il ruolo dell'ANAC, sottolineando che il potere di intervento dell'Autorità neutralizza il rischio che l'impresa cedente continui a operare sulla base di un'illegittima (o mancata) conferma dell'attestazione da parte della SOA.

La pronuncia dell'Adunanza Plenaria in esame si segnala, altresì, per aver dichiarato l'inammissibilità degli interventi ad adiuvandum proposti da due operatori economici (i quali hanno prospettato la titolarità di un interesse “mediato” non suscettibile di essere difeso in via autonoma, ma idoneo, a loro avviso, a legittimare un intervento adesivo dipendente ex art. 28, co. 2, c.p.a.), sulla base della considerazione (già espressa nella sentenza n. 23 del 4 novembre 2016, pronunciata sempre dall'Adunanza Plenaria) secondo cui: «Non è sufficiente a consentire l'intervento ad adiuvandum la sola circostanza per cui il proponente tale istanza sia parte in un giudizio in cui venga in rilievo una quaestio iuris analoga a quella divisata nell'ambito del giudizio principale; laddove si ammettesse la possibilità di spiegare l'intervento volontario a fronte della sola analogia fra le quaestiones iuris controverse nei due giudizi, si finirebbe per introdurre nel processo amministrativo una nozione di ‘interesse' del tutto peculiare e svincolata dalla tipica valenza endoprocessuale connessa a tale nozione e potenzialmente foriera di iniziative anche emulative, in toto scisse dall'oggetto specifico del giudizio cui l'intervento si riferisce».

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