Sull’infondatezza della domanda risarcitoria in caso di tardiva impugnazione dell’aggiudicazione definitiva

08 Giugno 2017

L'omessa o tardiva impugnazione costituisce un fatto che preclude la risarcibilità di quei danni che sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di rituale utilizzazione dello strumento di tutela specifica predisposto dall'ordinamento a protezione delle posizioni di interesse legittimo, onde evitare la consolidazione di effetti dannosi.

Una società partecipava ad una gara indetta da Ferservizi per la conclusione di un accordo quadro avente a oggetto la “fornitura di sistemi integrati di rilevazione presenze e controllo accessi per le Società del Gruppo Ferrovie dello Stato, comprensiva di installazione, collaudo e attività di assistenza e manutenzione post-vendita”. Al termine della procedura, si classificava seconda. Ritenendo l'operato della stazione appaltante affetto da una serie di illegittimità, si rivolge al Tar del Lazio, domandando l'annullamento di alcuni provvedimenti (tra cui, anzitutto, l'aggiudicazione definitiva della gara in favore della società contro interessata) e il risarcimento dei danni subiti.

Nelle more del giudizio, la ricorrente, tuttavia, perde interesse alla domanda caducatoria (avendo, in particolare, perso la possibilità di subentrare nell'accordo quadro) della quale viene, quindi, rilevata l'improcedibilità. Insiste, invece, per la condanna della stazione appaltante al risarcimento dei danni subiti.

Il Tar, tuttavia, accoglie l'eccezione di tardività del ricorso sollevata da parte resistente. La notificazione dello stesso da parte della ricorrente è, difatti, avvenuta oltre il termine previsto dalla legge, in particolare 120 giorni dopo la conoscenza del provvedimento di aggiudicazione definitiva. Tale conclusione incide, di conseguenza, sulla pretesa risarcitoria, determinandone l'infondatezza. Ricordano, nello specifico, i giudici che l'art. 30, comma 3, c.p.a. sancisce che «[n]el determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti». Si legge che in relazione a questa norma, che traspone nella materia del risarcimento dei danni da lesione di interessi legittimi il principio generale codificato dall'art. 1227, comma 2, c.c. la giurisprudenza ha affermato che «l'omessa attivazione degli strumenti di tutela specifici previsti dall'ordinamento a tutela delle posizioni di interesse legittimo, nel caso in cui essa avrebbe impedito la consolidazione di effetti dannosi, costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell'esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l'ordinaria diligenza. E tanto in una logica che vede l'omessa impugnazione non più come preclusione di rito ma come fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile» (Cons. St., sez. IV, 13 aprile 2016, n. 1459). Conclude il Collegio affermando che l'omessa o tardiva impugnazione costituisce un fatto che «preclude la risarcibilità di danni che sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di rituale utilizzazione dello strumento di tutela specifica predisposto dall'ordinamento a protezione delle posizioni di interesse legittimo onde evitare la consolidazione di effetti dannosi».

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