É illegittimo il silenzio del Prefetto in ordine alla circostanziata richiesta di revisione della certificazione antimafia

08 Settembre 2016

In presenza di una circostanziata richiesta di revisione della certificazione antimafia da parte del soggetto interessato sulla base di documentate sopravvenienze, il Prefetto ha l'obbligo di riesaminare il quadro indiziario esistente e di adottare un provvedimento espresso, valutando in piena discrezionalità il perdurare del rischio di infiltrazione mafiosa. Ne consegue che – ai fini del bilanciamento tra l'interesse pubblico a non consentire alla P.A. di contrattare con soggetti sospettati di collusione con la criminalità organizzata e quello privato di garantire il diritto al libero esercizio dell'attività economica privata – in tali casi l'Amministrazione è tenuta a pronunciarsi in ordine all'istanza di revisione della suddetta certificazione nonché di iscrizione alla c.d. “White list” dei fornitori nel termine di conclusione del procedimento – applicabile anche all'aggiornamento dell'informativa – stabilito dall'art. 92 del codice delle leggi antimafia per il rilascio delle informazioni antimafia in quanto, a seguito all'istanza di aggiornamento, la Prefettura deve svolgere un'istruttoria analoga a quella necessaria per il rilascio della prima informazione.

Il Tribunale, nel ribadire la necessità di un aggiornamento periodico degli elementi che evidenziano tentativi di infiltrazione mafiosa, ha affermato la sussistenza di un obbligo a provvedere, in capo all'Amministrazione, in ordine all'istanza di revisione della certificazione antimafia e di iscrizione nell'elenco fornitori prestatori di servizi ed esecutori operanti nei settori sensibili non soggetti a rischio di infiltrazioni mafiose, c.d. “White list”, ai sensi della l. n. 190 del 2012.

Pertanto, a fronte di una circostanziata richiesta di aggiornamento da parte del soggetto interessato, il Prefetto non può legittimamente sottrarsi all'obbligo di riesaminare il quadro indiziario esistente alla luce dei nuovi dati segnalatigli (Cons. St., Sez. VI, 20 maggio 2009, n. 3092; Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743) e di pronunciarsi nuovamente, quindi, in via espressa su di esso, ferma restando, naturalmente, la piena discrezionalità del suo potere valutativo (cfr. Cons. St., Sez. III, 13 maggio 2015, n. 2410; 3 maggio 2016, n. 1743) in merito al perdurare del rischio di infiltrazione mafiosa. La finalità della norma di cui all'art. 91, comma 5, del d.lgs. n. 159 del 2011 consiste infatti nel perseguire il bilanciamento tra l'interesse pubblico a non consentire alla P.A. di contrattare con soggetti sospettati di collusione con la criminalità organizzata e l'interesse privato di garantire il diritto al libero esercizio dell'attività economica privata, non appena sia stato verificato il venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell'accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa (TAR Lazio, Sez. I-ter, sentenze n. 7316 del 2015 e n. 6559 del 2014).

Nella specie, a seguito di una serie di informative interdittive emesse nei confronti della società in ragione dell'accertata presenza di situazioni relative a tentativi di infiltrazione mafiosa previste dal d.lgs. n. 159 del 2011, stante la sussistenza di rapporti economici e non occasionali con soggetti gravati da precedenti per associazione a delinquere di stampo mafioso e imputati per condotta finalizzata a pilotare l'aggiudicazione di un appalto pubblico, il Prefetto non si pronunciava sulla circostanziata richiesta di aggiornamento della certificazione antimafia presentata dal soggetto interessato, senza quindi riesaminare il quadro indiziario esistente alla luce dei nuovi dati segnalatigli.

Il Collegio, applicando i suddetti principi di diritto alla fattispecie concreta, ha rilevato che nel caso in cui la società destinataria dell'informativa evidenzi mutamenti nelle circostanze di fatto a tal fine rilevanti – rappresentando di aver eliminato i presupposti sulla base dei quali era stato emesso il provvedimento interdittivo – l'Amministrazione è tenuta a riaprire il procedimento e a compiere una nuova istruttoria al fine di appurare se i fatti sopravvenuti siano tali da aver fatto venir meno il rischio di infiltrazione mafiosa: all'esito il Prefetto deve ponderare nuovamente gli elementi indiziari originari alla luce delle documentate sopravvenienze allegate dalla parte istante.

Inoltre, in ordine al silenzio sulla richiesta di iscrizione alla c.d. “White list” dei fornitori, il Tar ha precisato che in virtù dell'art. 92, commi 2 e 3, del decreto legislativo n. 159 del 2011 la suddetta iscrizione nell'elenco è ricollegata ad attività istruttorie della medesima tipologia e contenuto di quelle previste ai fini della redazione delle informative antimafia e, anche in questo caso, è dunque prevista la necessità di un aggiornamento periodico degli elementi che evidenziano tentativi di infiltrazione mafiosa.

La Sezione – rilevata l'applicabilità, anche al procedimento di aggiornamento dell'informativa, del termine di cui all'art. 92 del codice delle leggi antimafia per il rilascio delle informazioni antimafia – ha pertanto accolto il ricorso, ordinando alla Prefettura di concludere il procedimento, mediante l'adozione di un provvedimento espresso sulle istanze della ricorrente, di revisione della certificazione antimafia e di iscrizione nell'elenco fornitori prestatori di servizi ed esecutori operanti nei settori sensibili non soggetti a rischio di infiltrazioni mafiose, ai sensi della l. n. 190 del 2012.