Il vincolo di risultato per il contraente generale

10 Novembre 2016

Il d.lgs. n. 50 del 2016 ripropone nella parte IV, al titolo III, la figura del “Contraente generale” (artt. 194-199).
La disciplina del contraente generale nel nuovo codice dei contratti

Il d.lgs. n. 50 del 2016 ripropone nella parte IV, al titolo III, la figura del “Contraente generale” (artt. 194-199).

Tale figura è stata per la prima volta utilizzata nell'ambito del programma infrastrutturale dell'alta velocità, previsto dal piano generale dei trasporti del 1991, al fine di garantire la realizzazione delle opere, rispettando particolari standard qualitativi e tempi definiti, su base “chiavi in mano” e prezzo forfettario (sul punto vedi R. DAMONTE-D. GALLI, Il general contractor, Milano, 2005, 54 ss.).

L'istituto ha poi fatto ingresso nel nostro ordinamento con la legge obiettivo (l. n. 443 del 2001) e nel successivo d.lgs. n. 190 del 2002, con la finalità di accelerare la realizzazione delle grandi strutture e degli insediamenti strategici di interesse nazionale (Cfr. G. STUMPO, La figura del “general contractor” come delineata dalla legge n. 443 del 2001 e dal recente regolamento attuativo di cui al d.lgs. n. 190 del 2002, in Riv. trim. app., 2002, 837 ss.; R. DE NICTOLIS, La nuova riforma dei lavori pubblici, in Urbanistica e appalti, 2002, 1271 ss.; V. FARINA, L'affidamento a contraente generale, Napoli, 2007; AA.VV., M.A. SANDULLI-R. DE NICTOLIS-R. GAROFOLI (a cura di), Il contraente generale, in Trattato sui contratti pubblici, Milano, 2008, IV, 2795 ss.; F. PASCUCCI-R. TOMEI, Contraente generale, in Dig. pubbl., Agg., I, 2008, 222 ss.).

Nel d.lgs. n. 163 del 2006 (codice degli appalti) la disciplina del contraente generale trova una organica collocazione nella parte II, titolo III, capo IV.

La legge delega (l. n. 11 del 2016) – che segue le nuove direttive europee 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE – pur non contenendo prescrizioni di principio sul contraente generale, se ne occupa prevedendo il divieto di attribuire negli appalti di lavori conferiti con la formula del contraente generale i compiti di responsabile o direttore dei lavori allo stesso contraente generale o a soggetto ad esso collegato.

Il nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50 del 2016) al comma 1 dell'art. 194 stabilisce che «con il contratto di affidamento unitario a contraente generale, il soggetto aggiudicatore affida ad un soggetto dotato di adeguata capacità organizzativa, tecnico-realizzativa e finanziaria la realizzazione con qualsiasi mezzo dell'opera, nel rispetto delle esigenze specificate nel progetto definitivo redatto dal soggetto aggiudicatore e posto a base di gara, ai sensi dell'articolo 195, comma 2, a fronte di un corrispettivo pagato in tutto o in parte dopo l'ultimazione dei lavori».

Per il secondo comma il contraente generale provvede alla predisposizione del progetto esecutivo e alle attività tecnico amministrative occorrenti al soggetto aggiudicatore per pervenire all'approvazione dello stesso; all'acquisizione delle aree di sedime; all'esecuzione con qualsiasi mezzo dei lavori; al prefinanziamento, in tutto o in parte, dell'opera da realizzare; ove richiesto, all'individuazione delle modalità gestionali dell'opera e di selezione dei soggetti gestori; all'indicazione, al soggetto aggiudicatore, del piano degli affidamenti, delle espropriazioni, delle forniture di materiale e di tutti gli altri elementi utili a prevenire le infiltrazioni della criminalità, secondo le forme stabilite tra quest'ultimo e gli organi competenti in materia.

Per il terzo comma il soggetto aggiudicatore provvede all'approvazione del progetto esecutivo e delle varianti; alla nomina, con le procedure di cui all'articolo 31, comma 1, del direttore dei lavori e dei collaudatori, nonché provvede all'alta sorveglianza sulla realizzazione delle opere, assicurando un costante monitoraggio dei lavori anche tramite un comitato permanente costituito da suoi rappresentanti e rappresentanti del contraente; al collaudo delle stesse; alla stipulazione di appositi accordi con gli organi competenti in materia di sicurezza nonché di prevenzione e repressione della criminalità, finalizzati alla verifica preventiva del programma di esecuzione dei lavori in vista del successivo monitoraggio di tutte le fasi di esecuzione delle opere e dei soggetti che le realizzano.

Rispetto alla previsione del d.lgs. n. 163 del 2006 al contraente generale compete la sola progettazione esecutiva in quanto la progettazione definitiva spetta invece al soggetto aggiudicatore. Inoltre come già ricordato il contraente generale non ha la direzione dei lavori, dovendo provvedere il soggetto aggiudicatore alla nomina del direttore dei lavori e del collaudatore, nonché all'alta sorveglianza sulla realizzazione dell'opera.

Il quinto comma si occupa delle varianti del progetto affidato al contraente generale, derogando alla previsione dell'art. 63 per essere le stesse regolate dalle norme della parte II, che costituiscono attuazione della direttiva 2014/24/UE o dalle norme della parte III nonché da specifiche disposizioni contenute nello stesso art. 194. In particolare quest'ultima norma prevede che restano a carico del contraente generale le eventuali varianti necessarie ad emendare i vizi o integrare le omissioni del progetto esecutivo redatto dallo stesso e approvato dal soggetto aggiudicatore, mentre restano a carico del soggetto aggiudicatore le eventuali varianti indotte da forza maggiore o sopravvenute prescrizioni di legge o di enti terzi o comunque richieste dal soggetto aggiudicatore. Al di fuori di detti casi il contraente generale può proporre al soggetto aggiudicatore le varianti progettuali o le modifiche tecniche ritenute dallo stesso utili a ridurre il tempo o il costo di realizzazione delle opere; il soggetto aggiudicatore può rifiutare l'approvazione delle varianti o modifiche tecniche ove queste non rispettino le specifiche tecniche e le esigenze, specificate nel progetto posto a base di gara, o comunque determinino peggioramento della funzionalità, durabilità, manutenibilità e sicurezza delle opere, ovvero comportino maggiore spesa a carico del soggetto aggiudicatore o ritardo del termine di ultimazione.

Rispetto alla previgente disciplina viene espunta la sorpresa geologica dalle ipotesi che comportano l'onore della variante.

Le ulteriori disposizioni riguardano la costituzione di società di progetto, gli affidamenti a terzi e i sub-affidamenti (vedi A. MASSERA, Lo Stato che contratta e che si accorda, Pisa, 2012, 482).

Va ricordato che l'affidamento al contraente generale, nonché gli affidamenti e sub-affidamenti di lavori del contraente generale, sono sottoposti alle verifiche antimafia, con le medesime modalità previste per i lavori pubblici.

Una novità è contenuta nel comma 9; infatti il soggetto aggiudicatore verifica, prima di effettuare qualsiasi pagamento a favore del contraente generale, compresa l'emissione di eventuali stati di avanzamento lavori, il regolare adempimento degli obblighi contrattuali del contraente generale nei confronti dei propri affidatari: ove risulti l'inadempienza del contraente generale, il soggetto aggiudicatore applica una detrazione sui successivi pagamenti e procede al pagamento diretto all'affidatario, nonché applica le eventuali diverse sanzioni previste nel contratto.

Per finire l'art. 195 d.lgs. n. 50 del 2016 disciplina le procedure di aggiudicazione del contraente generale, mentre gli artt. 197 e 199 si occupano del sistema di qualificazione del contraente generale e della gestione del sistema di qualificazione.

L'obbligazione di risultato del contraente generale

Vigendo il precedente codice si sosteneva che quella del contraente generale fosse una obbligazione di risultato dal contenuto più pregnante rispetto a quella dell'appaltatore (A. CIANFLONE-G. GIOVANNINI, L'appalto di opere pubbliche, I, Milano, 2012, 1155; M. C. LEPORE, Promotore e contraente generale delle infrastrutture strategiche, in Commento al Codice dei contratti pubblici, Torino, 2008, 726).

Veniva a tal proposito richiamato l'art. 162, comma 1, lett. g) del codice, per cui il contraente generale si differenzia dal concessionario di opere pubbliche fra l'altro per «la natura prevalentemente di obbligazione di risultato complessivo del rapporto che lega questa figura al soggetto aggiudicatore e per l'assunzione del relativo rischio» e l'art. 176, comma 4, per cui il contraente generale risponde «della corretta e tempestiva esecuzione dell'opera» [per il Consiglio di Stato la concessione c.d. “di committenza” consiste in un'obbligazione di mezzi e non di risultato, in quanto al concessionario si limita a prestare una serie di servizi (tra i quali è compreso anche quello di esperire le procedure di scelta dell'appaltatore), ma non realizza egli stesso l'opera, nè garantisce l'adempimento da parte dell'appaltatore; ne consegue, quindi, che il concessionario effettua prestazioni professionali, e come tale viene remunerato, assumendo una tipica obbligazione di mezzi, a differenza dell'appaltatore o del concessionario di costruzione che assumono tipiche obbligazioni di risultato. Consiglio di Stato, sez. IV, 18 gennaio 1996, n. 54].

Invero l'obbligazione di risultato del contraente consegue alla disciplina generale piuttosto che alla previsione appena ricordata dell'art. 162, comma 1, peraltro non più riproposta nel nuovo codice dei contratti pubblici.

L'obbligo di risultato del contraente generale – si è ritenuto – costituisce «il punto di coesione tra il volto pubblicistico e quello privatistico del risultato» (F. CINTIOLI, in G.F. FERRARI-G. MORBIDELLI (a cura di), Commentario al codice dei contratti pubblici, Milano, 2013, 700). Si può dire che esso rappresenti per l'ente aggiudicatore la concretizzazione dell'interesse pubblico alla realizzazione dell'opera (funzione) e per l'impresa un obbligo contrattuale (fine), incombendo sul contraente generale la effettiva realizzazione dell'opera ed essendo tenuto «non solo alla cura ma alla cura cum effectu» (op. cit., 700).

Infatti al contraente generale compete ogni attività strumentale alla realizzazione dell'opera, comprese le attività che ordinariamente competono all'amministrazione (op. cit., 698).

Ciò non significa che tra l'ente aggiudicatore e l'impresa vi sia una “condivisione” nella cura dell'interesse pubblico, poiché si arriverebbe ad una subordinazione dell'interesse privato dell'impresa all'interesse pubblico, il quale è invece «un dato di contesto (come l'interesse dell'impresa al profitto, ad esempio, nell'ambito dei rapporti interprivati), tra quelli cioè che egli deve valutare nel suo comportamento» (A. MASSERA, Lo Stato che contratta e che si accorda, cit., 328).

Chi ha valorizzato la complessiva attività del contraente generale verso il risultato ha qualificato il rapporto tra aggiudicatore e contraente generale in termini di mandato senza rappresentanza (M. PROTTO, La legge obiettivo: arriva il General Contractor e dilaga la “super DIA”, in Urbanistica e appalti, 2002, 12). E tuttavia da altra dottrina si è prospettata l'assimilazione all'appalto di lavori (D. GALLI, Il general contractor, in Giornale di dir. amm., 2002, 475) ovvero alla concessione (A. CIANFLONE-G. GIOVANNINI, L'appalto di opere pubbliche, cit., 1155).

Ai nostri fini va comunque ricordato che anche per la risalente dottrina il fine del concessionario è «una speculazione commerciale e industriale» (G. ZANOBINI, L'esercizio privato delle funzioni e dei servizi pubblici, in V. E. ORLANDO (a cura di), Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, II, 479) e che non «ha altro interesse che quello che può avere un imprenditore in un contratto di appalto» (O. RANELLETTI, Teoria generale delle autorizzazioni e delle concessioni, in Giur. it., 1895, 9).

Comunque, le critiche a queste tesi (F. CINTIOLI, in Commentario al codice dei contratti pubblici, cit., 701 ss.), che hanno portato a qualificare misto il contratto stipulato con il contraente generale, tendono in ogni caso a valorizzare il «risultato cui si vincola il contraente» (op. cit., 702).

La circostanza che l'opera da realizzare si identifichi con l'obiettivo strategico da raggiungere (A. MASCOLINI, L'affidamento a contraente generale, in I contratti dello stato e degli enti pubblici, 2004, 493), e che l'obiettivo coincide con il “risultato” che vincola nel fine il contraente generale, non significa tuttavia che il risultato costituisca la causa del contratto di affidamento al contraente generale, al pari di quanto accade negli appalti ordinari

Correttamente si è ritenuto che il contratto come strumento tecnico per la realizzazione di un determinato interesse pubblico non consente «la penetrazione dell'interesse pubblico nel profilo causale del contratto stipulato dall'operatore economico con l'amministrazione, valendo piuttosto l'assunzione di un certo tipo contrattuale come assunzione di un determinato modello di distribuzione dei rischi quanto a inadempimento e sopravvenienze» (A. MASSERA, Lo Stato che contratta e che si accorda, cit. 328 ss. Per questo Autore non può ritenersi che l'interesse pubblico divenga la causa del negozio, in sé considerato, in quanto, come è stato felicemente rimarcato, nel rapporto contrattuale di cui si parla non vi sono interessi pubblici, ma interessi della parte pubblica”; vedi F. TRIMARCHI BANFI, I rapporti contrattuali della pubblica amministrazione, in Dir. pubbl., 1998, p. 42. Per F. LEDDA, Per una nuova normativa sulla contabilità, in Studi in onore di A. Amorth, Milano, 1982, I, p. 334, l'interesse pubblico assume rilevanza come interesse di parte essendo stato assunto ad oggetto di regolamento negoziale¸esso “non può ‘conformare' la funzione del contratto e modellarne la sua causa quasi per una preminenza naturale”. Diversamente V. RICCIUTO-A. NERVI, Il contratto della pubblica amministrazione, Napoli, 2009, pp. 174 ss.).

Parimenti sottolinea la Corte di Cassazione che «la preminenza della posizione riservata alla P.A. committente, derivante dall'essere l'opera appaltata rivolta a fini pubblici, non incide sulla natura privatistica del contratto di appalto di opere pubbliche» (Cass., sez. I, 29 aprile 2006, n. 10052. E le decisioni in essa richiamate Cass., sez. Un., 27 novembre 1996, n. 10525; Cass., Sez. I, 24 ottobre 1985, n. 5232; Cass., Sez. I, 18 novembre 1994, n. 9794).

Crediamo che occorra muoversi verso una interpretazione coerente e sistematica dell'istituto del contraente generale, ove profili privatistici e profili pubblicistici devono necessariamente convivere senza tuttavia confondersi – occorre ripetere – in quel “risultato” a cui è vincolato il contraente generale che coincide del resto con la realizzazione dell'opera pubblica; valorizzando il rapporto tra contratto e attività complessiva, considerata la strumentalità del contratto rispetto alla attività o meglio il “risultato”, ossia il “fine” comunque distinto dalla “funzione” che fa capo alla amministrazione e non coincidente con la causa (cfr. M. LIBERTINI, Autonomia individuale e autonomie d'impresa, in G. GITTI-M. MAUGERI-M. NOTARI (a cura di), I contratti per l'impresa, Bologna, 2012, 52 ss.).

Ci si chiede a questo punto se il “risultato” nei termini sopra prospettati possa incidere sull'equilibrio contrattuale facendo assumere al contraente generale rischi ulteriori rispetto all'appaltatore ordinario.

Già abbiamo ricordato che nel precedente codice all'art. 162, comma 1, lett. g), nella sezione “infrastrutture e insediamenti produttivi” si distingueva la figura del contraente generale dal concessionario di opere pubbliche «per la natura prevalente di obbligazione di risultato complessivo del rapporto che lega detta figura al soggetto aggiudicatore e per l'assunzione del relativo rischio». Questa “distinzione” non viene riproposta nel nuovo codice che comunque dedica una parte, la V, ad “infrastrutture e insediamenti produttivi”. Probabilmente in quanto del tutto superflua (e forse fuorviante) rispetto alla disciplina del contraente generale; dalla quale disciplina consegue – al pari dell'appalto ordinario – l'obbligazione di risultato, con talune specificità che vedremo più appresso.

E tuttavia muovendosi da questa norma (l'art. 162, comma 1, lett. g)) si è parlato di un “rischio specifico” del contraente generale sul presupposto che quello del contraente generale fosse un «affidamento dei lavori chiavi in mano, con un obbligo di risultato globale» (Deliberazione n. 52 Adunanza del 23 settembre 2010); di un rischio al contempo “più esteso” che assumerebbe il contraente generale per le peculiarità delle sue obbligazioni rispetto a quelle dell'ordinario appaltatore; di un rischio che potrebbe alterare l'equilibrio contrattuale.

Le tesi prospettate – come cercheremo di dimostrare – appaiono poco condivisibili perché non trovano corrispondenza nella legge e appaiono poco rispettose della libertà di iniziativa economica e dello statuto costituzionale dell'impresa.

La posizione dell'AVCP e dell'ANAC

Vigendo il codice degli appalti del 2006 l'AVCP nella delibera n. 48 del 2011 sottolinea il carattere di eccezionalità ed assoluta imprevedibilità cui deve essere subordinata l'ammissibilità del riconoscimento di maggiori oneri sopportati dal contraente generale in relazione «all'obbligazione di risultato al medesimo rimessa, quale soggetto dotato di adeguata capacità organizzativa, tecnico-realizzativa e finanziaria».

La delibera n. 48 del 2011 conclude nei seguenti termini: «si ritiene, in definitiva, che qualsiasi richiesta di natura risarcitoria avanzata dal contraente generale debba essere valutata con attenzione sia al fatto che le circostanze lamentate non rientrino tra quelle comprese tra i rischi rimessi allo stesso, sia all'assenza di responsabilità del contraente generale, non solo in relazione al verificarsi di dette circostanze, ma anche in relazione al non aver assunto adeguate e tempestive iniziative e misure per evitare che le criticità e/o per riorganizzare la propria attività».

La delibera n. 52 del 2010, dopo aver escluso che le sospensioni “legittime” (ai sensi dell'art. 113 del d.P.R. n. 554 del 1999 e art. 24 del d.m. n. 145 del 2000) possono dar luogo a risarcimenti per il contraente generale che abbia sopportato costi improduttivi di manodopera e mezzi, ha precisato che «i maggiori oneri dovrebbero derivare esclusivamente da circostanze del tutto imprevedibili, tali da non consentire una riprogrammazione delle attività contestuale alle stesse, ed il calcolo degli stessi dovrebbe essere limitato ai tempi strettamente necessari a consentire l'attivazione di adeguati correttivi nell'impiego delle risorse e non all'intera durata dell'impedimento».

In sostanza, ed in estrema sintesi, i pronunciamenti dell'AVCP individuano la peculiarità della figura del Contraente Generale nei maggiori e più specifici rischi che il medesimo assume rispetto all'ordinario appaltatore; l'accrescimento, rispetto a questi, dell'eccezionalità ed imprevedibilità degli eventi che lo abbiano costretto a sopportare maggiori costi tali da rendere ammissibile il loro risarcimento; la limitazione del risarcimento agli stretti tempi necessari al contraente generale per riprogrammare la propria attività e riorganizzare i fattori produttivi impiegati.

Del contraente generale si è occupato anche l'ANAC nell'esercizio del potere di vigilanza e controllo. E tuttavia ciò è accaduto – ci sembra – prescindendo dagli approdi giurisprudenziali che nella materia si sono nel frattempo susseguiti rispetto alle delibere dell'AVCP.

Invero l'autonomia delle amministrazioni indipendenti (qual è l'ANAC) non è funzionale all'esercizio di poteri decisionali (esclusivi) ma costituisce la condizione organizzativa per un confronto, per un dialogo, con cittadini ed imprese ed anche con altri poteri (S. LICCIARDELLO, Profili giuridici della nuova amministrazione pubblica. Organizzazione per "autonomie" e "diritti" dei cittadini, Torino, 2000). In questo confronto trova legittimazione lo stesso processo di regolazione dell'ANAC, che per questo può ritenersi declinazione di una più autentica democraticità.

Va precisato che attraverso ogni potere attribuito all'Autorità si può esprimere il potere regolatorio. La funzione regolatoria si esercita così anche attraverso provvedimenti sanzionatori e nell'esercizio della funzione di controllo e di vigilanza (in questo senso, relativamente all'Autorità antitrust, S. LICCIARDELLO, Sulle sanzioni a tutela della concorrenza e del mercato. Italia e Francia a confronto, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1993, 91 e ss.; ID., Le sanzioni dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, in Riv. trim. dir. pubbl., 1997, 349 e ss.).

Abbiamo ricordato in altra sede (S. LICCIARDELLO, Prime note sulla funzione di regolazione dell'ANAC nel nuovo codice degli appalti, in Federalismi, n. 16 del 2016) che anticipare il dialogo sin dal momento di formazione della “norma” renderà la norma, prima più “giusta” e poi “effettiva” (Cfr. sul punto I. M. MARINO, Aspetti giuridici della programmazione: programmazione e mete sociali, in Dir. e società, 1990, 26 ss.), favorendo una concreta esigenza di certezza dei rapporti giuridici che è uno dei presupposti necessari per lo svolgimento della attività economica imposto dall'art. 41 della Costituzione (V. OTTAVIANO, La regolazione del mercato, in Scritti giuridici, II, Milano 1992, 81).

Con questo si vuole dire che il processo di regolazione dell'ANAC – fermo restando comunque la propria autonomia – non può prescindere da un dialogo, da un confronto con cittadini, imprese; non può prescindere dai decisum giurisdizionali e dalle interpretazioni che in quella sede si sono date. Nella delibera n. CP-2 del 15 luglio 2014 l'ANAC parla di «ampie responsabilità rimesse al CG, che in relazione all'obbligazione di risultato nella progettazione dell'intervento, comprendono anche la rimozione degli ostacoli alla produzione, non solo strettamente connessi ad aspetti esecutivi, ma, in senso più ampio, anche ad aspetti progettuali e di gestione tecnico-amministrativa dell'attività realizzativa, compiti, cioè, ordinariamente rimessi, per altre forme di affidamento, alla stazione appaltante».

Ed ancora recentemente ha osservato che il contraente generale «è tenuto a predisporre un'organizzazione d'impresa che gli consenta di far fronte sia alle esigenze sopravvenute in via di fatto, sia a quelle successivamente evidenziate dall'ente stesso o anche da altri soggetti a ciò legittimati ovvero derivanti da prescrizioni contenute nella normativa primaria e secondaria intervenuta successivamente alla stipulazione del contratto. Da ciò consegue che il rischio d'impresa che il Contraente Generale assume con il contratto è, dunque, tale che la riscontrata inidoneità nell'assolvimento degli eventuali obblighi sopravvenuti, o il rifiuto da parte sua di adempiere, sono fonte di responsabilità contrattuale, anche nel caso di eventi fortuiti o di forza maggiore, attesa l'espressa previsione legislativa in base alla quale egli e tenuto a realizzare l'opera con ogni mezzo. Ciò, inoltre, significa che ricade nella sua esclusiva responsabilità farsi carico, sul piano organizzativo e produttivo, oltre che tecnico, di tutte le evenienze successive, anche quando ciò si risolve in un prolungamento dei termini di ultimazione dei lavori» (Dirigente Ufficio PRES - Piani di Vigilanza del 12 febbraio 2016).

In questi termini sembra prospettarsi una “funzionalizzazione” dell'impresa – ultronea rispetto alla previsione legislativa (che è invece di “finalizzazione” verso il risultato) (G. MINERVINI, Contro la funzionalizzazione dell'impresa privata, in Riv. dir. civ., 1958, I, 634) – la specificità del contraente generale muta in una “specialità” che tende a fare assumere al contraente generale un rischio poco compatibile con lo statuto costituzionale dell'impresa e con la stessa causa del contratto (V. OTTAVIANO, L'iniziativa privata fra intervento pubblico ed esigenze di produttività, in F. GALGANO (diretto da), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, Padova, 1977, ora in Scritti giuridici, II, Milano 1992, 50. V. OTTAVIANO, La regolazione del mercato, 61 ss.).

É pur vero infatti che nello Stato democratico anche l'attività economica deve svolgersi secondo gli obiettivi sociali previsti dalla Costituzione (V. OTTAVIANO, Intervento statale, mercato e impresa, in Scritti giuridici, II, cit., 16) e che «tutto il sistema adottato dalla Costituzione porta a concepire l'iniziativa economica in modo che essa riesca funzionale ai fini sociali» (op. cit. 18). E tuttavia le finalità pubbliche saranno perseguibili «fino a tanto che non impediscano al mondo economico, e alle imprese, di funzionare» (op. cit. 52). L'assunzione dei rischi che si intenderebbero fare assumere al contraente generale appaiono pertanto incompatibili con il disegno costituzionale.

La giurisprudenza

Le Sezioni Unite della Cassazione

Ricordano le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cassazione, Sezioni Unite, ord. 16 luglio 2014, n. 16240) che l'istituto del contraente generale, disciplinato dall'art. 176 codice dei contratti pubblici, attiene al contratto col quale la stazione appaltante affida ad un soggetto dotato di adeguata esperienza e qualificazione nella costruzione di opere nonché di adeguata capacità organizzativa, tecnico – realizzativa e finanziaria la realizzazione dell'opera, con qualsiasi mezzo. E sottolineano che il contraente generale assume su di sé anche compiti che altrimenti graverebbero sulla stazione appaltante, quali ad esempio lo sviluppo del progetto definitivo e le attività tecnico – amministrative occorrenti per pervenire alla sua approvazione da parte del Cipe, l'acquisizione delle aree di sedime, la progettazione esecutiva, la direzione dei lavori, ecc.

E tuttavia, evidenziano le S.U., la varietà di siffatti compiti ha generato, anche nella dottrina, incertezze circa la natura giuridica del contraente generale, talvolta assimilato alla figura dell'appaltatore, altre volte considerato piuttosto come un mandatario senza rappresentanza nell'interesse dell'amministrazione, oppure accostato ad un concessionario di lavori pubblici. Ed analogamente, il rapporto intercorrente tra l'amministrazione ed il contraente generale è stato ricondotto, di volta in volta, alle tradizionali figure dell'appalto, del mandato o della concessione amministrativa, ma non è mancato chi ha scorto in esso un'ipotesi di collegamento causale tra tipi negoziali diversi, oppure un contratto misto (atipico o connotato da una tipicità sui generis) o un contratto procedimentalizzato a struttura variabile.

Per le S.U. «si può forse allora convenire sulla possibilità che, al pari del concessionario, il contraente generale, per le funzioni attribuitegli nell'iter che conduce alla realizzazione di un'opera pubblica, venga sotto certi riguardi ad assumere la veste di soggetto funzionalmente inserito nell'apparato dell'ente pubblico appaltante, così da rendersi compartecipe dell'operato di quest'ultimo».

Questa “compartecipazione” di cui parla la Cassazione valorizza l'obbligazione di risultato del contraente generale, la responsabilità in senso di accountability – più che di rischio – verso il risultato finale a cui tende l'appalto.

In sostanza il vincolo del risultato per l'impresa non si traduce in “rischi” ulteriori rispetto all'appaltatore ordinario quanto, piuttosto in una specifica accountability a realizzare l'opera con ogni mezzo ed in ogni caso.

Ne consegue che se il rischio venisse ad intaccare l'equilibrio contrattuale a danno dell'impresa, l'accountability, al contrario, valorizza l'equilibrio del rapporto sinallagmatico tra ente aggiudicatore e contraente generale, nella prospettiva del risultato.

La “compartecipazione” di cui parla la cassazione (cosa diversa dalla condivisione) non consegue ad una funzionalizzazione della impresa, ma si pone in linea con la costruzione del rapporto contrattuale meno “adversarial” e più “partenarial” (A. KATZ, The Strategic Structure of Offer and Acceptance: Game Theory and the Law of Contract Formation, in Michigan Law Rev., 1990, 225 ss. Sul punto v. A. MASSERA, Lo Stato che contratta e che si accorda, cit., 452) verso il risultato.

Il Giudice contabile

Un importante contributo alla interpretazione della figura del contraente generale lo ha fornito la Corte dei Conti, Sez. Giurisd. Lazio, n. 256 del 2015.

La posizione del Procuratore della Corte dei Conti nel giudizio conclusosi con detta sentenza si allineava nella sostanza alla posizione assunta da AVCP e ANAC nei provvedimenti sopra richiamati.

Il Procuratore infatti ha sottolineato che la previsione normativa dell'assunzione dell'obbligazione di risultato impone al contraente generale l'onere non solo del «rischio di impresa ma anche quello dell'opera» con conseguente irrisarcibilità dei maggiori costi che derivino dall'esecuzione dell'opera stessa se non nei limiti di cui agli artt. 1467 e 1664 c.c.

Il P.M. ha rimarcato la diversità della figura del Contraente Generale rispetto a quella del comune appaltatore proprio in relazione all'assunzione contrattuale di un'obbligazione di risultato, per cui: «il CG non può richiedere maggiori compensi o danni per variazioni progettuali, sia con riferimento al progetto esecutivo sia al progetto definitivo (dell'amministrazione) in quanto verificato dallo stesso CG; anche i maggiori tempi restano a suo carico, né può chiedere maggiori compensi o danni per le varianti in corso d'opera atteso che, essendo egli tenuto a realizzare l'opera con ogni mezzo, si assume oltre che i rischi di impresa comuni ad ogni appaltatore anche i rischi dell'opera… essendo questo il significato da attribuire all'espressione obbligazione di risultato e l'amministrazione resta esente da risarcimento danni, tranne per fatti a lei imputabili».

Correttamente il Collegio ha ritenuto tuttavia che questi principi non hanno fondamento nella normativa generale di settore né peraltro sono contenuti – né potrebbero esserlo – nella regolazione contrattuale.

Per il Giudice Contabile «non si può ignorare che il C.G. assume un'obbligazione di risultato che gli impone di eseguire l'opera con ogni mezzo» ma «ciò non comporta la sottoposizione del C.G. ad alea assoluta», Invero il giusto equilibrio sinallagmatico al quale deve essere ricondotto l'accordo negoziale interessato da eventi che producano pregiudizi patrimoniali al contraente generale deve essere condotto alla luce dell'art. 176 del d.lgs. n. 163 del 2006 che definisce una distribuzione di responsabilità tra le parti contrattuali.

La Corte sembra convenire nel ritenere che la disciplina dello jus variandi venga a corrispondere «all'esigenza di un giusto bilanciamento degli interessi in gioco, che per un verso non dia adito a posizioni di privilegio del soggetto pubblico o, di contro, a comportamenti opportunistici della controparte privata» (A. MASSERA, Lo Stato che contratta e che si accorda, cit., 420).

Il lodo arbitrale Anas/Comeri

Il Collegio (Lodo del 28 ottobre 2013, Pres. Varrone) ha ritenuto che ogni evento che modifichi il sinallagma fra le parti (soggetto aggiudicatore e contraente generale) genera un'ipotesi di rivisitazione contrattuale che riconduca ad equitatem le controprestazioni, anche attraverso il riconoscimento di un risarcimento del danno.

Si legge nel lodo: «le circostanze: a) che l'obbligazione a carico del CG sia di risultato e non solo di mezzi; b) che il relativo contratto presupponga il possesso da parte del CG di una spiccata capacità organizzativa, tecnico-realizzativa e finanziaria; c) che il CG assuma su di sé il rischio di impresa proprio dell'appalto codicistico; d) che il CG sia obbligato ad eseguire (o far eseguire da terzi) “con qualsiasi mezzo” l'opera commessagli, sono tutte circostanze non idonee a far qualificare il rapporto negoziale che lega l'ente aggiudicatore al CG come “aleatorio” e a togliere rilievo, determinandone l'impossibilità di applicazione, al generale criterio di ripartizione dei rischi tra ente appaltante e appaltatore di lavori pubblici, con specifico riguardo a quelli che fuoriescano dalla normale alea negoziale propria del contratto di appalto».

Peraltro non appare compatibile con l'art. 41 della Costituzione una disciplina che accollasse ad una impresa privata rischi ingiustificati in quanto soggettivamente non imputabili.

In sostanza una poco equilibrata distribuzione delle conseguenze pregiudizievoli che possono aversi durante la esecuzione del contratto, rispetto al regolare andamento dei lavori, viene a risolversi in un aggravio di costi per il contraente generale, incompatibile non solo con la tutela costituzionale della libertà di iniziativa economica ma anche con lo statuto costituzionale dell'impresa che attribuisce un rilievo pubblico alla attività di produzione privata (sul punto V. OTTAVIANO, L'iniziativa privata fra intervento pubblico ed esigenze di produttività, cit., 47 ss.). In tal modo la funzione “produttiva” diventa rilevante per la collettività, contribuendo a perseguire le mete dello Stato democratico.

Autorevole Dottrina da tempo ha evidenziato che «ogni attività economica in quanto contribuisca all'aumento della produzione corrisponde alla utilità sociale» (op. cit., 51).

Appare di conseguenza costituzionalmente inconciliabile una normativa che facendo assumere alla impresa i rischi dell'opera la esporrebbero a crisi o, addirittura, ad insolvenza, anche quando lo squilibrio non dipenda da comportamenti imputabili al contraente generale.

Eventi questi che – come si sottolinea nel lodo – «oltre a tradursi in una perdita di ricchezza per il sistema Paese, in termini di know how e di presenza competitiva sul mercato globalizzato, producono, come e noto, devastanti conseguenze anche sul versante occupazionale».

Il contraente generale in base alla disciplina dettata dall'art. 176 del Codice è tenuto a predisporre un'organizzazione d'impresa in grado di far fronte non alle sole esigenze sopravvenute evidenziatesi nella realtà, ma anche a quelle successivamente evidenziate dall'amministrazione o da altri enti, ovvero derivanti dal rispetto della legislazione successivamente emanata. In questo consiste la sua obbligazione di risultato. Il che – occorre ripetere – non costituisce un rischio che assume il contraente generale, ma il contenuto di un obbligo che consegue alla sua capacità organizzativa, che si traduce in prestazioni che vanno remunerate.

Obbligazione di risultato, sopravvenienze ed equilibrio contrattuale

Nella prima parte del ‘900 il francese Demogue ha introdotto la distinzione tra obligation de moyen e obligation de résultat (Traité des obligations en général, V, Paris, 1928). In quest'ultima il debitore promette al creditore un certo risultato, mentre nella prima il debitore promette l'uso (diligente) dei mezzi. Per la giurisprudenza d'oltralpe pertanto il debitore nelle obbligazioni di mezzi può essere condannato solo per une faute personnelle che deve provare il creditore mentre nelle obbligazioni di risultato il debitore risponde per il fatto di non avere raggiunto il risultato salvo una cause étrangère. Questi principi li rinveniamo nell'ordinamento italiano a fondamento della distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato.

Si ritiene che quella dell'appaltatore sia «un'obbligazione di facere... tradizionalmente inquadrata tra le obbligazioni di risultato» (A. F. FONDRIESCHI, L'appalto d'opera, in I contratti per l'impresa, cit., 143).

Si aggiunge che il risultato si otterrebbe attraverso una “esecuzione prolungata” (D. RUBINO-G. IUDICA, Dell'appalto, in Dig. Civ., Agg., Torino, 2007, 198 ss), peculiarità questa che valorizza nella disciplina le esigenze di conservazione del rapporto contrattuale (A. F. FONDRIESCHI, L'appalto d'opera, cit., 144).

A tal proposito occorre richiamare l'art. 1372 c.c. da cui discendono due principi: la «durevolezza del vincolo contrattuale e della sua capacità di produzione degli effetti che ne conseguono per tutto il tempo stabilito nel relativo regolamento (il contratto ha forza di legge tra le parti)» e la «impossibilità della modificazione o della cessazione degli effetti previsti ad opera di una sola delle parti (non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge)» (A. MASSERA, Lo Stato che contratta e che si accorda, cit., 415).

Alla immutabilità del contenuto del contratto talvolta si deroga per una esigenza di conservazione del contratto e dell'equilibrio contrattuale, consentendo mediante le sopravvenienze «la gestione efficiente dei rischi connessi alla dinamica contrattuale» (op. cit., 414).

Pertanto in funzione di conservazione del contratto e di garanzia dell'equilibrio dei rapporti economici tra le parti va letta la disciplina delle sopravvenienze, prevista anche per il contraente generale e contenuta oggi nel comma 5 dell'art. 194 del d.lgs. n. 50 del 2016.

Nel vecchio codice la disciplina delle varianti era contenuta nell'art. 176, comma 5. Si è ritenuto che «la portata della norma non è perspicua. Sembra peraltro voler intendere che le varianti al progetto possono essere introdotte anche al di la dei limiti stabiliti dall'art. 132 e, quanto alla loro realizzazione, mediante negoziazione diretta con il contraente generale, in deroga a quanto previsto dagli artt. 56 e 57» (A. CIANFLONE-G. GIOVANNINI, L'appalto di opere pubbliche, cit., 1159 ss.). Il legislatore avrebbe pertanto “in prima battuta” perseguito una maggiore flessibilità ritenendo la disciplina ordinaria troppo rigida; e tuttavia, per evitare contrasti con l'ordinamento comunitario richiama espressamente quest'ultima disciplina (F. CINTIOLI, in Commentario al codice dei contratti pubblici, cit., 710).

L'art. 194 del nuovo codice espunge la “sorpresa geologica” lasciando invariato il contenuto della disciplina compresa la previsione della impossibilità in tali casi di rifiutarsi di adempiere, da parte del contraente generale, che trova conferma sulla base di quanto previsto nella successiva lettera b) del comma 5 dell'art. 194, per cui solo il soggetto aggiudicatore può rifiutarsi di apportare le variazioni richieste dal contrante generale, se esse determinano «un peggioramento della funzionalità, durabilità, manutenibilità e sicurezza delle opere, ovvero comportino maggiore spesa a carico del soggetto aggiudicatore o ritardo del termine di ultimazione».

Come è stato evidenziato nel Lodo Comeri «la medesima eccezione non può essere opposta dal contraente generale, in quanto il diritto potestativo di modificare il contenuto del contratto e, di conseguenza, di incidere nella sfera giuridica della controparte, ampliando o modificando la portata delle prestazioni da questa dovute, è riconosciuto al solo soggetto aggiudicatore, il quale ha diritto di pretendere nuove e diverse prestazioni rispetto a quelle concordate al momento della conclusione del contratto, con l‘unica conseguenza che resta a suo carico, come espressamente prevede la citata disposizione, il conseguente obbligo di sopportare le ricadute in termini economici di tali scelte, allorché esse comportino maggiore spesa e/o il prolungamento del termine di ultimazione».

Come si è più volte detto la disciplina del contraente generale è mossa dalla esigenza di affidare ad un unico soggetto la “responsabilità” di realizzare l'intera opera, evitando quella frammentazione del lavoro in “lotti”, che accresce il rischio della “incompiuta” (si pensi all'ipotesi di realizzazione di una infrastruttura stradale o autostradale ed alle conseguenze sulla intera opera delle vicende soggettive – es. fallimento – dell'aggiudicatario di un lotto). Soggetto – il contraente generale – che si vincola al risultato, cioè a realizzare l'opera a prescindere dalle sopravvenienze della fase esecutiva. E ciò lo può fare per la sua elevata capacità tecnica, organizzativa e finanziaria.

Il risultato rappresenterebbe così il punto di incontro di due soggetti, l'aggiudicatore e l'appaltatore: per il primo rappresenta una attività doverosa (funzione) per il secondo il contenuto di una obbligazione (civilistica) (d'altra parte la riconduzione della attività ad un risultato è precipua della disciplina degli appalti pubblici tanto che l'art. 3, comma 1, lett. pp), del d.lgs. n. 150 del 2016 definisce "opera", il risultato di un insieme di lavori, che di per sé esplichi una funzione economica o tecnica).

La disciplina del contraente generale non sovrappone tuttavia i due profili.

Il contraente generale assumendo l'obbligo del risultato deve farsi carico delle “sopravvenienze”, resesi evidenti successivamente alla conclusione del contratto o resesi necessarie a seguito dell‘emanazione di nuove prescrizioni legislative ovvero dipendenti da cause di forza maggiore (o – ratione temporois – da sorpresa geologica).

E tuttavia nessuna norma esclude la remunerazione della ulteriore attività del contraente generale, anzi la tutela dell'equilibrio contrattuale costituisce una garanzia di effettività del risultato e realizza quella che è stata definita “giustizia contrattuale” (M. LIBERTINI, Autonomia individuale e autonomie d'impresa, cit. 64) in una rapporto alterato dalle sopravvenienze.

In sostanza l‘obbligazione di risultato assunta dal contraente generale lo priva del diritto di chiedere la risoluzione del contratto, dal momento che è tenuto con ogni mezzo alla realizzazione dell‘opera, facendo tuttavia nascere il diritto al riequilibrio patrimoniale delle prestazioni.

Ogni diversa interpretazione non è conciliabile con la Costituzione. Il rischio che si vorrebbe fare assumere al contraente generale e che potrebbe determinare una gestione antieconomica, rappresenta una vera è propria compressione dell'iniziativa economica, per nulla giustificata da finalità sociali (Vedi Corte Cost. 23 giugno 2010, n. 270; 9 aprile 2013, n. 85. Sul punto vedi A. MALTONI, Nuove forme di intervento pubblico nella gestione di imprese private: presupposti e limiti, in Diritto proc. amm., 2015, 1084 ss., 1089 ss., 1116 ss.).

Già Vittorio Ottaviano ammoniva che le limitazioni alla libertà privata non possono costringere taluno ad intraprendere una certa attività ovvero a continuare a svolgerla ove non intenda farlo. Nè possono imporsi vincoli che ne rendono antieconomico l'esercizio: «né la disciplina dello svolgimento della iniziativa economica può importare l'imposizione di vincoli tali che ne rendono antieconomico l'esercizio, giacché in tal caso, invece di regolarla, la si opprimerebbe, essendo connaturato all'attività economica che chi la compie possa ricavarne un utile» (V. OTTAVIANO, La regolazione del mercato, cit., 70 ss. e richiama la decisione della IV Sezione del Consiglio di Sato sulla illegittima determinazione di un prezzo che non copra i costi, Cons. Stato, 17 ottobre 1975, n. 645, in Foro amm., 1975, I, 2; c. 1343).

Guida all'approfondimento

R. DAMONTE-D. GALLI, Il general contractor, Milano, 2005.

V. FARINA, L'affidamento a contraente generale, Napoli, 2007.

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F. CINTIOLI, in G.F. FERRARI-G. MORBIDELLI (a cura di), Commentario al codice dei contratti pubblici, Milano, 2013.

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V. OTTAVIANO, L'iniziativa privata fra intervento pubblico ed esigenze di produttività, in Scritti giuridici, II, Milano, 1992.

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