Sindacato sugli elementi indiziari dell'informazione antimafia interdittiva

Francesco Pignatiello
11 Luglio 2016

Per l'emanazione della interdittiva non occorre l'accertamento di elementi di colpevolezza o di responsabilità nei confronti dei soggetti a cui è rivolta, trattandosi di una misura di tutela avanzata a presidio dell'ordine pubblico, che può basarsi su circostanze aventi valore di elemento indiziario e sintomatico, in base alle quali risulti non illogico ed attendibile l'apprezzamento della sussistenza del pericolo di condizionamento dell'impresa. Il giudice amministrativo, pertanto, per valutarne la legittimità, non può utilizzare i principi e i criteri propri dell'accertamento del giudice penale, atteso che il contesto in cui si pone la valutazione di quest'ultimo non è equiparabile rispetto a quello dell'esercizio dei poteri di contrasto dell'infiltrazione mafiosa attribuiti al Prefetto.

Il Consiglio di Stato, in riforma della sentenza di primo grado, ha ritenuto errato il giudizio di illegittimità di un'informazione antimafia interdittiva basato su criteri ermeneutici e insegnamenti giurisprudenziali propri della dottrina e della giurisprudenza penalistica (il Giudice di primo grado, infatti, aveva fondato le proprie considerazioni su principi affermati dalla Cassazione penale in ordine alle condotte punibili in sede penale, ed in particolare alla necessità del riscontro di un contributo causale alla conservazione o al rafforzamento dell'organizzazione mafiosa), affermando che il contesto nell'ambito del quale si pone la valutazione del giudice penale è del tutto diverso e non equiparabile rispetto a quello dell'esercizio dei poteri di contrasto dell'infiltrazione mafiosa, di cui è titolare il Prefetto, rilevando che «per l'emanazione della interdittiva non occorre l'accertamento di elementi di colpevolezza o di responsabilità nei confronti dei soggetti a cui è rivolta, trattandosi di una misura di tutela avanzata a presidio dell'ordine pubblico, che ben può basarsi su circostanze esclusivamente rilevanti sul piano oggettivo, aventi valore di elemento indiziario e sintomatico, in base alle quali risulti non illogico ed attendibile l'apprezzamento della sussistenza del pericolo di condizionamento dell'impresa derivante dalla infiltrazione mafiosa».

La sentenza afferma, inoltre, che gli elementi indiziari non devono essere considerati separatamente, bensì attraverso una valutazione complessiva che valorizzi i collegamenti tra gli stessi, anche sulla base di deduzioni logiche basate sul principio del «più probabile che non», alla luce di una regola di giudizio che ben può essere integrata da dati di comune esperienza.

Partendo da tali premesse, il Consiglio di Stato ha attribuito rilevanza agli elementi evidenziati nell'interdittiva, intravedendovi un «univoco significato indiziario e sintomatico». In particolare, inter alia, la sentenza ha affermato che è irrilevante la mancanza del rapporto di affiliazione con le associazioni malavitose, così come di un accertamento di concreti elementi di collusione e di cointeressenza con la malavita, posto che ai fini dell'interdittiva è sufficiente l'accertamento di relazioni di varia natura con la criminalità, anche risalenti nel tempo, che abbiano valore sintomatico ed indiziario, ravvisabili in frequentazioni sistematiche, non casuali od occasionali, con persone pregiudicate. Parimenti, non valgono a escludere la continuità dei collegamenti economici il trasferimento delle attività economiche dal territorio di riferimento.

Al riguardo, il Supremo Consesso rileva che, laddove la contiguità emerga da elementi risalenti nel tempo, per togliere ad essi significato occorre che venga dimostrata, o possa essere ipotizzata, una discontinuità nei comportamenti e nelle attività economiche, circostanza che non è stata dimostrata nel caso di specie e che, anzi, risulterebbe smentita dall'assunzione quali dipendenti di soggetti nei cui confronti sussistevano elementi significativi.

La sentenza si segnala, inoltre, per aver chiarito che le misure previste dall'art. 32, comma 10, d.l. n. 90 del 2014 (ordine di rinnovazione degli organi sociali mediante sostituzione del soggetto coinvolto e straordinaria e temporanea gestione dell'impresa limitatamente alla completa esecuzione del contratto), di cui la società destinataria dell'informaiva ha lamentato la non applicazione, non costituiscono misure alternative all'interdittiva. Il Prefetto, infatti, anche nei casi in cui sia stata emessa un'informativa, in presenza di determinati ulteriori presupposti, può adottare le citate misure di propria iniziativa all'esito di una valutazione dal carattere ampiamente discrezionale. Nella specie, il Consiglio di Stato ha ritenuto legittima la scelta prefettizia di non disporre la straordinaria e temporanea gestione dell'appalto, basata sulle risultanze rappresentate dalla stazione appaltante in merito al notevole scarto esistente tra lo stato di avanzamento dei lavori previsto dal contratto e quello realizzato, che incide negativamente sulla possibilità di completare proficuamente l'esecuzione del contratto entro i termini previsti. Infatti, al fine di evitare la soluzione di continuità nell'esecuzione dell'impresa appaltatrice, conseguente all'interdittiva che l'ha colpita, non è sufficiente un giudizio di semplice possibilità di completare o proseguire il contratto, ma è necessario un giudizio di “urgente necessità”, legato ai vantaggi derivanti dal mantenere in cantiere l'impresa appaltatrice, rispetto alla ipotesi di far subentrare una diversa impresa, alla luce dei prevedibili effetti delle soluzioni alternative sugli interessi pubblici indicati dalla normativa in questione.

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