La CGUE si pronuncia sull’impugnabilità della "decisione di ammissione” contrastante con il diritto euro-unitario

12 Aprile 2017

La Corte di Giustizia UE ha affermato che gli art. 1, par. 1, e 2, par. 1, lett. a) e b), dir. 89/665/CEE, come modificata dalla dir. 2007/66/CE, devono essere interpretati nel senso «in una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, ostano a una normativa nazionale in forza della quale la decisione di ammettere un offerente alla procedura di aggiudicazione, decisione che si asserisce violi il diritto dell'Unione in materia di appalti pubblici o la normativa nazionale che lo traspone, non figura tra gli atti preparatori che possono essere oggetto di un ricorso giurisdizionale autonomo». La Corte ha altresì precisato che i suddetti articoli hanno “effetto diretto” negli ordinamenti degli Stati membri.

Nel 2011, la “Marina del Mediterráneo SL” e altri presentavano un ricorso amministrativo avverso la decisione della commissione aggiudicatrice di ammettere alla gara un RTI (unico altro partecipante alla procedura) di cui era componente anche una P.A. (Comune di Marbella). La ricorrente censurava l'ammissione alla gara in quanto il diritto euro-unitario non consentirebbe, pena l'alterazione del confronto concorrenziale, la partecipazione alla gara di una P.A. Il 3 maggio 2011 l'organo amministrativo adito respingeva il predetto ricorso richiamando i precedenti giurisprudenziali in cui la Corte UE (“CoNISMa”, in C‑305/08) ha riconosciuto la qualità di operatore economico anche agli enti e alle amministrazioni pubbliche (sul punto cfr. la casistica della Bussola “operatore economico”).

L'appalto veniva così aggiudicato (6 giugno 2011) a favore del predetto RTI e anche l'aggiudicazione veniva “vanamente” impugnata dalla ricorrente con un nuovo ricorso respinto dallo stesso organo amministrativo (11 luglio 2011).

Nelle more di quest'ultima decisione (5 luglio 2011), i ricorrenti contestavano la prima decisione dell'organo amministrativo di ricorso (risalente al 3 maggio 2011), presentando un ricorso amministrativo presso il Tribunal Superior de Justicia de Andalucía (Corte superiore di giustizia dell'Andalusia, Spagna) reiterando la richiesta di annullamento della predetta ammissione e chiedendo il “conseguente annullamento” dell'aggiudicazione dell'appalto al RTI.

Il 19 febbraio 2015 la Corte rappresentava alle parti l'irricevibilità del ricorso proposto, in quanto, ai sensi della normativa nazionale, la decisione di una Commissione aggiudicatrice di non escludere un offerente, ammettendo la sua offerta e autorizzandolo a partecipare alla procedura di aggiudicazione non costituisce un atto decisorio impugnabile con ricorso. La suddetta normativa tuttavia – evidenziava la Corte spagnola – non impedisce alla persona interessata di denunciare le eventuali irregolarità a posteriori, impugnando l'aggiudicazione dell'appalto. I giudici sottoponevano alla CGUE la questione della compatibilità della predetta normativa nazionale, nella parte in cui non consente l'immediata contestazione dell'ammissione alla gara, con il diritto UE.

Con la prima questione pregiudiziale la Corte spagnola chiedeva se gli art. 1, par. 1, e 2, par. 1, lett. a) e b), della dir. 89/665/CE, come modificata dalla dir. 2007/66/CE, debbano essere interpretati nel senso che «ostano a una normativa nazionale in forza della quale la decisione di ammettere un offerente alla procedura di aggiudicazione, decisione che si asserisce violi il diritto dell'Unione in materia di appalti pubblici o la normativa nazionale che lo traspone, non figura tra gli atti preparatori di un'autorità aggiudicatrice che possono essere oggetto di un ricorso giurisdizionale autonomo».

Dopo le interessanti conclusioni dell'Avvocato generale Bobek presentate l'8 settembre 2016 (su cui cfr. la stringa su Casi e Sentenze), lo scorso 5 aprile la CGUE ha depositato la sua decisione.

La Corte precisa anzitutto che “qualsiasi decisione” di un'amministrazione aggiudicatrice che ricada sotto le norme di diritto dell'Unione in materia di appalti pubblici e sia idonea a violarle, è assoggettata al controllo giurisdizionale previsto dall'art. 2, par. 1, lett. a) e b), della medesima direttiva.

Viene infatti evidenziato che la direttiva ricorsi accoglie un'accezione “estesa” di “decisione di un'autorità aggiudicatrice”, senzaalcuna distinzione sul contenuto o sul momento della sua adozione, né stabilendo alcuna restrizione per quanto riguarda la natura e il contenuto della stessa decisione. Inoltre, sottolinea la Corte - un'interpretazione restrittiva di tale nozione sarebbe incompatibilecon il richiamato art. 2, par. 1, lett. a), laddove «impone agli Stati membri di prevedere procedimenti d'urgenza in relazione a qualsiasi decisione adottata dalle autorità aggiudicatrici».

La Corte dopo aver escluso l'incompatibilità delle suddette argomentazioni con la giurisprudenza “Stadt Halle e RPL Lochau” (C26/03),precisa che la particolare “decisione” di “ammettere un offerente a una procedura di aggiudicazione” deve poter essere oggetto di un ricorso autonomo rispetto all'impugnazione dell'aggiudicazione: sebbene la direttiva non abbia “formalmente” previsto il momento a partire dal quale è garantita la possibilità di proporre un ricorso ciò tuttavia «non autorizza gli Stati membri a subordinare l'esercizio del diritto di ricorso al fatto che la procedura di appalto pubblico di cui trattasi abbia formalmente raggiunto una fase determinata». In assenza di indicazioni da parte del diritto UE, la Corte evidenzia che spetta al diritto nazionale disciplinare le modalità del procedimento giurisdizionale inteso a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell'Unione fermo restando il rispetto dei principi di equivalenza, di effettività e senza mettere in pericolo l'effetto utile della direttiva n. 89/665/CE.

Con la seconda questione pregiudiziale, la Corte spagnola chiedeva inoltre se gli artt. 1, par. 1, e 2, par. 1, lett. a) e b), della direttiva 89/665/CE hanno “effetto diretto” negli ordinamenti degli Stati membri. A tal proposito la Corte afferma che le suddette disposizioni sono incondizionate e sufficientemente precise per fondare un diritto, a favore di un singolo, da “eventualmente far valere nei confronti di un'amministrazione aggiudicatrice” (richiamando sul punto quanto evidenziato dall'Avvocato generale al par. 70 delle conclusioni).

In risposta alle questioni pregiudiziali, la Corte ha quindi stabilito che:

1) L'articolo 1, paragrafo 1, e l'articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e b), della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2007, devono essere interpretati nel senso che, in una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, ostano a una normativa nazionale in forza della quale la decisione di ammettere un offerente alla procedura di aggiudicazione, decisione che si asserisce violi il diritto dell'Unione in materia di appalti pubblici o la normativa nazionale che lo traspone, non figura tra gli atti preparatori di un'autorità aggiudicatrice che possono essere oggetto di un ricorso giurisdizionale autonomo.

2) L'articolo 1, paragrafo 1, e l'articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e b), della direttiva 89/665, come modificata dalla direttiva 2007/66, hanno effetto diretto.

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