Profili oggettivi e soggettivi della giurisdizione amministrativa

Fabio Francario
13 Maggio 2016

Il rito appalti offre notevoli spunti che valorizzano il carattere oggettivo della giurisdizione amministrativa. Diversi poteri sono infatti riconosciuti al giudice amministrativo che consentono di pronunciare a prescindere da una domanda di parte e dall'esigenza di tutelare in concreto l'interesse del ricorrente. Il tema viene dibattuto nell'ambito della più generale problematica della consistenza di profili di diritto soggettivo e oggettivo nella giurisdizione amministrativa nel convegno che si tiene a Pontignano il 13 e 14 maggio nel ricordo di Leopoldo Mazzarolli.
Abstract

Il rito appalti offre notevoli spunti che valorizzano il carattere oggettivo della giurisdizione amministrativa. Diversi poteri sono infatti riconosciuti al giudice amministrativo che consentono di pronunciare a prescindere da una domanda di parte e dall'esigenza di tutelare in concreto l'interesse del ricorrente. Il tema viene dibattuto nell'ambito della più generale problematica della consistenza di profili di diritto soggettivo e oggettivo nella giurisdizione amministrativa nel convegno che si tiene a Pontignano il 13 e 14 maggio nel ricordo di Leopoldo Mazzarolli.

Introduzione al convegno dedicato a Leopoldo Mazzaroli

Leopoldo Mazzarolli si definiva “abituale frequentatore” delle giornate di studio sulla giustizia amministrativa che per oltre un decennio abbiamo organizzato a Siena e che oggi riprendiamo proprio nel ricordo della sua persona e del suo insegnamento.

A Leopoldo piacevano molto i nostri convegni senesi; li apprezzava molto.

«Non solo perché» – sono le sue parole – «è ovvio che a volentieri si venga a Siena, ma anche per il loro contenuto». Presiedendo il convegno del 2009, dedicato al tema “La tutela giurisdizionale nei confronti del potere amministrativo e le “ragioni” dell'interesse pubblico”, nel ricordare che le giornate di studio erano dedicate ad Eugenio Cannada Bartoli, tenne a sottolineare il legame che lui avvertiva tra le nostre giornate di studio e la figura di Eugenio Cannada Bartoli :“Cannada Bartoli era un vero giurista e questi convegni sono veri convegni giuridici, che si incentrano su argomenti giuridici, trattati da giuristi con metodo giuridico”. Quale fosse, al di là dell'ovvio, il significato dell'accostamento dell'idea della persona a quella delle Giornate lo chiariva lui stesso nei seguenti termini: lo studio e lo studioso sono severi, rigorosi, se severo, rigoroso è il metodo; e ciò avviene quando “lo studio si affida alla logica senza forzatura per adattare le categorie alle sue idee, alle sue proprie opinioni”. Leopoldo apprezzava molto il taglio sempre istituzionale dato allo studio e alla trattazione dei temi, tant'è che afferma anche, compiaciuto, che in un decennio le Giornate senesi avevano rivisitato tutte le parti istituzionali di un ipotetico manuale di giustizia amministrativa

Aver delineato in questo modo la caratteristica delle giornate senesi è cosa che mi inorgoglisce, e posso dirlo senza autocompiacimento perché è evidente che il giudizio di Leopoldo non è riferito alla mia persona ma a quanti hanno studiato e sono intervenuti in tutti i precedenti convegni, e che in gran parte sono presenti anche oggi.

Questo il legame di Leopoldo con le Giornate Senesi sulla giustizia amministrativa.

Vorrei però ricordare Leopoldo anche per altre cose da lui dette in quella occasione, nella quale singolarmente il tema del convegno invitava, come quello di oggi, a studiare il punto di equilibrio tra ragioni dell'interesse pubblico e dell'interesse del privato nell'ambito del processo amministrativo.

In quell'occasione Leopoldo difese la figura dell'interesse legittimo e con essa ruolo e funzione del giudice amministrativo. Con felice sintesi osservò che “l'interesse legittimo emerge come figura a sé, proprio là dove non vi può essere un diritto cioè dove sussista ed operi un potere pubblico”; e che “se si finisce con il configurare la tutela dell'interesse legittimo al pari di quella del diritto soggettivo” si dovrebbe arrivare “coerentemente a sostenere l'unificazione della tutela giurisdizionale”; giungendo a concludere che “se si vuole salvare al giurisdizione amministrativa bisogna individuare un terreno che renda ragione del suo salvataggio”.

Veniamo con ciò al tema del convegno: qual è dunque il terreno sul quale il G.A. gioca la propria partita. E' un terreno delimitato per un lato dal potere amministrativo, per l'altro dall'interesse del privato. Ma in questo terreno, il G.A. è il giudice del potere (della funzione amministrativa) o il giudice dell'interesse del privato? Serve a garantire il corretto esercizio della funzione amministrativa o serve a tutelare la realizzazione d'interessi privati? La sua statuizione (e prima ancora la cognizione) può travalicare le domande di parte e giudicare “oggettivamente” sulla legittimità dell'assetto del rapporto dato dal provvedimento amministrativo impugnato?

È un tema classico della giustizia amministrativa, che non scopriamo certamente noi oggi.

Dire che l'interesse legittimo sia un interesse occasionalmente protetto significa nulla più registrare un dato di fatto, e cioè che l'interesse del privato è protetto se ed in quanto vi sia illegittimità dell'azione amministrativa. Se illegittimità non c'è, non c'è lesione, ma mero sacrificio dell'interesse privato a fronte del corretto esercizio del potere.

Scopo del processo amministrativo è quello di raggiungere e custodire il punto di equilibrio tra i due interessi, pubblico e privato, tra potere pubblico e libertà dell'individuo. E' un equilibrio sensibile ai corsi e ricorsi storici, esposto alla perenne tentazione che, in nome della garanzia dell'efficacia dell'azione amministrativa, il G.A. venga compresso, limitato (se non addirittura) soppresso, in quanto le sue decisioni spesso ritardano se non proprio vanificano la realizzazione delle decisioni amministrative. E più il livello di civiltà giuridica di un Ordinamento si abbassa, meno vale osservare, per contro, che, se si vanificano, si tratta di decisioni sbagliate, che è meglio non prendere.

La dottrina e la giurisprudenza amministrativa che hanno a cuore i valori della giustizia amministrativa devono confrontarsi e incontrarsi su questo tema.

La coesistenza di caratteri oggettivi e soggettivi nella disciplina generale del processo amministrativo

Rispetto al 2009, anno del già ricordato convegno presieduto da Mazzarolli, due nuovi elementi innovano lo scenario tradizionale, e su di essi si concentrerà l'attenzione dei relatori e degli interventi. Il codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104 del 2010) e il nuovo codice appalti (d.lgs. n. 50 del 2016). Per completezza, ad essi va poi aggiunto anche l'insieme di quelle norme che dal 2010 in poi hanno espressamente attribuito ad Autorità pubbliche (amministrazioni cd indipendenti o garanti, ma non solo) la legittimazione a ricorrere avverso provvedimenti di altre amministrazioni, imponendo una nuova riflessione sulla figura della legittimazione e quindi degli interessi protetti.

Nel 2010 entra in vigore il codice del processo amministrativo (d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104).

Il codice sembra spostare decisamente il confine verso l'esigenza di tutela dell'interesse privato e volere con ciò segnare un abbandono definitivo della ricostruzione in termini oggettivi della tutela erogata dal G.A. Per tutelare l'interesse del privato, il G.A. viene dunque armato tanto quanto lo è il G.O. Entrambi ormai hanno gli stessi poteri. Lo scenario codificato è in effetti profondamente diverso da quello tradizionale: vede il G.A. erogare in via generale non più soltanto una tutela costitutiva di annullamento e sentenze di condanna o di accertamento in via soltanto eccezionale; ma riconosce al G.A. la possibilità di pronunciare in via ordinaria tanto sentenze costitutive di annullamento, quanto di condanna (al pagamento di somme di danaro, al risarcimento del danno o addirittura al rilascio del provvedimento amministrativo richiesto o che comunque accertino anche il faciendum).

Ma il problema teorico può dirsi tutt'altro che risolto. Il codice continua infatti a offrire (nuovi) spunti decisamente orientati nel senso di rimarcare il carattere oggettivo della giurisdizione amministrativa. Esemplare è il caso della possibilità riconosciuta all'Adunanza Plenaria di “enunciare il principio di diritto nell'interesse della legge anche quando dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile ovvero l‘estinzione del giudizio” (art 99 5° c), e quindi a prescindere dall'esigenza di tutela di un interesse di parte (rel. Angiuli).

Soprattutto, va sottolineato che il codice, pur armando il giudice amministrativo nell'intento di modellare il giudizio sulla pretesa sostanziale della parte, ha dimenticato di armonizzare queste nuove “armi” con il risultato finale del processo: la cosa giudicata. Si disciplinano i poteri del giudice dell'ottemperanza, ma non il giudicato in quanto tale. La giurisprudenza è fermamente orientata nel ritenere che sotto questo profilo nulla in realtà sia cambiato. Si può ricordare per tutte la pronuncia Ad. Plen. n. 2 del 15 gennaio 2013 nella quale viene fatto il punto sulla “attuale configurazione del giudizio di ottemperanza quale esso risulta non solo dalle acquisizioni giurisprudenziali ma anche e soprattutto alla luce del codice del processo amministrativo” : “È ben consapevole l'adunanza delle tesi da tempo avanzate che, facendo leva sul principio di effettività della giustizia amministrativa, prospettano la necessità di pervenire all'affermazione del divieto di ogni riedizione del potere a seguito di un giudicato sfavorevole, ma non ritiene di poter aderire a tale indirizzo che appare contrastante con la salvezza della sfera di autonomia e di responsabilità dell'amministrazione e non imposto dalle pur rilevanti pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo”. In poche parole, il giudicato rimane pur sempre limitato al dedotto e non copre il deducibile (rel. Cacciavillani).

La problematica risulta dunque tutt'altro che sopita a seguito dell'entrata in vigore del codice, nonostante lo sforzo e (forse) le intenzioni del legislatore.

La coesistenza di caratteri oggettivi e soggettivi nel rito appalti

Ancor più attuali sono gli spunti problematici offerti dal nuovo codice degli appalti.

Mai come in questa materia le norme offrono spunti per sottolineare caratteri oggettivi della giurisdizione amministrativa, spunti che sul piano sistematico non vanno sottovalutati o, sbrigativamente liquidati, limitandosi ad eccepire che si tratta di disposizioni proprie di un rito speciale e che quindi non possono assumere valenza di principio generale.

Al contrario, se solo si considera che queste disposizioni “speciali” vengono introdotte sulla spinta dei principi eurounitari (direttiva cd “ricorsi” 2007/66) in ragione dell'esigenza di assicurare il rispetto dei principi del giusto processo e dell'effettività della tutela giurisdizionale, si deve convenire che la specialità è solo apparente e che le garanzie tipiche del rito appalti fanno di esso piuttosto un modello tendenziale di riferimento al quale tutti gli altri riti, a cominciare dal rito “ordinario”, dovrebbero conformarsi. Esprime cioè ormai la regola generale, e non l'eccezione.

E non alludo al profilo quantitativo, alla mole di contenzioso trattato con tale rito, ma proprio, alla rilevanza di un tale modello nel sistema della giustizia amministrativa se ed in quanto è e rimane un modello che garantisce decisione in tempi brevi ed effettività della tutela, in attuazione delle norme e dei principi eurounitari sul giusto processo e sull'effettività della tutela. Il che apre un problema enorme sotto un altro profilo, sul quale tornerò in chiusura.

Per stare agli spunti offerti dal codice, appare esemplare la vicenda del ricorso incidentale, sulla quale è tornata recentemente la Corte giust. UE (Grande Sezione 5 4 2016 n 689).

Altra vicenda indicativa di caratteristiche oggettive della giurisdizione amministrativa è quella connessa al potere riconosciuto al giudice amministrativo di dichiarare d'ufficio la inefficacia del contratto o di disporre le sanzioni alternative, anche a prescindere dalla domanda di parte e valutata la convenienza per l'interesse pubblico (art 122 e 123 del codice del 2006).

A questi temi ormai classici del contenzioso in materia di appalti, si possono aggiungere quelli non ancora esplorati relativi al potere di limitare d'ufficio la causa petendi in applicazione della norma sul dovere di sinteticità degli atti processuali (l'eccezione del superamento dei limiti quantitativi è rilevabile solo d'ufficio e non può essere fatta valere dalla parte; cfr: art. 40, comma 1, d.l. 90 del 2014, con in l.n. 114 del 2014); o alla necessità di considerare nella decisione cautelare “le esigenze imperative connesse ad un interesse generale all'esecuzione del contratto” (attuale comma 8, comma 3 dell'art 120 c.p.a.) (rel. Severini); o ancora alla disposizione che impone praticamente di impugnare immediatamente e sotto pena di decadenza gli atti di ammissione alla gara degli altri concorrenti in assenza di un concreto e attuale interesse della parte (attuale comma 2-bis dell'art 120 c.p.a., introdotto dall'art 204, comma 1, nuovo codice appalti).

Se ed in che misura questi due nuovi codici (c.p.a. e codice appalti 2016) e la normazione successiva al 2010 abbiano innovato alla problematica tradizionale, sul piano generale, sarà illustrato da Guido Greco e Vincenzo Cerulli Irelli, ai quali sono particolarmente grato per la disponibilità data a tornare a studiare temi sui quali i loro contributi dottrinali, sull'oggetto del processo e sulla legittimazione, rappresentano dei classici in materia.

Il rito appalti: modello o eccezione?

Non casualmente il convegno si chiuderà domani con una tavola rotonda alla quale non casualmente partecipano Alberto Romano, Fabio Merusi, Franco Scoca e Alessandro Pajno (Villata si scusa per non potere essere presente), destinata a riflettere sul fatto se con l'evoluzione subita dal processo amministrativo abbia ancora senso parlare oggi dell'eccesso di potere come un vizio della funzione amministrativa.

Se il giudizio amministrativo può accertare oggi la fondatezza della pretesa e se il giudizio amministrativo risulta oggi avere gli strumenti per assicurare al ricorrente il bene della vita cui aspira, ha ancora un senso conservare questa figura d'invalidità tipica della funzione amministrativa?

Il mio personale auspicio è che questa figura esca rivitalizzata dal dibattito come distintiva e caratterizzante il processo amministrativo, perché è quella che consente al giudice amministrativo di operare “là dove non vi può essere un diritto cioè dove sussista e operi un potere pubblico”, nel convincimento profondo che la missione del giudice amministrativo sia quella di assicurare la giustizia nell'amministrazione. Si tratta di un valore sul quale si misura il livello di civiltà giuridica dell'ordinamento, e che l'immediato futuro ci prospetta sarà messo a dura prova da interventi riformatori il cui malcelato se non proprio dichiarato intento è stato quello di ridurre quanto più possibile se non proprio azzerare la tutela di un tale valore da parte del giudice amministrativo in nome dell'esigenza di recuperare l'efficienza dell'azione amministrativa.

E qui vengo al nodo problematico cui ho accennato prima a proposito del nuovo codice appalti.

Fino ad ora il rito appalti si è posto come un modello da seguire in termini di ragionevole durata del processo e di effettività della tutela, ma il nuovo codice appalti è un crogiolo di norme che sotto questo profilo sono all'evidenza in contrasto con i principi costituzionali ed eurounitari sulla tutela giurisdizionale, come ha efficacemente sintetizzato Maria Alessandra Sandulli nell'articolo che abbiamo messo a disposizione in cartellina (unitamente al citato intervento di Leopoldo Mazzarolli al Convegno del 2009 ed al saggio di Filippo Patroni Griffi che, esentato dalla relazione, ha voluto comunque testimoniare la sua partecipazione all'iniziativa).

Nell'immediato futuro dovremo tutti confrontarci con un quadro normativo che tende a limitare quanto più possibile l'intervento del giudice amministrativo sull'azione amministrativa, in contrasto con fondamentali principi, costituzionali ed eurounitari.

Ed è importate che, per non disperdere il patrimonio culturale e giuridico che ha portato alla formazione ed ha accompagnato la crescita del nostro sistema di giustizia amministrativa, gli studiosi accademici e la magistratura amministrativa che più hanno a cuore le sorti della giustizia amministrativa si confrontino seriamente, e non in maniera autoreferenziale, per preservare la razionalità e l'efficacia del nostro sistema di giustizia amministrativa.

Oggi come oggi è necessario difendere il “terreno” proprio della giustizia amministrativa, con i suoi istituti, i suoi principi, i suoi valori; e ciò può essere fatto, per riprendere le parole di Leopoldo Mazzarolli, solo se i temi e le questioni vengono affrontate con rigore e con metodo.

È con questo spirito che intendiamo riprendere e continuare la tradizione delle giornate senesi di studio sulla giustizia amministrativa.

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