Clausole ecologiche e limiti nell'indicazione dei requisiti di capacità tecnica e professionale

Tommaso Rossi
13 Luglio 2017

Il possesso della certificazione di qualità UNI EN ISO 14067 rileva unicamente ai fini della validazione dei dati sul carbon footprint di prodotto (CFP) o impronta ambientale di prodotto, ma non fornisce elementi quantitativi sul livello del dato in questione. Tale certificazione è estranea alle specifiche tecniche (collegate ad un livello minimo della prestazione ambientale richiesta) indicate al punto 1 dell'allegato XIII del Codice dei Contratti pubblici che, ai sensi dell'art. 68 comma 1 dello stesso, sono inserite nei documenti di gara e definiscono le caratteristiche previste per lavori, servizi o forniture. Tale indicazione generale quale requisito di partecipazione, senza che ad essa si accompagni quella di un “valore soglia” dell'impronta climatica richiesta, eccede l'oggetto dell'appalto e determina unicamente una irragionevole limitazione della concorrenza.

Il caso in esame prende avvio dall'impugnativa, da parte di un'azienda intenzionata a partecipare, della gara mediante procedura aperta per la fornitura di veicoli per la raccolta domiciliare dei rifiuti in noleggio a lungo termine.

La gara indicava quale criterio di ammissibilità, indice della capacità tecnica, il possesso della certificazione di qualità secondo le norme UNI EN ISO 14067, lo standard che individua con chiarezza la c.d. “impronta di carbonio” (CFB: Carbon footprint product), cioè la quantità di emissioni di gas-serra generate durante il ciclo di vita di un prodotto/servizio.

Come è noto, i criteri ecologici possono possono essere inseriti nei documenti di gara d'appalto sotto vari profili: l'oggetto dell'appalto, i criteri di selezione dei candidati (art. 83 d.lgs. n. 50 del 2016) e i criteri di aggiudicazione dell'appalto (art. 95 d.lgs. n. 50 del 2016).

Ciò è il frutto di una legislazione nazionale in materia di “appalti verdi” (Green Public Procurement) che, recependo progressivamente le Direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE (che per la prima volta riconobbero la possibilità per gli enti aggiudicatori di valutare fattori non economici – tra cui quelli volti alla tutela dell'ambiente – ai fini della scelta del contraente), vede il suo punto di approdo nella legge 28 dicembre 2015 n. 221 (“Collegato ambientale 2015”), la cui disciplina è oggi confluita nel vigente Codice dei contratti pubblici.

Dalla normativa nazionale e comunitaria vigente si trae che “criteri ecologici” possono essere inseriti come elementi da valutare nell'offerta economicamente più vantaggiosa, solo laddove siano collegati con l'oggetto dell'appalto, non conferiscano all'amministrazione aggiudicatrice una indiscriminata libertà di scelta, siano espressamente indicati nel capitolato o nel bando di gara e rispettino tutti i princìpi fondamentali del diritto comunitario, in primis quello di non discriminazione.

La sentenza in commento, che accoglie il ricorso, rileva che il richiesto possesso della certificazione di qualità secondo le norme UNI EN ISO 14067, quale requisito di partecipazione, senza che ad esso si accompagni quello di un “valore soglia” dell'impronta climatica richiesta, eccede l'oggetto dell'appalto e determina una irragionevole limitazione della concorrenza.

Tale certificazione è estranea alle specifiche tecniche indicate al punto 1 dell'allegato XIII del Codice dei Contratti pubblici (“i livelli della prestazione ambientale e delle ripercussioni sul clima”) che, ai sensi dell'art. 68 comma 1 dello stesso, sono inserite nei documenti di gara e definiscono le caratteristiche previste per lavori, servizi o forniture, purché si riferiscano a fattori collegati all'oggetto dell'appalto.

Secondo il Giudice amministrativo, invero, il possesso della certificazione di qualità UNI EN ISO 14067 rileva unicamente ai fini della validazione del metodo di calcolo dei dati sul carbon footprint di prodotto (CFP) o impronta ambientale di prodotto, ma non fornisce elementi quantitativi sul livello del dato in questione.

Il carattere “generale” di tale certificazione, che ne conferma l'estraneità al concetto di “specifiche tecniche” che possono essere inserite nei documenti di gara, è testimoniato dall'art. 93, comma 7, d.lgs. n. 50 del 2016, che prevede una riduzione del 15% dell'importo della garanzia per la partecipazione appunto a una qualsiasi gara da parte degli operatori che possano vantare un'impronta climatica di prodotto ai sensi della norma UNI ISO/TS 14067.

L'indicazione di essa quale requisito di partecipazione avrebbe potuto giustificarsi solo laddove le si fosse accompagnata la richiesta di un “valore soglia” dell'impronta climatica. Altrimenti, non collegandosi – secondo il dettame dell'art. 68 comma 1 e dell'allegato XIII del d.lgs. n. 50 del 2016 – ad un livello minimo della prestazione ambientale, tale previsione eccede l'oggetto dell'appalto e determina unicamente una irragionevole limitazione della concorrenza.

La pronuncia si pone in coerenza con altre pronunce dei Giudici amministrativi (per tutte, TAR Milano, Lombardia, Sez. I, 27 giugno 2013, n. 1647).