Niente obbligo di sede legale in Italia per le SOA

Andrea Trotta
14 Luglio 2016

L'articolo 5 della l. 7 luglio 2016, n. 122 (recante “Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea - Legge europea 2015-2016”) ha soppresso la parte dell'art. 64, comma 1, del d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 che imponeva alle SOA di stabilire la sede legale in Italia. Permane, invece, l'obbligo per tali società di avere una sede nel territorio della Repubblica. L'intervento del legislatore si è reso necessario per far fronte a una procedura di infrazione della Commissione europea nei confronti dell'Italia (n. 4212 del 2013) giunta alla fase di messa in mora ex art. 258 del TFUE. Tale obbligo era stato già ritenuto in contrasto con il diritto dell'Unione europea dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea (Grande Sezione), sentenza 16 giugno 2015, causa C-593/13, che si era pronunciata sulla base di un rinvio pregiudiziale disposto dal Consiglio di Stato.
L'art. 5 della legge europea 2015-2016 (l. 7 luglio 2016, n. 122) dispone la soppressione dell'art. 64, comma 1, del d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 nella parte in cui imponeva alle SOA di stabilire la sede legale nel territorio della Repubblica Italiana. Al fine di garantire l'esercizio delle attività ispettive e di vigilanza dell'ANAC sulle SOA, la medesima disposizione impone comunque alle SOA di «avere una sede nel territorio della Repubblica». La Commissione europea aveva inizialmente segnalato i propri dubbi di non conformità con il diritto dell'Unione europea dell'obbligo di stabilire la sede legale delle SOA in Italia nell'ambito del “progetto pilota” (EU Pilot 3412/12/MARK) sulla corretta attuazione del diritto dell'Unione Europea, rilevando il contrasto di tale obbligo sia con l'art. 56 del TFUE che vieta le restrizioni alla libera prestazione di servizi, sia con la Direttiva 2006/123/CE (cd. Direttiva Bolkestein) che vieta agli Stati Membri di imporre ai prestatori di servizi l'obbligo di «essere stabiliti sul loro territorio». Ne era poi seguita, sulle stesse basi, la procedura di infrazione (n. 4212 del 2013) giunta alla fase di messa in mora ex art. 258 del TFUE e alla quale la legge europea 2015-2016 ha deciso di porre rimedio. I medesimi dubbi di compatibilità con il diritto dell'Unione europea dell'art. 64, comma 1, del d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 avevano indotto la quarta sezione del Consiglio di Stato a disporre, con la sentenza 29 ottobre 2013, n. 5213, un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea che è stato deciso da quest'ultima (Grande Sezione) con la sentenza 16 giugno 2015, causa C-593/13, ai sensi della quale l'art. 51, comma 1, del TFUE deve essere interpretato nel senso che le eccezioni al diritto di stabilimento previste da tale disposizione non si applicano alle attività di attestazione esercitate da società aventi la qualità di organismi di attestazione e l'art. 14 della Direttiva 2006/123/CE (Direttiva Bolkestein) deve essere interpretato nel senso che esso osta a che la normativa di uno Stato Membro imponga alle SOA di avere la propria sede legale nel territorio nazionale.

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