L’interesse strumentale degli operatori del settore all’impugnazione del provvedimento di affidamento diretto in house: prospettive evolutive della tutela giurisdizionale

14 Settembre 2016

Va ribadito l'orientamento secondo cui, in deroga al principio generale in base al quale la legittimazione al ricorso spetta esclusivamente alle imprese che hanno partecipato alla procedura di gara, deve essere riconosciuto l'interesse strumentale a ricorrere in capo a qualsiasi imprenditore del settore e potenziale concorrente, che contesti il modulo organizzativo dell'in house providing e, dunque, la scelta della stazione appaltante di disporre un affidamento diretto anziché ricorrere al mercato concorrenziale.
Massima

Va ribadito l'orientamento secondo cui, in deroga al principio generale in base al quale la legittimazione al ricorso spetta esclusivamente alle imprese che hanno partecipato alla procedura di gara, deve essere riconosciuto l'interesse strumentale a ricorrere in capo a qualsiasi imprenditore del settore e potenziale concorrente, che contesti il modulo organizzativo dell'in house providing e, dunque, la scelta della stazione appaltante di disporre un affidamento diretto anziché ricorrere al mercato concorrenziale.

Il caso

La vicenda trae origine dall'impugnazione, proposta dal gestore uscente (divenuto tale a seguito della risoluzione del contratto da parte dell'Amministrazione affidante) del servizio di recupero, custodia e acquisto dei veicoli sequestrati all'interno di un determinato ambito territoriale, del provvedimento di aggiudicazione adottato all'esito della gara per il nuovo affidamento del servizio.

Il TAR ha dichiarato inammissibile il ricorso ritenendo che la ricorrente fosse sprovvista della titolarità di una posizione soggettiva differenziata e qualificata che la legittimasse all'impugnazione del predetto provvedimento, considerato che la ricorrente non aveva partecipato alla procedura di gara.

Nel decidere l'appello promosso dall'impresa ricorrente nei confronti della sentenza di primo grado, il Consiglio di Stato ha ribadito il proprio consolidato orientamento in base al quale la partecipazione alla procedura oggetto di contestazione costituisce presupposto indefettibile ai fini del radicamento dell'interesse al ricorso, e, nel contempo, ha incidentalmente affrontato la questione delle ipotesi derogatorie rispetto alla predetta regola.

La questione

La questione in esame riguarda il riconoscimento, agli operatori economici operanti in un determinato settore, di un interesse strumentale all'impugnazione di un provvedimento di affidamento diretto in house di un contratto avente ad oggetto attività inerenti al settore di riferimento.

Le soluzioni giuridiche

Con la pronuncia in commento, il Consiglio di Stato ha ribadito l'insussistenza, in capo ad un'impresa che ha omesso di partecipare a una procedura di affidamento di un appalto pubblico, di un interesse qualificato, che la legittimi ad impugnarne la determinazione conclusiva.

Nel contempo, i Giudici di Palazzo Spada hanno confermato le deroghe al predetto principio, richiamando in particolare l'autorevole precedente dell'Adunanza Plenaria, con cui il Supremo Consesso Amministrativo ha chiarito che «la regola generale dell'identificazione della legittimazione al ricorso esclusivamente in capo alle imprese che hanno partecipato alla procedura oggetto di contestazione ammette solo le deroghe relative alle posizioni del soggetto che contesta la scelta della stazione appaltante di bandire la gara, dell'impresa che impugna una clausola del bando escludente e dell'operatore di settore che assume l'illegittimità di un affidamento diretto» (Cons. St., Ad. plen., 7 aprile 2011, n. 4).

La presa di posizione dell'Adunanza Plenaria, richiamata dal precedente in esame, si colloca nel solco dell'orientamento giurisprudenziale che ha definito le condizioni di inimpugnabilità di un affidamento, disposto in assenza di confronto concorrenziale, attraverso la modalità organizzativa dell'in house providing.

In tale prospettiva, è stato riconosciuto «l'interesse dell'operatore economico di settore, che versi in una posizione qualificata e differenziata rispetto all'azione condotta dall'Amministrazione e che ritenga di avere le caratteristiche imprenditoriali per potere aspirare alla relativa attività, a contestare la legittimità del procedimento di affidamento diretto del servizio, senza gara, ad altra società; la legittimazione attiva dell'impresa, infatti, non può disconoscersi sostenendo che essa non avrebbe alcuna qualificazione in materia, rilevando al contrario che, qualora il ricorso fosse accolto, ne sarebbe soddisfatto l'interesse strumentale azionato tendente alla rimessa in discussione del rapporto controverso e alla possibilità di concorrere all'affidamento del servizio» (Cons. St., Sez. V, 30 novembre 2007, n. 6136).

Sicché, l'oggetto della tutela accordata dal Giudice Amministrativo è la «chance per la partecipazione ad una gara ad evidenza pubblica» (TAR Lazio, Roma, Sez. II-ter, 9 gennaio 2007, n. 72), di cui è titolare l'operatore del settore ricorrente, potenziale partecipante alla procedura di affidamento, che si è visto negare detta possibilità in conseguenza della scelta dell'Amministrazione di ricorrere all'affidamento diretto.

Ai fini della verifica, da parte del Giudice Amministrativo, della sussistenza dell'interesse a coltivare il ricorso, è dunque necessario che il ricorrente alleghi prova della propria attività nel settore di pertinenza dell'affidamento contestato, comprovando, in tal modo, la propria potenziale idoneità a partecipare ad un'eventuale procedura ad evidenza pubblica per l'aggiudicazione delle specifiche prestazioni oggetto di affidamento in house.

In stretta correlazione con il riconoscimento del predetto interesse strumentale, è stato, altresì, osservato che ciò «presuppone che la procedura che, in caso di accoglimento del ricorso, dovrà essere bandita abbia oggetto identico al contestato affidamento diretto e che alla stessa gara il ricorrente possa partecipare. La prima condizione è posta evidentemente a tutela del ricorrente, al fine di evitare che l'Amministrazione bandisca una gara diversa alla quale comunque l'impresa non potrebbe partecipare. La seconda, invece, risponde ad un elementare principio che regola il processo amministrativo e che individua l'interesse ad agire con l'utilità che il ricorrente può ottenere con la pronuncia giurisdizionale, utilità anche strumentale, e cioè consistente nella rimessione in discussione del rapporto controverso»(Cons. St., Sez. IV, 22 marzo 2007, n. 1389; in termini, si veda anche TAR Lazio, Roma, Sez. III-ter, 11 luglio 2007, n. 6281).

Passando al merito del giudizio di impugnazione del provvedimento di affidamento diretto in house, si rileva che le censure proponibili dagli operatori del settore sono, di norma, volte a contestare la sussistenza dei requisiti richiesti per detta tipologia di affidamento (natura delle partecipazioni nell'entità house; controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi da parte degli enti affidanti; attività del soggetto in house svolta prevalentemente in favore delle Amministrazioni controllanti).

Si registrano, così, vari precedenti in cui il Giudice Amministrativo ha ravvisato la carenza di uno o più dei predetti presupposti e, per l'effetto, ha disposto l'annullamento dell'affidamento diretto. Basti pensare alla nota sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660, relativa al caso “Cineca”, con cui è stata riscontrata l'assenza in capo al predetto Consorzio interuniversitario dei prescritti requisiti in house: in tale caso, la vicenda giurisdizionale era stata innescata proprio dal ricorso presentato da un'impresa operante nel settore dei servizi informatici, la cui aspettativa alla partecipazione alla eventuale gara per l'aggiudicazione della fornitura di un servizio informatico gestionale era stata frustrata dalla scelta dell'Amministrazione universitaria di procedere all'affidamento diretto in favore del Consorzio partecipato.

A ben vedere, la verifica della sussistenza dei requisiti in house costituisce, nella giurisprudenza del Giudice Amministrativo, il parametro di legittimità principale, per non dire quasi esclusivo, della percorribilità dell'affidamento diretto, essendo, di converso, assolutamente marginali i casi di censure volte a contestare la scelta dell'Amministrazione sotto altri profili.

Tra questi ultimi, merita di essere segnalato un precedente, con cui è stato rilevato che “è insito nella decisione di affidare un servizio in house l'idoneità dell'ente strumentale a svolgerlo compiutamente, potendosi giustificare la deroga all'obbligo della gara, appunto, solo in virtù di una capacità di autoproduzione interna mediante strutture su cui l'Autorità pubblica affidante ha un controllo di tipo organico analogo a quello svolto sui propri uffici” (Cons. St., Sez. V, 28 luglio 2015, n. 3716), pertanto, non possono ritenersi sussistenti i presupposti per l'affidamento diretto, nel caso in cui l'entità in house sia priva di risorse e capacità tecnico-operative adeguate all'espletamento del servizio oggetto di affidamento.

Osservazioni

Il riconoscimento, in capo agli operatori del settore potenzialmente qualificati a partecipare ad un'eventuale procedura ad evidenza pubblica, dell'interesse strumentale all'impugnazione di un provvedimento di affidamento in house costituisce ormai ius receptum nella giurisprudenza del Giudice Amministrativo, come recentemente confermato anche dalla pronuncia in commento.

In proposito, si evidenzia come le innovazioni recentemente apportate alla disciplina dell'in house providing dal nuovo Codice dei contratti pubblici possano aprire nuovi interessanti scenari, con particolare riferimento all'ampiezza e all'incisività della tutela concessa alle imprese titolari del predetto interesse strumentale.

E ciò, in quanto la positivizzazione di tale istituto – pur costituendo il punto d'approdo del percorso evolutivo tracciato dalla giurisprudenza europea e, dunque, la conferma della perdurante validità delle indicazioni fornite dal Giudice amministrativo, in ossequio agli insegnamenti della Corte di Giustizia – ha determinato l'introduzione di una normativa destinata a regolare nel dettaglio i presupposti e l'iter procedurale da osservare in sede di affidamento in house.

Ci si riferisce, in primo luogo, alla circostanza che l'art. 5 d.lgs. n. 50 del 2016 disciplina puntualmente i requisiti del controllo analogo (anche “congiunto” e “indiretto”) e dell'attività prevalente (fornendo una serie di indicatori quantitativi della relativa sussistenza), con l'effetto che, in sede di scrutinio di legittimità dell'affidamento diretto (attivato, in ipotesi, su istanza dell'operatore pretermesso), dovrà essere verificata la conformità dei requisiti presentati, in concreto, dal soggetto in house rispetto a quelli identificati dal paradigma normativo.

Ma vi è di più. Come si è poc'anzi accennato, a latere del recepimento della disciplina dell'in house prevista dalle direttive europee di quarta generazione (avvenuta con il cit. art. 5), il nuovo Codice ha previsto alcune peculiari disposizioni ulteriori, recanti un regime, di carattere procedurale, speciale per gli affidamenti in house.

Ci si riferisce, in particolare, all'art. 192 del nuovo Codice, con cui il legislatore, al dichiarato fine di garantire adeguati livelli di pubblicità e trasparenza nei contratti pubblici, ha previsto l'istituzione, presso l'ANAC, di un elenco delle Amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house di cui all'art. 5.

La disposizione in parola stabilisce che «l'iscrizione nell'elenco avviene a domanda» previo accertamento dei requisiti richiesti per l'in house, «secondo le modalità e i criteri» definiti dall'ANAC, con la precisazione che «la domanda di iscrizione consente alle amministrazioni aggiudicatrici e agli enti aggiudicatori sotto la propria responsabilità, di effettuare affidamenti diretti dei contratti all'ente strumentale».

In base al tenore della norma, la preventiva iscrizione nell'elenco tenuto dall'ANAC potrebbe divenire, una volta che il nuovo sistema sarà entrato a regime, una condizione di procedibilità dell'affidamento.

Di certo, il regime di pubblicità imposto dalle predette norme consentirà agli operatori del settore di avere tempestiva conoscenza degli affidamenti diretti disposti dalle Amministrazioni, agevolando, in tal modo, l'eventuale proposizione di giudizi volti a contestarne la legittimità.

Nondimeno, il successivo comma 2 del cit. art. 192 prevede, poi, che «ai fini dell'affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza», le stazioni appaltanti siano tenute ad effettuare previamente «la valutazione sulla congruità economica dell'offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all'oggetto e al valore della prestazione» e, conseguentemente, siano tenute a dare conto nella motivazione del provvedimento di affidamento «delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche».

Invero, una siffatta impostazione era già stata, a più riprese, suggerita dalla giurisprudenza amministrativa in materia di servizi pubblici locali, sostenendo che l'ente pubblico, per erogare un pubblico servizio in forma societaria, debba partire da una relazione con cui confrontare i risultati economici di un ipotetico piano-programma pluriennale relativo, da un lato, ad un'azienda pubblica locale che svolga il servizio in house e, dall'altro,ad un'eventuale concessionaria in regime di esternalizzazione. Sempre secondo detto orientamento, l'ente locale, mediante un'accurata analisi costi-benefici, sarebbe tenuto a considerare le differenze di qualità e di efficienza del servizio. Con la conseguente necessità di motivare adeguatamente, nella deliberazione di affidamento, l'opportunità della scelta, avendo particolare riguardo ad un confronto comparativo con gli altri possibili modi di gestione dei servizi pubblici, nonché individuando le esigenze di pubblico interesse ad essa sottese e la relativa convenienza economica (Cons. St., Sez. VI, 12 marzo 1990, n. 374), perché in difetto la scelta potrebbe risultare «del tutto immotivata e contraria al principio di buona amministrazione cui, in ogni modo, deve conformarsi l'agire amministrativo» (Cons. St., Sez. V, 8 febbraio 2011, n. 854).

A ben vedere, l'innovativa disposizione di cui al sopra cit. art. 192, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016, prendendo le mosse dalla ratio a fondamento del predetto orientamento giurisprudenziale, ha previsto, in termini generalizzati (ossia, con riferimento a qualsivoglia tipologia di contratto e non solo per affidamenti di servizi pubblici locali, a cui invece si riferiva il predetto orientamento), l'obbligo di effettuare un confronto comparativo tra le condizioni ecomiche offerte dall'entità in house in rapporto a quelle eventualmente praticate dal mercato concorrenziale.

Il che significa che sulle Amministrazioni affidanti grava, in primo luogo, l'onere di effettuare la predetta valutazione comparativa, in difetto della quale l'affidamento in house non può essere disposto, e, in secondo luogo, che l'economicità (documentalmente provata) dell'affidamento diretto costituisce una condizione, di natura oggettiva, ulteriore rispetto a quelle, di natura soggettiva, previste dal sopra cit. art. 5 del nuovo Codice dei contratti pubblici, che deve necessariamente sussistere ai fini della legittimità dell'affidamento e che, conseguentemente, potrà eventualmente essere censurata dall'operatore pretermesso.

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