Aggiudicazione del massimo rialzo per la procedura di dismissione delle partecipazioni statali

Flaminia Aperio Bella
15 Novembre 2016

La dismissione delle partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici non strettamente necessarie rispetto alle finalità istituzionali ex art. 3, comma 27, della legge n. 244 del 2007, s.m.i. deve avvenire «mediante procedura di evidenza pubblica» basata sul criterio del massimo rialzo al fine di garantire la massima concorrenza e tale finalità non può essere derogata attraverso l'indizione di una procedura negoziata senza bando ex art. 57, comma 6, d.lgs. n. 163 del 2006.

A fronte dell'obbligo di dismissione delle partecipazioni statali non strettamente necessarie ex art. 3, comma 27, l. n. 244 del 2007, nell'ambito della procedura indetta in virtù della proroga al 31 dicembre 2014, introdotta dall'art. 1, comma 569, della legge di stabilità per il 2014 (l. 27 dicembre 2013, n. 147), come modificato con d.l. 6 marzo 2014, n. 14 (conv. nella l. 2 maggio 2014, n. 68) non è illegittimo né irrazionale il criterio di selezione delle offerte al massimo rialzo con determinazione della base d'asta fondata sul valore di mercato delle azioni (attraverso la perizia di stima di un ente all'uopo incaricato).

Il Consiglio di stato specifica, con riferimento alla procedura applicata, che sia l'art. 3, comma 29, l. n. 244 del 2007 che il successivo art. 1, comma 569, l. n. 147 del 2013 impongono di dismettere le partecipazioni non più strategiche “mediante procedura di evidenza pubblica”. In particolare, sarebbe illegittimo per contrasto con il quadro normativo indicato il ricorso ad una procedura negoziata senza bando ex art. 57, comma 6, d.lgs. n. 163 del 2006, trattandosi di un metodo sostanzialmente assimilabile a quella che in passato era la mera trattativa privata, di scelta diretta e riservata del contraente, che non garantisce l'individuazione del miglior contraente né il rispetto dei principi di trasparenza e massima concorrenza (cfr. Cons. St., Sez. V, 7 giugno 2016, n. 2424 espressamente richiamato nella pronuncia in commento).

Chiarita la necessità di una procedura evidenziale, concretamente seguita nel caso di specie, il Collegio sottolinea che il criterio del massimo rialzo, usualmente adottato per l'aggiudicazione di contratti attivi dai quali l'amministrazione si propone di reperire un'entrata di carattere patrimoniale quale corrispettivo della cessione, si attaglia perfettamente alla fattispecie de qua in quanto è funzionale a stimolare la competizione dei privati interessati all'acquisto sulla base minima data dal valore di mercato delle azioni oggetto di dismissioni, mentre sarebbe del tutto illogica l'applicazione del criterio del massimo ribasso.

Con riferimento alla determinazione della base d'asta il Collegio specifica che il valore di mercato esprime il valore ritraibile da una normale cessione di un bene che anche l'amministrazione pubblica deve tendere a conseguire, non solo al fine di evitare depauperamenti patrimoniali fonte di eventuale responsabilità erariale, ma anche nel rispetto dei canoni generali di efficacia ed economicità dell'azione amministrativa (art. 1 l. 7 agosto 1990, n. 241) e di valorizzazione dell'azionariato pubblico, che tipicamente connotano i processi di dismissione imposti da esigenze di raggiungimento di obiettivi di finanza pubblica quale quello in esame. La sentenza specifica che la massimizzazione del ricavo ritraibile come corrispettivo per la cessione è in realtà l'obiettivo che qualsiasi soggetto pubblico titolare di partecipazioni in forme societarie è tenuto a perseguire in forza dei principi generali richiamati, sempre validi in caso di alienazione di cespiti patrimoniali: la concorrenza riguardo a beni di titolarità pubblica collocati sul mercato deve svolgersi in modo pieno ed effettivo e non deve essere artificialmente distorta da un indebito deprezzamento dei beni oggetto di dismissione, quand'anche quest'ultimo possa assicurare un esito positivo della gara e l'acquisizione di un nuovo socio privato.

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