Utile “risibile” nelle offerte dei soggetti senza scopi di lucro

Enrico Zampetti
16 Febbraio 2017

Il principio del c.d. utile necessario non è applicabile ai soggetti che operano per scopi sociali o mutualistici, dal momento che per tali soggetti l'obbligatoria indicazione di un utile d'impresa si tradurrebbe in una prescrizione incoerente con la relativa vocazione non lucrativa. Un'offerta presentata da un soggetto che opera senza scopi di lucro non può essere considerata anomala ovvero inaffidabile/inattendibile soltanto perché caratterizzata dall'assenza di utile o da un utile c.d. “risibile”.

La sentenza in esame afferma e puntualizza degli importanti principi sull'utile che deve connotare le offerte presentate da soggetti senza scopi di lucro.

Più esattamente, la pronuncia rileva che il principio del c.d. “utile necessario”, secondo cui le offerte presentate dai concorrenti di una gara devono necessariamente essere connotate da una percentuale di utile (ex multis Cons. St., Sez. V, 17 luglio 2014, n. 3805), non può essere applicato alle ipotesi in cui l'offerta provenga da un soggetto «costituzionalmente non animato da scopo di lucro», quali le Onlus e le cooperative sociali. In questi casi, infatti, l'indicazione obbligatoria di un utile si tradurrebbe in una prescrizione incoerente con la stessa vocazione non lucrativa dell'ente tale da imporre alla proposta una “artificiosa componente di onerosità” (così la sentenza in commento). Al riguardo, parte della giurisprudenza ha del resto già avuto modo di precisare che è lo statuto sociale e mutualistico dell'ente a dover disciplinare il modus operandi dei soggetti privi di scopi di lucro in sede di partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica, sottolineando che l'applicazione in questi casi del principio o dell'utile necessario, oltre che distonica rispetto alla vocazione di tali soggetti, verrebbe a ledere «ingiustificatamente l'interesse pubblico a usufruire delle offerte più vantaggiose conseguibili in un mercato contendibile da attori con diverse caratteristiche»(TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis, 12 febbraio 2015, n. 2518; Cons. St., Sez. V, 16 gennaio 2015, n. 84).

Ne consegue che, diversamente da quanto accade per gli enti a scopo di lucro operanti sul mercato in una logica strettamente economica, un'offerta caratterizzata dall'assenza di utile o comunque da un utile “risibile” non può ritenersi solo per tale ragione anomala o inattendibile, dal momento che la mancanza di utile (o di un utile adeguato) non impedisce affatto «il perseguimento efficiente di finalità istituzionali che prescindono da tale vantaggio strictu sensu economico» (così la sentenza in commento). Perché l'offerta possa ritenersi anomala e/o inaffidabile dovranno essere pur sempre accertati ulteriori elementi, quali, ad esempio l'indicazione di «voci sottocosto o ancora, la presenza di indicatori idonei a rivelare fini predatori o anticoncorrenziali» (TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis, n. 2518 del 2015, cit.).

Né – è bene conclusivamente precisare – l'inapplicabilità del principio dell'utile necessario agli enti senza scopi di lucro potrebbe ledere il principio di par condicio, dal momento che, come osservato in giurisprudenza, tale principio non impedisce affatto che ogni concorrente esprima le proprie potenzialità competitive «valendosi di asimmetrie virtuose collegate alle proprie caratteristiche ontologiche e alle proprie capacità concorrenziali»(Cons. St., Sez. V, 16 gennaio 2015, n. 84).

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